autonomia-differenziata-intervista-fabio-ascenzi.Nella nostra intervista allo scrittore ed ex sindaco di Genazzano, Fabio Ascenzi, scopriamo quali sono le novità in arrivo con l’introduzione dell’autonomia differenziata e quali sono le prospettive critiche sull’argomento.


Il 16 marzo 2023 ha segnato un momento cruciale con l’approvazione del disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia nelle Regioni a statuto ordinario: una legge che recentemente è stata anche ratificata al Senato.

Tuttavia, questo significativo passo ha rapidamente scatenato un acceso confronto tra posizioni opposte. Al centro di questa discussione si trova il concetto di “regionalismo differenziato”, un tema che ha catturato l’attenzione di Fabio Ascenzi, scrittore ed ex sindaco di Genazzano, autore del libro “Autonomia o secessione? Limiti e possibilità del regionalismo differenziato“.

Il libro offre una dettagliata analisi della storia travagliata del regionalismo italiano, mettendo a fuoco la legislazione recentemente approvata e valutando il rispetto dei princìpi fondamentali della Costituzione. Ascenzi si pone l’arduo compito di rispondere a una serie di interrogativi scottanti: cos’è veramente il regionalismo differenziato? Rappresenterà un vantaggio tangibile per i cittadini o costituirà una minaccia per l’unità nazionale?

Attraverso un linguaggio accessibile, il libro è pensato per un vasto pubblico, offrendo una narrazione che coinvolge chiunque, poiché ognuno sarà influenzato dai cambiamenti derivanti da questo progetto. L’autore accompagna il lettore con una prosa chiara, arricchita da citazioni di importanti commenti e giurisprudenza, consentendo un approfondimento tecnico per chi desidera esplorare ulteriormente la questione.

Prospettive critiche sull’autonomia differenziata: intervista allo scrittore Fabio Ascenzi

Al di là delle apparenze, emerge il punto di vista originale di Ascenzi, figura con una lunga esperienza politica e di amministrazione comunale, che si muove tra risposte concrete e temi lasciati aperti.

In questa intervista, ci addentreremo nei dettagli del suo pensiero, esplorando il suo contributo e ottenendo un’illuminante prospettiva sull’autonomia regionale in Italia.

Fabio Ascenzi oltre che scrittore, lei lavora nella pubblica amministrazione e fra le altre cose è stato lungamente Sindaco della sua Città Genazzano; questa sua “vicinanza”, anche professionale, ai territori è stata la molla che le ha fatto decidere di avventurarsi in una materia così ostica e dibattuta?

Non vi è dubbio che abbia influito. Sono decenni che mi occupo di queste materie, quindi alla base c’è soprattutto la mia formazione. Ma certamente l’aver frequentato per anni l’ambito della pubblica amministrazione mi ha dato ulteriori strumenti per affrontare il tema. In particolare, quando si amministra un Comune e si ha a che fare tutti i giorni con l’assillo di risolvere i problemi, si diventa ancora più sensibili su quanto la vita dei cittadini possa essere pesantemente condizionata per alcune decisioni assunte dall’alto.

Nel suo “instant book” lei sottolinea come di per sé l’autonomia sia costituzionale, ma chiosa sottolineando che dipende tutto da come la si fa. Quali paletti, i limiti come li definisce, a suo avviso devono rimanere sul terreno? Insomma, fosse per lei questa benedetta autonomia come la farebbe?

Domanda impegnativa, e la risposta non potrà essere certo esaustiva in poche battute. Nel libro approfondisco questi aspetti, cercando sempre di renderli facilmente comprensibili anche per un lettore non esperto della materia.

Va detto, innanzitutto, che l’Autonomia è prevista dalla Costituzione del 1948. L’hanno voluta i nostri padri e madri costituenti. Nella formulazione dell’art. 5, posto addirittura tra i princìpi fondamentali, trovano equilibrio, legame e uguale peso, il principio della Repubblica una e indivisibile, con il riconoscimento e la promozione delle autonomie, dell’autonomia e del decentramento.

