Si stanno effettivamente facendo passi avanti per compiere l’adeguamento degli stipendi di dipendenti comunali e regionali, ancora troppo spesso poco equilibrati? Ecco una panoramica sulla situazione attuale e sui possibili scenari futuri.
Nei Comuni italiani, la questione dei salari dei dipendenti ha assunto un ruolo centrale. Secondo un recente rapporto della Fondazione Ifel migliaia dipendenti hanno infatti deciso di abbandonare il posto fisso, una media di quasi 40 persone al giorno.
Sono molte le criticità che analizzeremo in questa sede: vediamo in primo luogo qual è la situazione attuale, quanti posti apicali mancano nelle nostre Pa e quali sono le motivazioni che spingono i lavoratori ad abbandonare il cosiddetto “posto fisso”.
- La crisi della gestione del personale nelle nostre Pubbliche amministrazioni
- Carenza di dipendenti: troppe uscite e pochi “rimpiazzi”
- I concorsi stentano a “ingranare”
- La carenza di segretari comunali
- Stipendi inadeguati come principale motivo di dimissioni
- Le iniziative della Regione Sardegna
- Il caso virtuoso del Friuli-Venezia Giulia
La crisi della gestione del personale nelle nostre Pubbliche amministrazioni
I Comuni italiani stanno attualmente attraversando una crisi crescente nella gestione del personale, nonostante gli sforzi volti all’incremento delle assunzioni. La situazione rivela una costante riduzione del personale a disposizione, che appare in controtendenza rispetto alla percezione “apparente”.
Nonostante il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) abbia avviato misure di “rafforzamento amministrativo” per modernizzare la Pubblica amministrazione locale, rimane ancora aperta la sfida cruciale nel mantenere un organico adeguato.
In ottemperanza alle nuove direttive del PNRR, si è infatti da un lato registrato un notevole aumento delle assunzioni nei Comuni italiani, raggiungendo un totale di 30.828 nuovi dipendenti.
Questo dato rappresenta un impressionante incremento del 131,9% rispetto al minimo registrato nel 2017, superando persino il record del 2019 (di 1.079 unità) causato dai cambiamenti nelle politiche di turnover.
Carenza di dipendenti: troppe uscite e pochi “rimpiazzi”
Tuttavia, la tendenza mostra che le uscite di personale superano le nuove assunzioni, portando a una diminuzione complessiva del numero dei dipendenti.
Questo ha portato complessivamente a un calo nel numero totale dei dipendenti, scendendo a 339.357 dipendenti a giugno 2023.
Si tratta di una conseguenza del fatto che sono ancora troppo pochi i giovani a lavorare nelle nostre municipalità: l’età media del personale stabile è infatti di 50,7 anni. Negli enti locali abbiamo solo due giovani di meno di trent’anni assunti stabilmente ogni cento impiegati. Il confronto con i dipendenti stabili che hanno più di 60 anni è impietoso: nelle funzioni locali sono l’1,8% contro il 20,8% di “anziani”.
Questo si traduce in un’accentuata carenza di personale, che è diventata endemica soprattutto nei piccoli Comuni di montagna. In Italia, un terzo dei municipi (2.437) ha un organico composto da meno di 5 dipendenti a tempo pieno e indeterminato.
Oltre 400 Comuni non hanno alcun dipendente a tempo pieno e indeterminato.
Questa situazione si presenta in maniera più acuta in Piemonte, la regione con il maggior numero di piccoli Comuni in Italia, dove il 60% dei Comuni (690) ha meno di 5 dipendenti.
La Lombardia conta 524 Comuni (il 35% del totale) con organici inferiori alle 5 unità, mentre in Calabria, tale percentuale sale al 43%.
Da notare che l’incidenza dei dipendenti a tempo parziale è particolarmente elevata, soprattutto nelle regioni del Sud.
