Il Mediterraneo “tutto attaccato” come campo d’azione di un’alleanza ambientalista per una politica comune sul tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici e della tutela della biodiversità, dei settori della pesca e dell’agricoltura, nonché sulla tutela del mare dal rischio d’inquinamento petrolifero.

È su queste basi che si fonda la nuova alleanza mediterranea promossa nel corso del convegno internazionale Mare Mediterraneo, risorsa comune, che si è tenuto oggi ai Cantieri culturali alla Zisa, a Palermo. Il convegno è parte integrante del progetto COP21 che mira a rafforzare la partecipazione dei cittadini dell’Unione europea nelle discussioni attuali sul ruolo dell’Unione europea nella lotta al cambiamento climatico cercando di organizzare il loro parere, al fine di definire e influenzare le politiche comunitarie in questo campo.

Cambiamenti climatici, introduzione di specie aliene, sovrasfruttamento e uso non sostenibile delle risorse naturali, fonti inquinanti e perdita degli habitat sono le principali cause di perdita di biodiversità che interessano particolarmente i Paesi del bacino del Mediterraneo, considerato tra i principali biodiversity hotspots. Il bacino Mediterraneo, infatti, ospita intorno al 7% di tutte le specie di pesci marini presenti al mondo, con un’ampia rappresentanza di specie tipiche sia di ambienti temperati che tropicali. In totale sono presenti 519 specie e sotto-specie delle quali 74 endemiche che popolano principalmente il mar ligure, quello tirrenico e il golfo del Leone. Di queste 519, 43 sono state classificate dall’Iucn come categorie minacciate (criticamente in pericolo, in pericolo e vulnerabili). Quindici specie, sulle 43 minacciate, sono considerate in via d’estinzione, la maggior parte di queste sono costituite da pesci cartilaginei come razze e squali (14 specie). Tredici specie sono “in pericolo” d’estinzione, delle quali 9 sono razze e squali, mentre le ultime 15 specie sono state valutate come vulnerabili (8 squali e 7 specie di pesci ossei). Senza contare che la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi comportano anche dei costi economici, di cui fino a poco tempo fa non si teneva praticamente conto. La perdita annua di servizi ecosistemici viene stimata a circa 50 miliardi di euro; ed entro il 2050 si stima che le perdite cumulative, in termini di benessere, potrebbero essere equivalenti al 7% del Pil.

“Frenare la perdita di biodiversità – spiega Sebastiano Venneri, responsabile Mare di Legambiente – è una delle sfide più grandi da affrontare per i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Il ritorno di specie a rischio nelle nostre aree, la nidificazione delle tartarughe, il recupero di sistemi dunali prima degradati e la battaglia contro il consumo di suolo dimostrano che si moltiplicano le buone pratiche, che racconta bene quanto le persone abbiano voglia di verde, di spazi tutelati, di una migliore qualità della vita. Esempi concreti che oggi abbiamo voluto raccontare proprio per dimostrare che la natura, la sua tutela ma anche la sua corretta gestione può e deve essere il fattore capace di far uscire farlo uscire dalla crisi economica”

Nel corso dei lavori – cui hanno preso parte i rappresentanti istituzionali e di Ong della Tunisia, di Malta, del Marocco, della Grecia, della Spagna, della Francia e della Corsica – è emersa l’esigenza di costruire un’azione comune tra i soggetti che animano la società civile delle sponde del Mediterraneo, perché questo diventi un mare di diritti, pace, solidarietà, cultura e rapporti economici più equi e sostenibili; un luogo fondato su uno scambio paritario di esperienze, idee e impegno.

Quattro i focus trattati durante la giornata di lavori: dalla conservazione della biodiversità, ai rischi connessi alle estrazioni petrolifere, al ruolo economico della pesca artigianale e delle nuove scelte in tema di politiche agricole.

Sul fronte dell’energia la proposta è quella di indirizzare gli Stati verso l’adozione di politiche che abbandonino progressivamente le fonti fossili a favore delle fonti rinnovabili.

“Occorre salvaguardare il mare e le sue risorse naturali non solo dalla pressione antropica, dall’inquinamento ma anche dal rischio delle trivellazioni petrolifere che riguardano non solo i mari italiani ma tutto il Mediterraneo. Per questo oggi rilanciamo una moratoria delle estrazioni offshore su cui coinvolgere tutti i Paesi costieri – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente -.  Un incidente a un pozzo petrolifero offshore, infatti, contaminerebbe il mare e le coste di tutti i paesi del bacino, compresi quelli che vietano le prospezioni nelle proprie acque territoriali. Fermare la deriva petrolifera è nell’interesse generale di tutti i Paesi del Mediterraneo, a partire dall’Italia, e di gran parte dei settori economici. Il no al petrolio non è solo una fissa di pochi, come sostiene il nostro premier Renzi, ma la condizione necessaria per avviare una rivoluzione energetica, garantendo uno sviluppo futuro, anche sul piano economico e occupazionale, sicuramente molto più sostenibile e duraturo”.

Quello di oggi è il primo dei due momenti di discussione promossi da Legambiente: sabato 4 ottobre, infatti, a partire dalle ore 9.30, sempre all’interno dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo, sarà affrontato il tema “Il Mediterraneo e i cambiamenti climatici”, sempre alla  presenza di rappresentanti istituzionali e Ong del bacino del Mediterraneo.

 

 

FONTE: Legambiente

 

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