Il regionalismo differenziato è stato poi introdotto dalla riforma del 2001, con il nuovo articolo 116 terzo comma. Ecco perché sostengo che non è la sola evocazione dell’autonomia o della differenziazione a mettere in pericolo i princìpi fondamentali della nostra Carta; ma semmai le modalità con cui la si vorrebbe attuare.

Ci dica allora qual è il suo pensiero a riguardo

Personalmente, non ritengo perseguibile un’idea di regionalismo differenziato che ponga alla base delle sue richieste, direttamente o surrettiziamente, il tema del residuo fiscale, cioè la pretesa di alcune Regioni del Nord di trattenere sul proprio territorio più risorse. Tale rivendicazione viene costruita sul falso mito che pagano più tasse di quanto ricevano in servizi dallo Stato, ma le cose non stanno proprio così.

Innanzitutto, perché numerosi studi dimostrano che questo assunto è sbagliato. Eppoi perché anche la concessione di quelle forme e condizioni particolari di autonomia previste dal dettato costituzionale non esonererebbero certo chi le ottenga dall’obbligo solidale di partecipare allo sviluppo della Repubblica nel suo insieme e di garantire l’eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, a prescindere dalla collocazione o appartenenza territoriale. L’autonomia deve sempre mantenersi in equilibrio con i princìpi di unità e uguaglianza pretesi dalla nostra Carta. Nascere o risiedere in luoghi diversi della Repubblica non può determinare forme di cittadinanza diverse; anzi, quando ci sono sarebbe proprio lo Stato a dover intervenire per eliminarle.

L’art. 3 Cost. ci ricorda che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale; l’art. 119 Cost., quinto comma, detta che è dovere dello Stato destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.

Ma se questi divari ancora esistono, cosa ha fatto lo Stato per attuare la Costituzione?

Il divario economico-sociale tra Nord e Sud del Paese è sotto gli occhi di tutti, ha origini lontane. E le politiche dei vari governi che si sono succeduti non solo non le hanno risolte, ma le hanno persino ampliate. Per decenni e decenni le risorse sono state assegnate dallo Stato in maniera così sbilanciata tra le diverse aree del Paese che si è innescato un moto circolare dall’incedere perverso: poche risorse assegnate al territorio = meno servizi offerti = minori fabbisogni riconosciuti = minori risorse assegnate.

Condannando così i territori più svantaggiati a un fine pena mai. Ed ecco perché non si può continuare a procedere con il metodo della spesa storica, ma è assolutamente necessario passare a un regime di distribuzione dei fondi basato sul concetto dei cosiddetti fabbisogni standard, attraverso cui viene determinato il costo medio necessario a erogare un determinato servizio, nelle migliori condizioni di efficienza e appropriatezza, garantendo le risorse necessarie per assicurare gli oramai famosi Livelli Essenziali di Prestazione (LEP). La loro determinazione, e soprattutto il loro finanziamento, è indispensabile per salvaguardare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, nonché per rimuovere gli squilibri nelle Regioni più deboli. Fare questo significherebbe, prima di tutto, stabilire che in Italia i diritti costituzionalmente garantiti sono riferiti alla persona e non alla ricchezza o meno di un ente territoriale.

Detto ciò, ci può illustrare brevemente quale è il suo giudizio sull’attuale provvedimento?

Ecco, su molti dei punti che ho accennato non mi sembra che il disegno di legge Calderoli dia risposte adeguate. Mi preoccupano la continua tendenza verso la verticalizzazione della rappresentanza politica, con il ruolo del Parlamento e dei Consigli regionali ridotti a meri passaggi di ratifica; o ancora le modalità previste per la definizione e il finanziamento dei LEP.

E poi c’è la questione delle materie; non credo che possano essere chieste dalle Regioni tutte le 23 previste dall’art. 116 Cost., senza che vi sia una reale motivazione degli interessi peculiari da soddisfare, che se ne valutino vantaggi, svantaggi e rischi: chi le reclama dovrebbe dimostrare di poter gestire le stesse in maniera più efficiente, senza risorse aggiuntive e senza che questa concessione pregiudichi la possibilità dello Stato di continuare a fornire i medesimi servizi alle altre parti del Paese.