A livello nazionale, su 268.000 lavoratori comunali a tempo determinato, si contano 54.000 dipendenti a tempo parziale, il che equivale a uno su cinque dipendenti. Nel Sud e nelle Isole, tale proporzione è ancora più accentuata, con un dipendente a tempo pieno ogni 3 lavoratori, uno è part-time.
I concorsi stentano a “ingranare”
Le difficoltà nell’avvio di concorsi rappresentano un altro ostacolo significativo. Nonostante l’entrata a regime del Portale del reclutamento InPa, obbligando i Comuni a pubblicare i bandi a partire dal 14 luglio precedente, al 31 agosto risultavano pubblicati concorsi per meno di 3.000 posti destinati al personale non dirigente a tempo indeterminato, a fronte di un turnover stimato di 40.000 unità.
Inoltre, la maggior parte dei concorsi riguarda una singola unità (il 60% dei 750 concorsi) e spesso propone contratti a tempo parziale, a volte inferiori al 50% dell’orario di lavoro.
La carenza di segretari comunali
Infine, vi è una significativa carenza di segretari comunali, con solamente il 30% dei Comuni che dispone di un segretario in servizio. La situazione è ulteriormente complicata dalla presenza di pochi direttori generali e da un’eccessiva sovrabbondanza di dirigenti con incarichi a contratto.
In alcune situazioni limite, un solo segretario può essere responsabile di 10 o 15 Comuni diversi, situazioni che si rivelano difficili da gestire per tutti gli interessati. Queste circostanze possono portare a benefici economici per coloro che detengono tali incarichi, ma di fatto non favoriscono l’efficienza e la funzionalità degli Enti locali.
Stipendi inadeguati come principale motivo di dimissioni
Tra le varie problematiche soffermiamoci adesso su quella che può essere la principale: vale a dire gli stipendi troppo bassi rispetto ad altri enti appartenenti al comparto delle Funzioni Locali, come le Regioni, o ad altri enti pubblici nazionali.
La motivazione di queste dimissioni è infatti spesso rappresentata dalla percezione di stipendi insufficienti per far fronte alle spese quotidiane.
In particolare secondo le cifre medie estrapolate dal dossier, nei comuni italiani, gli stipendi dei dipendenti (senza tenere conto ovviamente dei dirigenti) raggiungono una media di 27.000 euro lordi all’anno (circa 2.250 euro al mese). Questo importo risulta inferiore rispetto a altre branche dell’amministrazione pubblica.
Per fare un confronto più preciso, i dipendenti dei ministeri, ad esempio, percepiscono quasi 33.000 euro, mentre nelle Agenzie fiscali il salario medio si attesta a circa 38.000 euro e nell’Inps a 34.000 euro.
Ma anche se analizziamo le retribuzioni di dipendenti che lavorano nello stesso comparto emergono delle differenze importanti: se lo stipendio annuo medio di un dipendente della Provincia è simile ed è pari a 28.000 euro all’anno (2.333 euro al mese), quello di un dipendente della Regione corrisponde circa a 34.000 euro (2.833 euro al mese).
In molti si chiedono quali siano i motivi di queste disparità e alcune Regioni si sono mosse o si stanno muovendo per riuscire a creare un vero e proprio “comparto unico”, che possa adeguare in maniera del tutto omogenea le retribuzioni dei lavoratori.
Le iniziative della Regione Sardegna
Una Regione che sta lavorando per colmare il divario nei trattamenti economici e giuridici tra i dipendenti regionali e quelli comunali è la Sardegna.
Nel corso di quest’anno, infatti ci si sta attivando e lavorando per armonizzare le retribuzioni e, per raggiungere questo obiettivo, è stato istituito un tavolo tecnico tra l’Assessorato degli Enti locali e l’Assessorato del Personale.
Si vogliono così esplorare tutte le possibili vie per la creazione del “Comparto Unico del Personale“. finalizzato a facilitare l’interoperabilità tra la Regione e gli enti sul territorio, allo scopo di contrastare l’esodo del personale dai Comuni, in particolare da quelli più piccoli e isolati.
