Nell’intervista con Sergio Sette, consulente informatico per la pubblica amministrazione specializzato in digital transformation, esploriamo il panorama delle misure del PNRR destinate alla transizione digitale delle Pa locali italiane.
Ci troviamo dinnanzi a quello che potrebbe essere un cambiamento epocale per la Pa nel nostro Paese attraverso l’uso dei fondi stanziati dal PNRR, soprattutto sul versante della transizione al digitale della nazione. I fondi messi a disposizione vanno spesi bene ed in maniera efficace, dove vi è la necessità di una corretta interpretazione delle linee guida emanate, non sempre facilmente intellegibili, per garantire il successo dei progetti in campo. Discutendo delle implicazioni pratiche dei finanziamenti e dei tempi di attuazione, Sergio Sette analizza criticamente le dinamiche complesse che caratterizzano l’attuale panorama della digitalizzazione nelle pubbliche amministrazioni italiane.
PNRR e transizione digitale, prospettive critiche per le Pa locali: intervista a Sergio Sette
D: Le varie misure del PNRR, a vario titolo rivolte agli enti locali per la transizione digitale, sono adeguate e riusciranno a transitare il Paese verso l’agognata meta della semplificazione e dell’efficienza?
R: Queste misure rappresentano una grande occasione, probabilmente unica e irripetibile, per le PA locali, che si ritrovano per la prima volta a poter gestire fondi adeguati a compiere passi decisivi nella direzione del completamento della transizione digitale e, di conseguenza (così almeno la pensa il legislatore), verso una maggiore efficienza, semplificazione e trasparenza dell’attività amministrativa.
A patto però di saperle correttamente interpretare, perché, i bandi, presi così come sono, non sono affatto sufficienti per raggiungere quegli obiettivi.
Il motivo è semplice: non sono stati scritti per traguardare gli obiettivi dei Comuni, quanto quelli a loro “delegati” attraverso il Piano Triennale per l’Informatica. Detto più chiaramente, sono più obiettivi del DTD che non dei Comuni che, in effetti, sono appunto semplici “soggetti attuatori”.
Cerco di spiegarmi con un esempio: prendiamo l’Avviso 1.4.3 – PagoPA, per realizzarlo è sufficiente, cito testualmente dal bando, “sia stata effettuata una transazione con esito positivo con la corretta applicazione del codice tassonomico per ogni singolo servizio […] Per transazione con esito positivo si intende sia una transazione reale eseguita da un cittadino, nel caso in cui la stagionalità del singolo servizio di incasso lo consenta, oppure in caso contrario – una transazione reale con importo di valore simbolico (es. 0,01€) ma con codice tassonomico e IUV reale, al fine di poter verificare l’effettiva e corretta integrazione del servizio di incasso in modalità end-to-end (cd. transazione di test)”
Nulla si dice del come sono gestite poi queste transazioni, sul processo sottostante. Così ci troviamo di fronte a Comuni che fanno decine di pagamenti di test, risultano asseverabili, intascano il contributo, ma in realtà di PagoPA non sanno nulla, tanto meno lo hanno integrato nel loro sistema informativo. Anzi, mi trovo tutt’ora di fronte a Comuni che ricevano pagamenti attraverso PagoPA e non riescono a capire a cosa si riferiscono, e quelli che ci riescono li gestiscono poi totalmente a mano, cosa che non solo non migliora la situazione ma addirittura la peggiora.
Se l’Avviso fosse stato concepito per realizzare gli obiettivi di efficientamento del Comune, avrebbe dovuto concentrarsi non tanto sul numero di “servizi attivati” (obiettivo del DTD), ma sull’automazione del flusso degli incassi, la cosiddetta riconciliazione contabile, vero motivo, lato PA, per cui ha senso adottare PagoPA.
Un altro esempio esplicativo è quello legato all’Avviso 1.4.1: nessun vincolo imposto riguardo all’integrazione del servizio online con il backoffice dell’Ente, nemmeno per quanto riguarda la gestione documentale. Eppure, l’efficientamento dell’attività si ottiene solo automatizzando queste interazioni. Oggi si può asseverare il progetto senza che l’istanza che perviene dal servizio online sia automaticamente protocollata, lasciando l’attività interna immutata, senza nessun miglioramento.
Esempi di questo tipo si potrebbero fare per ogni Avviso in PaDigitale2026. Non si vuole qui “colpevolizzare” l’estensore degli Avvisi, ma semplicemente far capire con quale logica e fine sono stati scritti per poterli poi correttamente interpretare nel contesto dell’Ente al fine di raggiungere, in fase di realizzazione dei progetti, anche gli obiettivi della singola PA.
In questo passaggio, il ruolo dell’RTD sarebbe fondamentale ma, è inutile nasconderlo, di Comuni dotati di veri RTD, capaci di sostenere il loro ruolo, ce ne sono pochissimi, forse solo i capoluoghi. Nel resto dei Comuni, sarebbe stato necessario un lungo lavoro formativo preparatorio per creare quella capacità di spesa necessaria per gestire correttamente questi fondi. Lavoro che non solo non è avvenuto ma, serve sottolinearlo, nemmeno il supporto esterno, per altro previsto dall’art. 13-bis del CAD, è stato efficace. In moltissimi casi, addirittura, è stato fornito dal produttore stesso delle soluzioni informatiche dell’Ente, in pieno conflitto di interesse. Non proprio il massimo, come si può immaginare.
