La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21721/2024, affronta la gestione delle assunzioni nella Pa e il rispetto (e l’eventuale violazione) dei limiti di spesa per il personale.


In particolare, il caso verteva sulla legittimità della risoluzione di un contratto di lavoro, in seguito all’annullamento della procedura di assunzione da parte di un ente locale.

Il ricorrente ha sostenuto che la cessazione del rapporto lavorativo avrebbe dovuto seguire le disposizioni previste dall’art. 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001, mentre la risoluzione, conseguente all’annullamento dell’iter di assunzione, non sarebbe stata contemplata dalla normativa vigente. In particolare, egli contestava la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela da parte della Pa, ritenendo che non avesse la facoltà di annullare unilateralmente atti legati alla contrattualizzazione del lavoro.

Il giudizio della Cassazione sulla violazione dei limiti di spesa per il personale

Tuttavia, la Corte ha chiarito che il caso in questione non rappresentava un semplice licenziamento, ma piuttosto una dichiarazione di nullità retroattiva di un contratto di lavoro, ritenuto nullo per violazione di norme imperative.

Questo aspetto è fondamentale poiché la Pubblica amministrazione non può semplicemente ignorare le disposizioni che regolano la spesa del personale, in particolare in relazione a contratti stipulati in violazione della legge.

Nullità del contratto di lavoro

La nullità di un contratto di lavoro, come evidenziato nell’art. 2126 del codice civile, implica che il contratto stesso non ha effetti durante il periodo in cui è stato eseguito. Inoltre, l’art. 1418 del codice civile stabilisce che i contratti contrari a norme imperative sono da considerarsi nulli. Questa disposizione trova applicazione specifica anche nel settore del pubblico impiego, come indicato nell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che afferma che violazioni di norme sull’assunzione non danno luogo a contratti di lavoro a tempo indeterminato.

La giurisprudenza ha già stabilito che, nel contesto del pubblico impiego privatizzato,l’annullamento di una selezione pubblica per vizi di legittimità porta alla nullità automatica del contratto di lavoro derivante da tale selezione, anche se la nullità risulta accertata successivamente.

Inoltre, la Corte ha ribadito che, per qualsiasi decisione che influisca sul costo del personale, è necessaria una copertura finanziaria. In mancanza di essa, le procedure adottate non generano diritti per le parti coinvolte, ad eccezione dei contratti di lavoro di fatto, che devono essere comunque remunerati.

La sentenza ha infine sottolineato che i contratti di lavoro, considerati nulli, non possono influire su successive assunzioni o avanzamenti di carriera, in quanto, secondo il principio secondo cui ciò che è nullo non produce effetti, tali contratti non hanno valore legale.

Le conclusioni emerse dal giudizio della Corte

In conclusione, la Corte ha respinto il ricorso, confermando che l’illegittimità della procedura di stabilizzazione dei lavoratori, dovuta a violazioni delle norme sul contenimento della spesa, comporta la nullità del contratto di lavoro stipulato dall’ente locale. La protezione del diritto soggettivo alla continuazione del rapporto di lavoro è subordinata all’accertamento di eventuali vizi di legittimità degli atti amministrativi, mentre la tutela dei lavoratori può essere garantita esclusivamente nel contesto di rapporti di lavoro di fatto.

Questa sentenza chiarisce non solo la responsabilità degli enti locali nel rispetto delle norme di spesa, ma anche i diritti e i doveri dei lavoratori in contesti di assunzione pubblica, segnando un importante passo nella regolamentazione del pubblico impiego.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.