L’Assessore degli Enti locali, Aldo Salaris, ha sottolineato l’importanza di questa iniziativa in un discorso all’Assemblea dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci), e ha evidenziato l’impegno della Regione nel sostenere i sindaci e nell’affrontare le sfide che coinvolgono i Comuni, inclusi i continui “abbandoni” che mettono a rischio l’efficienza, la buona amministrazione e la partecipazione a bandi nazionali ed europei.
Una soluzione che, in tempi di PNRR e di finanziamenti comunitari, sembra l’unica strada da percorrere.
Il caso virtuoso del Friuli-Venezia Giulia
Mentre la Regione Sardegna sta ancora lavorando per ridurre il gap retributivo tra i dipendenti regionali nel Friuli-Venezia Giulia un’importante iniziativa che mira ad equiparare i trattamenti economici e i benefit dei dipendenti comunali a quelli regionali è stata lanciata già a partire dal 2019.
L’intesa sul Contratto unico 2019-2021 ha apportato significativi miglioramenti per oltre 13.000 dipendenti degli enti locali: si prevede un aumento del 3,45% sulla parte tabellare, che si traduce in aumenti salariali mensili compresi tra 65 e 83 euro per tredici mensilità.
Inoltre, è stato concordato un incremento del salario accessorio da 586 a 720 euro all’anno per tutti i dipendenti del comparto, con effetto a partire dal primo gennaio 2023. Questo aumento segue la norma inclusa nell’ultima legge di bilancio, che destina nove milioni di euro (3 milioni all’anno per tre anni) per colmare le attuali disparità salariali tra i dipendenti della Regione FVG e quelli dei Comuni.
L’accordo non si limita a questioni salariali ma rivisita anche diverse indennità, tra cui quelle per il settore educativo, la reperibilità, gli autisti, gli addetti di segreteria e le indennità di vigilanza per la polizia locale. Inoltre, introduce miglioramenti nei ricongiungimenti familiari, nei permessi e nelle progressioni verticali.
Infine, per far fronte all’emergenza della carenza di personale nei piccoli comuni, è stato concordato un incentivo mirato a incoraggiare la permanenza nei paesi con meno di 3.000 abitanti e meno di otto dipendenti comunali. Questa iniziativa è progettata per sostenere le comunità locali e garantire servizi efficienti anche nei luoghi più piccoli.
Infine l’ok definitivo è arrivato a giugno 2023, dopo 4 anni dall’avvio delle trattative nel 2019, dopo che la Corte dei Conti ha dato il via libera agli aumenti nel Comparto unico, confermando l’importanza e la validità del contratto.
In termini finanziari, il contratto comporterà un aumento della spesa pubblica del 4,1%, con un totale di 22,3 milioni di euro destinati anche a garantire l’equità retributiva tra i dipendenti comunali e regionali.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it
lo stipendio medio dei dipendenti comunali non può essere 27.000, visto che tantissimi non arrivano ai 24-25.000
Concordo con Antonella. Se consideriamo le categorie B ed i primi livelli dei C, siamo abbondantemente sotto i 22.000 euro.
Un ex B1 prende 19000 euro l’anno
Nell’articolo avete fatto il GRANDE ERRORE di non considerare la novità CRIMINALE di questo governo: la revisione delle aliquote di rendimento per le quote retributive delle pensioni liquidate dal 2024 in alcune gestioni previdenziali del comparto pubblico, in primis per gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali. Secondo voi i giovani saranno ancora propensi ad entrare negli enti locali con stipendi da fame e future pensioni da mensa della Caritas? Io credo che nei prossimi anni ne vedremo delle belle.
purtroppo intanto noi che già ci siamo e siamo vicini (?) alla pensione ormai siamo fregati. Ma certamente i giovani, che sono ancora in tempo, se ne andranno ben lontano. Comunque lo Stato ci ha già pensato: infatti sta passando tutti i servizi ad una società privata e quindi i dipendenti pubblici presto non serviranno più.