D: Fra le misure e finanziamenti previsti quali ad esempio il passaggio al cloud, l’interoperabilità, Spid e Cie, i servizi digitali sui siti istituzionali dei comuni, eccetera, a suo avviso, quali sono le più rilevanti ed efficaci? Ed i comuni e gli enti che sono rimasti fuori, per scelta o per errori in fase di candidatura, rimarranno indietro perché impossibilitati a procedere a questi investimenti con mezzi propri?
R: Ci sono solo due veri finanziamenti primari, intesi come strutturali: quello per il passaggio al cloud e quello per la realizzazione dei siti e i servizi online, gli altri sono accessori e servono ad integrare nel sistema informatico dell’Ente le cosiddette “piattaforme abilitanti”.
Chi non ha aderito senz’altro ha perso una grande occasione, ma ciò non pregiudicherà, a mio avviso, né il passaggio al cloud tanto meno la realizzazione del sito e i servizi online. Questo perché, molto semplicemente, erano cose che già molti avevano già realizzato prima con risorse proprie. Non dimentichiamo che quanto finanziato dal PNRR rappresenta praticamente sempre un obbligo normativo, quindi andrà comunque realizzato.
Quello che non si potrà più avere sono i finanziamenti “residui”, il vero plus degli Avvisi, con cui finanziare tutta quella serie di attività che negli Avvisi, come detto prima, non c’erano. Sempre ammesso che i fornitori non li abbiano direttamente prosciugati, e che, laddove ciò non fosse accaduto, rimangano nel bilancio comunale nei capitoli per l’informatica e non trasferiti per finanziare l’asfaltatura delle strade o per le immancabili sagre paesane. Ma nemmeno per finanziare i canoni dei servizi finanziati dagli Avvisi, come, purtroppo, vedo fare nella quasi totalità dei casi. Cosa succederà quando poi, questi soldi finiranno? Si spegneranno i servizi?
È questo un aspetto assai critico che la forma forfettaria del finanziamento, utile per semplificare, ha però ampliato. Quanto introdotto con questi finanziamenti deve essere concepito come qualcosa destinato a perdurare, di strutturale e come tale deve essere reso anche a bilancio. Anche in questo caso il ruolo dell’RTD sarebbe risultato, se presente, risolutivo.
D: Molti enti locali, in generale, ed in particolare parecchi comuni italiani, lamentano da un lato la troppa burocrazia legata ai finanziamenti messi in campo dalla Agenzia per l’Italia digitale, e dall’altro che i controlli, e la relativa erogazione dei contributi, vanno più che a rilento. Tutto questo avrà una ricaduta sulle tempistiche “promesse” alla Ue e sul Pil nazionale vista la mole di soggetti e capitali interessati?
R: Oggettivamente non vedo eccessiva burocrazia per accedere a questi finanziamenti, specie se paragonati a quelli fuori dall’ambito del digitale. Anzi, si nota un notevole sforzo per renderli facilmente accessibili: la forma forfettaria che evita la rendicontazione in Regis, il sito dedicato, a mio parere facile e intuitivo, hanno enormemente semplificato il lavoro per i Comuni. Il DTD ha inoltre messo in campo una struttura capillare formata da numerosi validi Account Manager che, su scala locale, hanno fornito un prezioso supporto ai Comuni. Difficile immaginare ulteriori semplificazioni.
I ritardi ci sono, ma si deve tenere conto che il numero di soluzioni soggette ad asseverazione è notevole e che i controlli sono non solo necessari ma doverosi e i tempi assai compressi. Poi, chiaramente, è tutto perfettibile, ad esempio si poteva evitare di cambiare in corsa il processo di qualificazione delle soluzioni cloud, passato da Agid ad ACN, o evitare di pubblicare Avvisi, come successo nel caso della Piattaforma Notifiche Digitali (SEND), senza che questa realmente esistesse, ma in fondo sono dettagli.
Su questo aspetto sono ottimista e credo che, almeno per il digitale, i tempi del PNRR, saranno rispettati. Sulle reali ricadute sono invece, per tutto quanto sopra detto, molto più scettico. D’altronde, anche per i produttori, vale quello che vale per le PA: per reggere questi grandi investimenti in questi tempi ci voleva una preparazione notevole. Oggi, anche i grandi più strutturati, si trovano in difficoltà a reggere il picco di lavoro.
D: Risponde al vero la sensazione secondo la quale le amministrazioni locali si stanno muovendo meglio delle centrali come ministeri e controllate?
R: Faccio fatica ad esprimere un giudizio oggettivo, primo perché non conosco bene come si muove l’Amministrazione Centrale, poi perché, provenendo da un Comune e operando ancora oggi prevalentemente a loro supporto, rischio di essere di parte.
Quello che si può certamente dire è che i comuni, pur vessati da normative sempre più asfissianti (si pensi al cambio, in pieno PNRR, del Codice Appalti), sempre più in drammatica carenza di organico, in qualche modo stanno reggendo l’urto. Cosa che, almeno dal mio punto di osservazione, pare un vero miracolo.
Poi, certe cose le vediamo tutti i giorni: Comuni che vogliono adeguarsi al CAD e alle norme sulla digitalizzazione fanno fatica perché tante amministrazioni centrali (l’ambito della Giustizia è forse il più eclatante) ancora non si sono adeguate.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it con il contributo di Sergio Sette - esperto in consulenza informatica e digital transformation