dipendenti-comunali-critiche-social-amministrazioniDiventa sempre più forte l’attenzione alle attività social dei dipendenti comunali: sono sempre di più i casi in cui si stringono le maglie del controllo sulle critiche dei dipendenti alle amministrazioni, che rischiano sanzioni anche pesanti.


In un contesto in continua evoluzione, il  Codice di Comportamento per i dipendenti pubblici, di recente revisionato alla luce delle tecnologie social e dei principi di non discriminazione, si presenta come un documento che mira a stabilire linee guida etiche e comportamentali, adattate alle sfide del contemporaneo ambiente lavorativo e alle dinamiche sociali.

Il nuovo Codice, formulato in risposta alle mutate condizioni socio-lavorative, si distingue per il suo impegno a promuovere un ambiente di lavoro inclusivo, dove ogni dipendente, indipendentemente dalle sue caratteristiche personali, possa sentirsi rispettato.

La novità più significativa è rappresentata infatti dal richiamo all’utilizzo responsabile degli strumenti informatici e dei social media, che sottolinea l’importanza di preservare l’immagine dell’ente.

Stop alle critiche social alle amministrazioni per i dipendenti comunali

Tuttavia, accanto ad alcuni esempi di Comuni che insistono su questo punto in modo più oculato sono sempre più le controversie che stanno emergendo in materia, con una situazione che, per alcuni, sta diventando una manovra di controllo fine a se stessa.

Ovviamente si tratta di punti di vista contrapposti. Da un lato alcuni Enti hanno recentemente implementato nuove regolamentazioni attraverso i rispettivi Codici di Comportamento, direttamente sulla falsariga delle nuove disposizioni aggiornate quest’anno.

Dall’altro lato alcuni recenti casi hanno portato al licenziamento dei dipendenti che hanno mosso alcune critiche alle amministrazioni di appartenenza, ponendo interrogativi sul confine tra il diritto alla propria espressione e un atteggiamento lesivo nei confronti dei propri datori di lavoro.

Gli esempi dei Comuni di Chieti e Thiene (Vicenza)

Nei casi che citiamo, relativi alle amministrazioni di Chieti, in Abruzzo, e di Thiene, in provincia di Vicenza nel Veneto, l’attenzione si è concentrata sull’uso etico dei social media, richiedendo ai dipendenti di astenersi da commenti offensivi e di distinguere chiaramente le opinioni personali dalla posizione dell’amministrazione.

Il Comune di Chieti, ad esempio, ha motivato le regole più stringenti mettendo in evidenza il riconoscimento della crescente importanza di internet e dei social media nella sfera professionale. La normativa invita i dipendenti a esercitare cautela nell’utilizzo dei propri profili personali, chiarendo che le opinioni espresse devono risultare chiaramente distinte dalla pubblica amministrazione di appartenenza. Questa mossa è un tentativo di armonizzare la libertà personale dei dipendenti con la necessità di tutelare il prestigio dell’istituzione.

A Thiene si è andati oltre: il Comune ha implementato un decalogo di buone prassi nell’ambito del suo Codice Comportamentale Comunale. Questo decalogo mira a scoraggiare comportamenti online che potrebbero danneggiare la reputazione dell’ente. Oltre a richiedere la dichiarazione dell’affiliazione al Comune nei profili online, si incentiva la promozione attiva dell’ente attraverso la condivisione di materiale ufficiale. Inoltre, si chiede ai dipendenti di vigilare sulla qualità delle informazioni condivise. L’amministrazione invita infine i dipendenti a segnalare eventuali commenti online negativi sull’amministrazione, promuovendo un ambiente digitale più controllato e “trasparente”.

Limitare l’uso dei social rende l’amministrazione più efficiente?

In un’epoca in cui la comunicazione digitale gioca un ruolo cruciale, la questione di limitare l’uso dei social per i dipendenti pubblici solleva interrogativi fondamentali.

Se da un lato è chiaro che norme etiche e di comportamento sono necessarie per preservare l’immagine dell’amministrazione, dall’altro emerge la riflessione critica: fino a che punto limitare la libertà online dei dipendenti può effettivamente contribuire all’efficienza delle amministrazioni?

Il delicato equilibrio tra la necessità di tutelare l’istituzione e il rischio di limitare la libertà individuale pone una serie di domande aperte sulla reale efficacia di queste restrizioni.

La sfida è trovare il giusto compromesso che, anziché limitare, possa incentivare un uso responsabile dei social media da parte dei dipendenti, contribuendo così a una maggiore trasparenza e efficienza delle amministrazioni.

Privacy online: tra diritto di critica e licenziamento

In aggiunta, emerge un’ulteriore sfida legata alla giurisprudenza e ai controlli datoriali riguardo all’utilizzo dei social media da parte dei dipendenti. La crescente attenzione da parte dei datori di lavoro su like, messaggi, emoticon e post apre un dibattito sui limiti della privacy in ambito lavorativo.

Se, in generale, i messaggi scambiati in chat private sono coperti dal segreto della corrispondenza e non possono fondare una responsabilità disciplinare, diverso è il caso dei post pubblici sui social network. La diffusività maggiore di tali post può giustificare addirittura il licenziamento, come evidenziato in casi come quello di Catanzaro e Roma.

Una delle problematiche emergenti riguarda il confine tra la libertà di espressione digitale e le conseguenze lavorative che possono derivarne.

Il caso di Catanzaro

Il caso di Catanzaro illustra vividamente come la diffusività di un post sui social possa trasformare un atto di critica personale in una questione disciplinare. Qui, un’addetta alla mensa scolastica ha pubblicamente criticato su Facebook la qualità del cibo somministrato, mettendo persino in dubbio l’onestà dei consiglieri comunali responsabili dell’ispezione.

La Corte di appello di Catanzaro ha sancito che un’azione del genere, vista la portata pubblica del post, giustifica il licenziamento. Questo caso mette in evidenza il delicato equilibrio tra la libertà di esprimere opinioni personali e la responsabilità del dipendente nei confronti dell’immagine della propria amministrazione.

Il caso di Roma

Un altro esempio proviene da Roma: una dipendente è stata licenziata dopo aver pubblicato un video su TikTok lamentandosi della sua giornata di lavoro.

Il Tribunale di Roma ha ritenuto che, nonostante la piattaforma sia di natura più informale, il video pubblico con commenti negativi violasse il rispetto dovuto al datore di lavoro.

La pubblicità e la diffusività di questi post possono infatti amplificare l’impatto delle critiche, portando a conseguenze lavorative più gravi di quanto potrebbe accadere in situazioni analoghe offline.

Conclusioni

Il controllo da parte del datore di lavoro sui profili social dei dipendenti, unito alle sanzioni per post offensivi o scritti durante l’orario di lavoro, solleva interrogativi sulla sottoposizione della sfera privata dei dipendenti a una forma di sorveglianza digitale.

Questione ancora più complessa quando si considerano elementi come emoticon, numero di amici e commenti condivisi, presi in considerazione dai datori di lavoro nel valutare la condotta dei dipendenti.

Queste nuove dinamiche evidenziano la necessità di definire chiaramente i confini tra la libertà individuale online e la responsabilità nei confronti del datore di lavoro. La giurisprudenza, in costante evoluzione, sta scrivendo i confini della privacy in ambito lavorativo e social, e i dipendenti, comunali e non, si trovano ora a navigare in acque digitali sempre più sorvegliate e con meno possibilità di espletare critiche alle amministrazioni.

 

 


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it