Arriva la caduta del regime di Bashar al-Assad, al potere per 54 anni in Siria, crollato senza opporre resistenza all’assalto dei ribelli islamici: cosa accadrà adesso nella Regione? Quale impatto avrà questo colpo di Stato nel mondo? Siamo di fronte a una situazione come quella in Libia?
I ribelli, guidati da Abu Muhammad al-Jolani, hanno preso il controllo della capitale senza alcuno scontro armato. Le forze governative si sono arrese mentre Assad era già fuggito dal Paese.
In un messaggio diffuso dalla televisione pubblica, gli insorti del gruppo ribelle islamista Hayat Tahrir al-Sham (ne abbiamo parlato qui) hanno dichiarato “la fine della tirannia”, annunciando il tramonto di un’era durata mezzo secolo. Mohammed Ghazi Jalali, premier in carica, ha offerto collaborazione per garantire una transizione ordinata, mantenendo il suo ruolo fino all’insediamento di un nuovo governo.
Abu Muhammad al-Jolani è giunto a Damasco poche ore dopo, salutato come un eroe. Nelle sue prime dichiarazioni, pronunciate all’interno della storica Moschea degli Omayyadi, ha definito il rovesciamento del regime “una vittoria per l’intera nazione islamica“. Tuttavia, l’incertezza sul futuro del Paese apre scenari complessi, con rischi di nuove tensioni nella regione.
Cosa accadrà in Siria dopo la caduta di Assad?
L’instabilità in Siria potrebbe generare un aumento dei rifugiati, aggravando la crisi umanitaria nei Paesi vicini. I curdi dell’YPG, già attivi nel Nord-Est del Paese, potrebbero espandere il loro controllo. Nel frattempo, il Libano sembra essere il Paese più esposto a ripercussioni immediate, secondo il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto.
La caduta di Assad rappresenta anche una sconfitta significativa per la Russia, incapace di sostenere il regime a causa del conflitto in Ucraina. In un segnale di crescente tensione, le forze israeliane hanno attraversato il confine siriano per la prima volta in 51 anni, aprendo un nuovo fronte di incertezza.
Tra i protagonisti della crisi emerge il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il quale ha saputo capitalizzare il momento. Erdogan, alleatosi strategicamente con al-Jolani, si trova ora nella posizione di poter rimpatriare i milioni di rifugiati siriani presenti in Turchia e ridefinire i rapporti con gli Stati Uniti per il controllo del Nord-Est siriano, dove operano le milizie curde.
Secondo gli analisti, Erdogan ha anche consolidato la sua influenza internazionale, ribaltando i rapporti di forza con Vladimir Putin. Ankara ha infatti acquisito il controllo dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), con l’obiettivo di guidare i negoziati per un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina.
Intanto, Donald Trump, in un messaggio diffuso sulla piattaforma Truth Social, ha rivendicato il crollo del regime siriano come una dimostrazione dell’indebolimento russo. L’ex presidente degli Stati Uniti ha sottolineato che Assad è caduto proprio perché Mosca, distratta dalla guerra contro Kiev, non è riuscita a proteggerlo.
Si rischia una situazione già vista in Libia?
L’assenza di un’autorità unitaria e le divisioni etniche, politiche e religiose che caratterizzano il Paese sollevano lo spettro di una possibile guerra civile prolungata, simile a quella che ha devastato la Libia negli ultimi anni.
Un mosaico di rivalità interne
La Siria, come la Libia, è un Paese complesso e frammentato, dove convivono diversi gruppi etnici e religiosi. La caduta del regime di Assad lascia un vuoto di potere che potrebbe essere sfruttato da attori locali con interessi divergenti. I ribelli, pur avendo raggiunto un obiettivo comune, potrebbero entrare in conflitto tra loro per il controllo delle risorse e delle istituzioni statali.
In particolare, i curdi dell’YPG, già protagonisti nella lotta contro lo Stato Islamico, potrebbero cercare di consolidare il proprio dominio nel Nord-Est del Paese, un’area strategica per la sua ricchezza di petrolio e risorse idriche. Questo rischia di scontrarsi con gli interessi della Turchia, che considera le milizie curde una minaccia alla propria sicurezza nazionale.
Le interferenze internazionali
La situazione siriana è resa ancora più complessa dalla presenza di potenze straniere che potrebbero alimentare ulteriormente il conflitto. La Russia, indebolita dalla guerra in Ucraina, ha perso la sua influenza diretta, ma potrebbe cercare di mantenere un ruolo attraverso alleati locali. Nel frattempo, la Turchia di Erdogan sembra intenzionata a espandere la propria sfera di influenza, sfruttando il vuoto di potere lasciato da Assad.
Anche altri attori, come gli Stati Uniti e l’Iran, potrebbero avere un impatto significativo. Washington potrebbe concentrarsi sul contenimento dell’influenza iraniana e sul supporto alle forze curde, mentre Teheran potrebbe tentare di preservare le proprie posizioni strategiche in Siria.
Un precedente preoccupante
Il parallelo con la Libia è inevitabile. Dopo la caduta di Muammar Gheddafi nel 2011, il Paese nordafricano è precipitato in una guerra civile che ha visto il coinvolgimento di milizie locali e potenze straniere, con il risultato di un conflitto logorante e una drammatica crisi umanitaria. Anche in Siria, l’assenza di una transizione ordinata potrebbe portare a una frammentazione simile, con il rischio di uno stato di anarchia prolungato.
Le sfide della ricostruzione
Per evitare un destino simile a quello della Libia, la Siria ha bisogno di un processo di riconciliazione nazionale inclusivo, che tenga conto delle diverse anime del Paese. Tuttavia, la strada è in salita: la mancanza di fiducia tra i vari gruppi e la presenza di armi in abbondanza rappresentano ostacoli significativi.
In questo contesto, la comunità internazionale potrebbe svolgere un ruolo cruciale nel facilitare il dialogo tra le parti, fornendo supporto logistico ed economico per la ricostruzione. Tuttavia, qualsiasi intervento esterno dovrà essere equilibrato per non alimentare ulteriori divisioni.
Il mercato del petrolio reagisce alla crisi
Le conseguenze della caduta di Assad non si limitano all’ambito geopolitico. I prezzi del petrolio sono saliti dell’1% in seguito all’incertezza legata agli sviluppi in Siria. Questo aumento si somma alla decisione della Cina di adottare una politica monetaria più espansiva, la prima dal 2010, per stimolare la crescita economica.
Parallelamente, Saudi Aramco ha annunciato una riduzione dei prezzi del petrolio per gennaio 2025 per i mercati asiatici, portandoli ai livelli più bassi degli ultimi quattro anni. Gli investitori si preparano inoltre a una settimana cruciale per i dati economici, tra cui il rapporto sull’inflazione statunitense, che potrebbe influenzare le decisioni future della Federal Reserve in materia di tassi di interesse.