L’assenza di un confronto con il sindacato non ha finora permesso di individuare una soluzione equa e sostenibile sul piano sociale, in linea con quello che era già avvenuto con il Governo Monti, in occasione del varo del decreto legge 201/2011
Quella contenuta nel cosiddetto decreto “Salva Italia” apparve subito, a nostro giudizio, come una misura ingiustificata perché il blocco della perequazione per il biennio 2012 – 2013 operava su trattamenti pensionistici lordi di poco superiori a 1.400 euro mensili, quindi rivolti anche a fasce di reddito medio – basse della popolazione dei pensionati.
Il pronunciamento della Consulta, al di là della valutazione sulla soluzione individuata dal Governo, deve servire da monito per il futuro, perché il risanamento della finanza pubblica deve essere realizzato intervenendo sulle enormi aree di spreco ed inefficienza presenti all’interno della spesa pubblica e aggredendo la corruzione e l’illegalità fiscale straordinariamente diffusa nel nostro Paese e non riducendo i diritti fondamentali riconosciuti da uno Stato sociale che va, anzi, preservato e ammodernato per affrontare più efficacemente le nuove emergenze sociali e per continuare a soddisfare i bisogni della popolazione nell’età anziana.
Sul merito del provvedimento, la Cisl – pur comprendendo l’esigenza di una soluzione sostenibile dal punto di vista dell’equilibrio dei conti pubblici e la scelta del Governo di restituire gli importi dovuti secondo un criterio di priorità, modulando i rimborsi in modo decrescente al crescere dei redditi di riferimento, fino a 6 volte il trattamento minimo – ritiene che la restituzione operata risulti troppo limitata ed inadeguata rispetto all’esigenza di difendere efficacemente il potere d’acquisto dei trattamenti pensionistici, a seguito del blocco della perequazione effettuato nel biennio 2012 – 2013, per effetto della legge Fornero.
Infatti, il decreto legge prevede che ai titolari di trattamenti pensionistici complessivi da 3 a 4 volte il trattamento minimo verrà restituito il 40% di quanto perso negli anni 2012-2013, da 4 a 5 volte il 20%, da 5 a 6 volte il 10%.
Per gestire negli anni successivi l’effetto della perequazione mancata, sarà attribuito rispettivamente nel 2014 e 2015 il 20% e dal 2016 il 50% dei trattamenti determinati secondo le regole previste per la restituzione parziale degli importi dovuti nel biennio 2012 – 2013.
La soluzione trovata, dunque, rischia di generare un ulteriore contenzioso, con un conseguente carico di incertezza che si addensa negativamente sulla finanza pubblica. Nel deficit del confronto con le Parti sociali, l’esigenza di privilegiare nei rimborsi le pensioni medio – basse avrebbe potuto essere realizzata in modo più equo, offrendo perlomeno una protezione universale rispetto all’inflazione sulla fascia di importo più basso, ad esempio sulla parte della pensione di importo fino a tre volte il trattamento minimo Inps.
Si è scelto, invece, di seguire il meccanismo attualmente utilizzato per l’attribuzione della perequazione automatica al costo della vita previsto dal Governo Letta con la legge 147/2013 che supera definitivamente il meccanismo di perequazione per fasce precedentemente in vigore. A tale proposito va ricordato che la legge 147 disciplina il calcolo della perequazione per il solo triennio 2014-2016. Rimane, dunque, l’esigenza di migliorare le soluzioni individuate dal provvedimento in esame.
Si tratta di trovare criteri più equi ed un percorso progressivo di erogazione temporalmente sostenibile che dia luogo alla ricostituzione della pensione per un importo adeguato al reale andamento del costo della vita.
Per quanto il problema del calcolo della rivalutazione del montante delle pensioni calcolate con il metodo contributivo, va evidenziato che mentre la soluzione trovata consente di evitare la rivalutazione negativa che si sarebbe realizzata quest’anno, il meccanismo non garantisce la totale protezione del valore dei contributi versati e, attraverso il recupero sulle rivalutazioni successive, scarica comunque sui futuri pensionati il peso della congiuntura economica negativa che già determina una dinamica retributiva e contributiva più bassa.
Per quanto riguarda i contratti di solidarietà di “tipo B,” la somma messa a disposizione è assolutamente inadeguata, in quanto detto strumento era stato individuato come alternativo alla cassa integrazione in deroga che, a causa del forte ridimensionamento già in atto ed alla prossima cancellazione dello strumento stesso non può certamente rispondere neppure in maniera parziale. E questo avviene a valle del mancato rifinanziamento nella Legge di stabilità 2015, infatti la somma stanziata non sarebbe sufficiente neppure a coprire i 2/3 delle domande giacenti del 2014.
E’ necessario quindi implementare le risorse fino al 1 luglio 2016, momento in cui dovrebbero entrare in funzione le nuove tutele previste nel “Jobs Act’ (parliamo del “riordino” dei Fondi bilaterali di solidarietà).
La Cisl auspica che le valutazioni emerse a seguito di questa audizione possano offrire un positivo contributo per modificare, migliorandolo, il provvedimento in esame.