Un emendamento al disegno di legge Concorrenza sta sollevando dibattiti intensi nel mondo del lavoro e della distribuzione commerciale in Italia: il nuovo tetto sulle commissioni potrebbe farci dire “addio” ai buoni pasto attuali, scopriamo il perché.
I buoni pasto rappresentano uno strumento centrale nel welfare aziendale italiano, offrendo ai lavoratori un sostegno economico e, al contempo, favorendo il consumo presso ristoranti e negozi convenzionati. Questo benefit, oltre a contribuire al benessere dei dipendenti, svolge un ruolo significativo nell’economia del settore alimentare e della distribuzione.
Tuttavia, recenti proposte legislative potrebbero influire su questo sistema consolidato, aprendo un dibattito sulle possibili conseguenze per lavoratori, aziende e attività commerciali.
Attualmente, oltre 170mila attività in Italia accettano i buoni pasto come pagamento per servizi e beni alimentari. Questi esercizi, però, spesso subiscono commissioni elevate, che incidono significativamente sui margini di guadagno. Il nuovo emendamento del Governo intende proprio agire su questo fronte.
Il nuovo tetto sulle commissioni che potrebbe cambiare i buoni pasto attuali
La proposta, inserita come misura emendativa al ddl Concorrenza e promossa dai deputati di Fratelli d’Italia Silvio Giovine e Riccardo Zucconi, mira a imporre un tetto del 5% alle commissioni applicate dalle società emittenti di buoni pasto agli esercizi commerciali, con l’obiettivo di livellare le condizioni tra settore pubblico e privato. Oggi, infatti, mentre gli operatori pubblici godono già di un limite simile, i privati affrontano commissioni che possono arrivare fino al 20%.
La proposta di legge prevede un periodo transitorio di 12 mesi dall’entrata in vigore per consentire alle aziende del settore di adeguare i contratti in essere. Tuttavia, il cambiamento non è privo di opposizioni, poiché tocca un mercato dominato da poche grandi società e introduce modifiche che alcuni ritengono radicali.
Le reazioni: chi è a favore del tetto alle commissioni
Le associazioni di categoria, tra cui Fipe-Confcommercio e Federdistribuzione, vedono positivamente la possibilità di un limite alle commissioni. Secondo Aldo Cursano, vicepresidente vicario di Fipe-Confcommercio, questa misura restituirebbe al servizio sostitutivo di mensa un ruolo meno commerciale e più vicino alla sua funzione sociale.
Anche il presidente di Federdistribuzione evidenzia l’insostenibilità delle alte commissioni, sottolineando che molte imprese non possono più sopportare questo peso economico. Carlo Alberto Buttarelli, dirigente del settore, respinge le accuse che il tetto limiterebbe la concorrenza, sottolineando invece che il mercato italiano dei buoni pasto è concentrato per l’85% nelle mani di tre grandi aziende. La riduzione delle commissioni, afferma, salverebbe questo strumento di welfare, il cui valore risiede proprio nella capacità di supportare i lavoratori.
I contrari: la protesta della multinazionale Edenred
Tuttavia, l’opposizione a questo provvedimento non manca. La multinazionale francese Edenred, tra i principali attori nel settore dei buoni pasto, ha già visto un calo significativo nelle sue azioni, subendo una perdita in borsa del 15% nelle scorse settimane, a seguito dei risultati del terzo trimestre e della reazione dei mercati all’emendamento.
L’azienda ha dichiarato che il tetto alle commissioni violerebbe i principi di libertà di determinazione dei prezzi sanciti dalla normativa italiana ed europea e si prepara a contestare il provvedimento nelle sedi legali, dall’Antitrust in Italia alla Commissione Europea.
Le critiche dell’AIDP
Anche l’Associazione Italiana Direzione del Personale (AIDP) ha espresso dubbi sugli effetti a lungo termine della norma. L’organizzazione avverte che il nuovo tetto potrebbe comportare una serie di ripercussioni: per mantenere invariato il valore dei buoni pasto, le aziende potrebbero trovarsi costrette ad aumentare i costi. In alternativa, il potere d’acquisto dei lavoratori potrebbe essere eroso, poiché le aziende potrebbero decidere di non incrementare ulteriormente il valore dei ticket.
Secondo AIDP, il nuovo limite rischia di avere conseguenze dirette sull’impegno dei lavoratori e sulla capacità delle aziende di attrarre e trattenere talenti. I buoni pasto rappresentano infatti uno dei benefit più apprezzati nel panorama del welfare aziendale. Ridurne l’efficacia, anche solo in termini di potere d’acquisto, potrebbe indebolire uno strumento che ha dimostrato di essere un valido supporto per i lavoratori, incidendo sul loro benessere e, indirettamente, sulle performance aziendali.
Si rischia di dire addio ai buoni pasto per come li conosciamo?
Le misure proposte, se approvate, rischiano di minare uno degli strumenti di welfare più diffusi e apprezzati in Italia. Mentre si afferma di voler riequilibrare le condizioni tra pubblico e privato, il limite alle commissioni potrebbe provocare effetti ben più profondi e controversi. Ridurre i margini per le società che gestiscono i buoni pasto potrebbe portare a una diminuzione della qualità del servizio o a una riduzione delle attività convenzionate, limitando le opzioni per milioni di lavoratori che dipendono da questo sostegno. Se il risultato sarà, come sembra, un peggioramento dell’offerta e una riduzione del potere d’acquisto dei dipendenti, chi pagherà davvero il prezzo di questa scelta “equa”?
Probabilmente, come spesso accade, saranno proprio i lavoratori e le piccole attività commerciali a subire le conseguenze più dure, mentre le grandi società, già dominanti nel mercato, troveranno vie per compensare eventuali perdite. Questo provvedimento, lungi dal rafforzare il welfare aziendale, sembra rischiare di comprometterlo, lasciando i dipendenti con un servizio meno efficiente e meno vantaggi, e le aziende costrette a ridimensionare uno strumento che, fino ad oggi, ha rappresentato un vero sostegno quotidiano.
mai visti
I soliti ghirigori finanziari all’italiana. I buoni pasto si sono diffusi per via degli sgravi fiscali alle aziende, e quindi costituiscono un fringe benefit non tassato per i lavoratori. Basterebbe introdurre un regime di vantaggio per la stessa quota in busta paga per dare ai lavoratori lo stesso importo senza penalizzare gli esercizi commerciali e senza dirottare quel 20% di commissioni alle multinazionali estere