Qualche giorno fa in Senato, con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti, il disegno di legge proposto da Calderoli ha ottenuto l’approvazione in prima lettura al Senato, come prevede andrà a finire?… a finire per il Paese

Che verrà approvato velocemente anche dalla Camera. È la tempistica che la Lega ha imposto in vista delle elezioni europee di giugno. Poi inizierà la discussione vera sul finanziamento dei LEP; un emendamento proposto da una parte della stessa maggioranza è stato approvato e, se confermato, prevede che non si potrà procedere alla concessione dell’autonomia se prima non ci sarà il finanziamento dei LEP per tutto il Paese. Sono previsti 24 mesi di tempo per farlo.

È lì che si giocherà la vera battaglia e che si definirà la costituzionalità o meno del processo in atto. A quel punto, per forza di cose, bisognerà calare le carte che si hanno in mano. E finalmente scopriremo se l’azzardo risulterà vincente oppure se sia stato tutto un bluff!

In che senso bluff? Ci faccia capire, secondo lei non è sicuro che la riforma proceda fino in fondo?

Vede, si è detto come questa riforma sia stata voluta in particolare dalla Lega per segnare un punto politico identitario. Ma un conto è scrivere i desiderata, altro realizzarli. Prima o poi tutti i nodi vengono al pettine. Non credo sarà facile tenere assieme l’assunto che la differenziazione potrà avvenire solo dopo il finanziamento dei LEP su tutto il territorio nazionale con lo specchietto per le allodole della cosiddetta invarianza finanziaria.

Lo Stato dovrebbe dare alla Regione differenziata le stesse risorse storiche assegnate, ma contemporaneamente dovrà comunque continuare a garantire i servizi per le altre Regioni, senza però poterli più gestire in maniera unitaria e con la precedente economia di scala. Tutto questo dovendo anche recuperare i divari già esistenti. Come potrebbe reggere un tale sistema?

Nel disegno di legge nessun fondo perequativo è istituito, nessuna procedura indica come dovrebbe eventualmente esserlo e con quale ruolo per le Regioni. E allora, se a fronte di ciò lo Stato non potrà neppure attingere a nuovi o maggiori oneri, come specificato nella proposta del Governo, mi sembrerebbero rimanere poche alternative:

  • fermarsi, prendendo atto che una siffatta differenziazione tanto strombazzata risulta impossibile da realizzare senza creare un disastro economico-sociale;
  • oppure proseguire con protervia, dovendo però a quel punto anche ammettere che per reperire le risorse necessarie sarà inevitabile apportare tagli su altri servizi o aumentare le tasse.

L’attuale maggioranza governativa da un lato spinge forte sull’autonomia differenziata, dall’altra, anche la Premier in prima persona, propone una svolta “presidenzialista” al Paese; sono coniugabili autonomia e presidenzialismo?

Nonostante le smentite dei diretti interessati, molti vi hanno visto la più classica utilizzazione del do ut des.

Precisiamo, anzitutto, che la riforma di cui si sta discutendo ora non è più la proposta iniziale del presidenzialismo, ma quella del premierato. Ciò detto, non si possono ignorare gli effetti che scaturirebbero se venisse portata avanti insieme al regionalismo differenziato.

Sono percorsi differenti, che necessitano di tempistiche e modalità di attuazioni diverse. Il regionalismo differenziato, come si è detto, è previsto in Costituzione; quindi sta seguendo l’iter di una legge ordinaria. Una svolta “presidenzialista” del nostro sistema, che voglia approdare all’elezione diretta del Presidente del Consiglio abbisogna, invece, di una riforma costituzionale; quindi dovrà procedere con l’iter aggravato previsto dall’art. 138 della Costituzione e, qualora come prevedibilmente non fosse approvata dai 2/3 del Parlamento, concludersi con la celebrazione di un Referendum confermativo.

Facciamo il caso che entrambe venissero approvate. Cosa succederebbe secondo lei?

