Con una decisione storica, di recente Joe Biden ha rinunciato a correre per un secondo mandato, comunicando immediatamente in successione il suo sostegno per la vice Kamala Harris per le prossime elezioni USA previste a novembre 2024.
Questo avvenimento apre a numerosi interrogativi riguardanti sia le elezioni che il futuro degli Stati Uniti come nazione e come attore internazionale.
Una decisione inaspettata
L’annuncio con il quale Joe Biden ha ritirato la propria candidatura è giunto come un fulmine a ciel sereno anche per i collaboratori del presidente. La stessa vicepresidente Kamala Harris, per la quale Biden ha comunicato il suo sostegno nel tweet successivo, ha dichiarato di non essere stata a conoscenza della decisione fino a pochi minuti prima. Tuttavia, l’ipotesi di una rinuncia di Biden alla corsa per la Casa Bianca si faceva sempre più strada nelle ultime settimane. In seguito al disastroso dibattito televisivo con lo sfidante Donald Trump del 27 giugno, diversi commentatori politici avevano avanzato dubbi sulla lucidità mentale e sullo stato di salute generale dell’ottantunenne Biden, già ad oggi il presidente statunitense più anziano della storia degli Stati Uniti. Poi c’è stato il summit straordinario per i 75 anni della NATO svoltosi a inizio luglio a Washington, durante il quale Biden ha collezionato altre sviste plateali, rivolgendosi prima al presidente ucraino Volodymyr Zelensky come “presidente Putin” e poi a Harris come “vice presidente Trump”. Nonostante l’evidente difficoltà, il presidente in carica aveva però sempre difeso la propria candidatura, descrivendosi anzi come “la scelta migliore” per sconfiggere Trump. Solo pochi giorni fa, Biden ha invece cambiato idea, con una mossa senza precedenti nella storia del Paese.
Prime reazioni e dubbi sulla motivazione
La decisione del presidente è stata accolta positivamente da diversi esponenti di spicco e sostenitori del Partito democratico. Fra le prime personalità politiche statunitensi a pronunciarsi vi sono stati il governatore della Pennsylvania Joel Shapiro e il segretario dei trasporti ed ex candidato alle primarie Pete Buttigieg, i quali hanno entrambi esplicitato il loro sostegno per Harris. Nella stessa direzione si sono inoltre espressi due fra i maggiori finanziatori del partito, il co-fondatore di LinkedIn Reid Hoffman e l’investitore Alexander Soros. L’ex presidente Barack Obama e la ex speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi hanno invece appoggiato il ritiro di Biden ma senza rilasciare ulteriori commenti.
Rimane invece tuttora incerto il motivo dietro la decisione definitiva del presidente. Alcuni membri del partito ritengono che sia stato determinante il confronto di Biden con il senatore newyorkese Chuck Schumer, un suo alleato di vecchia data. Fonti interne hanno infatti dichiarato alla stampa che Biden avrebbe preso alquanto seriamente le critiche di Schumer, congedandosi da questo con la promessa di “prendersi una settimana per pensarci su”. Questa ipotesi non ha tuttavia ricevuto conferme ufficiali.
Le sfide di Kamala Harris
La vicepresidente si è immediatamente detta “onorata” di ricevere il sostegno di Biden, promettendo di impegnarsi per unire la nazione e sconfiggere Trump nonostante la sua candidatura non sia ancora ufficiale. Ogni candidato presidenziale deve infatti ricevere il sostegno degli oltre 4.600 delegati partecipanti alla convention del Partito democratico, che si svolgerà fra il 19 e il 22 agosto a Chicago. Tuttavia, diversi fattori portano a ritenere più che probabile che la scelta definitiva ricada su Harris. La vicepresidente può infatti contare su una campagna già avviata – quella di Biden – con cospicui fondi elettorali e un team consolidato. Inoltre, il partito sembra restio a presentare nuovi nomi, una scelta interpretata da alcuni analisti politici come necessità di mostrare la maggiore coesione possibile in un momento di evidente difficoltà.
La strada verso le elezioni
Diversi politologi vedono inoltre la candidatura di Harris come un possibile rilancio per il Partito democratico, che si trovava in svantaggio dopo le recenti sviste di Biden. Già prima donna e prima persona di colore a ricoprire l’incarico di vice presidente, Harris (figlia di una madre indiana e di un padre giamaicano) potrebbe infatti raccogliere un maggiore consenso fra l’elettorato femminile, quello afroamericano e quello più giovane di età. Alcuni studiosi ritengono inoltre che la vice presidente possa beneficiare della contrapposizione che si può tracciare fra lei, rappresentante della legge in quanto ex procuratore generale nello stato della California, e Trump, recentemente incriminato in quattro procedimenti di cui due federali. Diversi esperti, sia statunitensi che europei, concordano tuttavia sulla necessità per Harris di far conoscere in breve tempo al Paese le proprie posizioni politiche, dal momento che la vicepresidente non ha ancora mai avuto occasione di esporsi su diverse tematiche di attualità.
Gli USA e la NATO
Un altro argomento chiave in vista delle elezioni di novembre è il futuro della NATO. Gli Stati Uniti rappresentano infatti l’attore principale all’interno dell’alleanza in termini di contributi economici e militari, e la scelta del nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe avere effetti determinanti sul suo futuro. Trump si è sempre espresso in maniera estremamente critica rispetto all’Alleanza e alla sua effettiva utilità come attore internazionale, mentre Biden ha intrattenuto rapporti piuttosto solidi al suo interno, soprattutto con alcuni leader come il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro polacco Donald Tusk. In questa ottica, diversi studiosi ritengono che l’eventuale elezione di Kamala Harris porterebbe una maggiore stabilità anche sul piano internazionale, segnalando una continuità politica negli USA e una maggiore coesione della NATO.
Fonte: articolo di Giovanni Benedetti