Nel primo dei due summit annuali, l’organizzazione ASEAN si è riunita per promuovere una linea comune rispetto alle crisi regionali nel Sud-Est asiatico, in particolare al conflitto in Myanmar e alla situazione nel Mar Cinese Meridionale, invitando anche ospiti esterni.


Alla ricerca di soluzioni

Lo scorso 25 luglio si è aperto il 44° vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) a Vientiane, capitale del Laos. Temi caldi dell’incontro sono le due principali crisi geopolitiche che coinvolgono i dieci paesi membri e i due osservatori, cioè la guerra civile in Myanmar e le dispute territoriali riguardanti il Mar Cinese Meridionale. Per la prima volta, inoltre, viene messo alla prova il nuovo meccanismo di consultazione introdotto dall’organizzazione, una mini commissione comprendente l’attuale presidente (Laos) insieme a quello precedente (Indonesia) e al successivo (Malesia). Sabato 27 luglio sono previste inoltre delle sessioni speciali con la partecipazione dei rappresentanti delle maggiori potenze economiche globali, dalla Cina all’UE passando per Russia, Giappone e USA.

Il conflitto in Myanmar

Da quando la giunta militare ha preso il potere nel febbraio 2021 deponendo il governo di Aung San Suu Kyi, il Myanmar non ha più conosciuto un equilibrio. Da allora, un numero sempre maggiore di gruppi etnici ha impugnato le armi contro i militari, e le ostilità si sono allargate a gran parte del paese nel giro di pochi mesi. Già ad aprile 2021 l’ASEAN ha introdotto un piano in cinque punti per la cessazione delle ostilità sotto la supervisione di un inviato speciale, ma i militari non si sono dimostrati aperti al dialogo. Questa chiusura ha portato l’organizzazione, di cui il Myanmar è membro, a escludere i rappresentanti dalla giunta dai propri vertici in risposta. Tuttavia, la mancanza di un accordo ha compromesso la credibilità internazionale dell’ASEAN come mediatore. Diversi studiosi ritengono inoltre che vi sia una divisione interna all’organizzazione rispetto al conflitto, dal momento che alcuni stati hanno rapporti con i militari e altri con l’opposizione armata. Ciò renderebbe ancora più complesso stabilire un fronte comune dal momento che le decisioni interne all’ASEAN vengono prese all’unanimità. Fra i paesi attualmente più attivi nella mediazione del conflitto vi sono l’Indonesia e la Thailandia, che condivide un lungo confine terreste con il Myanmar. Entrambi spingono in primo luogo per un maggiore impegno nella consegna di aiuti umanitari. Ad oggi, si ritiene che il conflitto abbia causato oltre 5.400 morti e 27.000 arresti, mentre le Nazioni Unite hanno stimato più di 2,6 milioni di sfollati.

La questione del Mar Cinese Meridionale

Altrettanto delicata è la situazione del Mar Cinese Meridionale, una delle principali vie del commercio marittimo globale. La Cina rivendica attualmente un controllo quasi completo sullo spazio navale, trovandosi così in disputa con diversi membri ASEAN, in particolare con le Filippine. Negli ultimi anni Manila, alleata degli Stati Uniti, ha accusato più volte i cinesi di “atteggiamenti ostili”, mentre Pechino ha dichiarato di avere subito delle “deliberate provocazioni”. Lo scorso 21 luglio, i due paesi hanno tuttavia raggiunto un accordo per la cessazione della diatriba. Il documento, che non concede nulla alle rivendicazioni territoriali di entrambi gli stati, viene considerato dai paesi ASEAN come un possibile apripista per stabilizzare i rapporti intorno allo spazio marittimo. Il rappresentante indonesiano all’organizzazione ha dichiarato che il Paese ambisce a finalizzare un codice che regolamenti la condotta nello spazio marittimo entro il 2026. Diversi esperti ritengono tuttavia questa ipotesi poco verosimile a causa del mancato riconoscimento da parte cinese di una decisione della Corte permanente di arbitrato (CPA) nel 2016, che costituisce il fondamento giuridico del progetto.


Fonte: articolo di Giovanni Benedetti