Sulle pensioni resta l’incognita speranza di vita. Per effetto della legge 122/2010 tutte le prestazioni previdenziali ed assistenziali erogate dalla previdenza pubblica obbligatoria sono state agganciate, dal 1° gennaio 2013, all’andamento della speranza di vita Istat della popolazione italiana. La revisione viene effettuata acadenza triennale sino al 2018 (il primo adeguamento ha riguardato il periodo 2013-2015, il secondo il triennio 2016-2018) per poi passare ad un adeguamento biennale.
Si tratta di un meccanismo che comporta un lento e progressivo slittamento dell’età pensionabile di volta in volta fissato, in via definitiva, da appositi decreti ministeriali da emanare almeno 12 mesi prima della data di decorrenza di ogni aggiornamento. L’adeguamento per il 2013 fu infatti ufficializzato in un decreto ministeriale del dicembre 2011, quello vigente attualmente fu adottato da un provvedimento datato dicembre 2014, il prossimo, che riguarderà il biennio 2019-2021, sarà reso ufficiale nel dicembre 2017.
Lo scenario demografico Istat, tuttavia, sta certificando un progressivo allungamento ulteriore della speranza di vita rispetto alle previsioni originarie del 2007, adottate per studiare gli effetti della Legge Fornero, nel dicembre 2011. Il più recente scenario demografico, relativo al 2011 e che sarà probabilmente utilizzato per fissare il prossimo adeguamento per il biennio 2019-2021, mostra, infatti, un innalzamento di ben cinque mesi della speranza di vita e, quindi, dell’età pensionabile nel prossimo biennio rispetto ai quattro mesi preventivati nel 2007.
Cioè si dovrà restare a lavoro sino a 67 anni invece che fino a 66 anni e 11 mesi per ottenere la pensione di vecchiaia, o sino a 43 anni e 3 mesi per la pensione anticipata. E negli anni a venire, utilizzando le nuove proiezioni, lo slittamento porterà un ulteriore innalzamento dell’età di pensionamento di 3 mesi (si veda tavola sottostante) rispetto allo scenario 2007. A conti fatti nel 2050 non si potrà conseguire la pensione di vecchiaia prima del 70° anno di età o, indipendentemente dall’età anagrafica, del compimento di oltre 46 anni di contributi. Requisiti che saranno attenuati solo parzialmente dal graduale passaggio dei giovani di oggi al sistema contributivo che, com’è noto, prevede anche particolari benefici non previsti attualmente per chi è nel sistema misto. E non è detto che il prossimo scenario demografico, che dovrebbe essere pubblicato proprio nel 2016 dall’Istat, non certifichi una ulteriore dilatazione dei tempi di pensionamento.
Che sia necessario mettere un freno a questo meccanismo pare inevitabile, soprattutto con riguardo ai lavori usuranti e ai precoci, soggetti a cui difficilmente può essere richiesto di restare in servizio sino al perfezionamento di età anagrafiche così elevate senza determinare rischi anche per l’incolumità pubblica (si pensi ad esempio ai lavoratori impiegati nella condotta dei treni che hanno perso, dal 2012, le agevolazioni previste dalla normativa precedente).