Il sistema che si vorrebbe approvare sarebbe un unicum al mondo, non ne esistono altri simili a cui fare riferimento. Gli studiosi stanno cominciando ora ad approfondirne i vari aspetti, interferenze sugli equilibri dei poteri e sulle conseguenze costituzionali. Per una disamina più seria bisognerà aspettare il testo definitivo. Comunque, la mia prima impressione è tutt’altro che positiva.

Se questa riforma “presidenzialista” venisse portata avanti insieme al progetto dell’autonomia regionale, proseguendo parallelamente, senza valutarne le reciproche sovrapposizioni e con l’attuale stato di approssimazione, sarebbe una miscela letale, che produrrebbe un incedere ancora più incerto per i poteri assegnati alle Regioni con la differenziazione, nei rapporti tra queste e lo Stato, nonché un’importante riscrittura della parte Seconda della Costituzione, dove è disegnato l’Ordinamento della Repubblica. Una vera e propria disarticolazione della Carta del 1948, con l’abolizione di fatto della figura del Presidente della Repubblica super partes e garante dell’unità nazionale.

Ripeto, va atteso il testo definitivo, ma dovendo riflettere sull’attuale formulazione, che solo per fare un esempio prevede prima la fiducia del Parlamento al Premier direttamente eletto dai cittadini ma poi anche un sistema contorto per la sua eventuale sostituzione, mi viene il dubbio che alla fine potremmo trovarci di fronte a un modello istituzionale di incerta natura, non potendo essere riconosciuto né come presidenziale né come parlamentare.

Il suo libro ha avuto un ottimo successo di critica e di pubblico. Ritiene che, a livello di opinione pubblica, il tema sia sentito? La popolazione, a suo dire, ha percepito il portato di questa riforma?

Intanto la ringrazio per lo spot benevolo! Guardi, lo stimolo principale che mi ha condotto alla scrittura del libro è stato soprattutto quello di offrire una lettura semplice per aiutare a comprendere il dibattito in corso. Potrebbe sembrare una tematica di poco interesse, riservata alle discussioni tra addetti ai lavori. Non a caso stanno facendo di tutto per tenerla sottotraccia e convincerci che sia così. Ma la verità è un’altra, infatti se questa riforma venisse approvata comporterebbe conseguenze dirette nella vita quotidiana di ognuno, potendo cambiare l’uguaglianza sostanziale garantita dalla nostra Costituzione nell’accesso e nella fruizione di servizi fondamentali quali la sanità, l’istruzione scolastica, le politiche sociali, l’ambiente.

Mi fa molto piacere constatare che nelle numerose iniziative svolte, o dai ritorni avuti da chi ha letto il libro, questo mio lavoro stia contribuendo a stimolare il dibattito e ad appassionare tante persone a un tema che prima gli risultava oscuro. Quindi se debbo rispondere partendo dalla mia esperienza personale posso affermare che l’interesse sta sicuramente crescendo e che c’è tanta voglia di comprendere a fondo gli aspetti della riforma. Lo stesso ottimismo, però, non posso manifestarlo allargando lo sguardo al contesto generale.

L’attenzione è ancora molto limitata, e non mi sembra che da parte dei media, o delle forze politiche e sociali, si stia facendo abbastanza per aumentare interesse e consapevolezza. C’è ancora tempo, ma va impressa una svolta prima che sia troppo tardi. Motivo per cui sono grato dell’opportunità che mi avete offerto in questo spazio.

I risultati del nostro sondaggio su Telegram

In occasione di questa intervista abbiamo lanciato un sondaggio sul nostro canale Telegram su questo argomento decisamente sentito dai cittadini.

Il quesito che abbiamo posto ai lettori è il seguente:

In una nostra recente intervista all’autore ed ex sindaco di Genazzano, Fabio Ascenzi, ha chiosato che l’autonomia differenziata è già prevista in costituzionale, ma che per la tenuta del paese dipende tutto dal come la si declinerà. Cosa ne pensate?

I risultati al momento danno ragione a chi vede questa misura come discriminante nei confronti del Sud:

  • Si tratta di una legge più che legittima, i soldi vanno spesi dove si producono – 13%
  • Questa riforma avrà effetto di penalizzare ancor di più le Regioni del Sud – 75%
  • Non ho un’opinione precisa in merito – 11%

 


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it