Ciò che colpisce immediatamente, nel testo del decreto firmato del Presidente della Repubblica e pubblicato il 5 gennaio in Gazzetta Ufficiale, è il duplice colpo inferto alle tempistiche previste per l’attuazione del Piano Ambientale Ilva e, quindi, dei provvedimenti previsti dall’AIA (l’Autorizzazione integrata ambientale) che, è bene ricordarlo, erano già stati oggetto di precedenti proroghe rispetto alle scadenze originariamente fissate.

Il decreto di adozione del Piano Ambientale, del marzo 2014,  infatti, già presentava un preoccupante quadro di incertezze nei tempi di attuazione e stabiliva che entro il 31 luglio del 2015 dovesse essere attuato almeno l’80% delle prescrizioni;  veniva poi affidato al Commissario il compito di precisare con il Piano Industriale le tempistiche di una serie di interventi disegnando uno scenario in cui la scadenza dell’agosto 2016 per l’ultimazione degli interventi appariva aleatoria, oltre che smentita anche da alcune previsioni del piano stesso (l’installazione dei filtri a maniche in sostituzione degli elettrofiltri dell’agglomerato era prevista entro febbraio 2017).

Nel nuovo decreto si stabilisce invece che il Piano si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sono realizzate, almeno nella misura dell’80%, le prescrizioni in scadenza a quella data. Al di là del dato “quantitativo” che già contiene una riduzione del 20%, pari a un quinto del totale, colpisce l’assoluta assenza di elementi di valutazione “qualitativi” e, considerata la crisi delle finanze aziendali, la presumibile esclusione degli interventi più onerosi e, quindi, rilevanti.

Ma il secondo colpo è, se possibile, peggiore del primo. Nel decreto si indica infatti che il termine ultimo per l’attuazione di tutte le altre prescrizioni sarà stabilito con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne consegue che non viene più reso esplicito il termine ultimo di attuazione degli interventi previsti dall’AIA: tra questi interventi è inclusa la copertura dei parchi primari dell’Ilva, un’opera che i tarantini aspettano da sempre, sempre avversata dai Riva, autentica cartina di tornasole della effettiva volontà e possibilità di risanare da un punto di vista ambientale l’azienda e il cui ulteriore rinvio suonerebbe come un’autentica beffa.

Noi chiediamo da subito che, in sede di conversione, venga introdotto nel testo del decreto una esplicita indicazione dei tempi di ultimazione del Piano Ambientale Ilva che, perlomeno, ripristini le precedenti scadenze (già differite rispetto alle originarie): in caso contrario la divaricazione tra esigenze produttive e rischi per la salute sarebbe lacerante rendendo poco credibili gli impegni assunti dallo Stato nei confronti di Taranto.

Gli impegni per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto costituiscono la seconda parte del decreto e ne rappresentano la significativa novità rispetto ai precedenti, di fatto centrati esclusivamente sullo stabilimento siderurgico. Di assoluto rilievo è la assunzione di responsabilità da parte dello Stato che, pur nella indeterminatezza delle disponibilità finanziarie, segna – almeno nelle intenzioni espresse – una svolta stabilendo “la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per l’attuazione di interventi di bonifica, nonché di riqualificazione e rilancio della città e dell’area di Taranto, anche mediante la realizzazione di progetti infrastrutturali e di valorizzazione culturale e turistica”.

Se appaiono condivisibili l’unificazione dei diversi tavoli tecnici in un unico tavolo istituzionale presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri e la fissazione di procedure di silenzio-assenso capaci di incidere sui tempi di rilascio di pareri e autorizzazioni, a partire da quelle relative agli interventi infrastrutturali necessari per l’adeguamento e l’ampliamento del porto di Taranto, è evidente che il giudizio di merito attiene la qualità degli interventi che verranno proposti sia dal Commissario straordinario per la bonifica per il Programma di misure per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell’intera area di Taranto, che dal Comune di Taranto per il recupero, riqualificazione e valorizzazione della città vecchia, che dai ministeri della Difesa e dei Beni e delle Attività culturali e del turismo per la valorizzazione culturale e turistica  dell’Arsenale. A tale proposito, a nostro avviso, è in primo luogo necessario che ognuno dei soggetti coinvolti coniughi la necessaria urgenza nel proporre alla altrettanto necessaria condivisione e partecipazione dei cittadini di Taranto alle scelte.

Sia per l’Ilva che per Taranto, in ogni caso, il vero nodo resta quello – al di là delle parole – delle risorse che effettivamente verranno rese disponibili ed impegnate per il risanamento e rilancio sia della città che della fabbrica. In questo senso il decreto aggiunge pochi elementi definiti al già preventivato utilizzo per l’attuazione del Piano Ambientale Ilva delle risorse sequestrate dalla magistratura milanese (sulla cui effettiva disponibilità pende l’esito del ricorso della famiglia Riva) e alle somme già stanziate per il porto e la bonifica dei Tamburi e del mar Piccolo. Non solo: non vi è traccia né di risorse finanziarie aggiuntive per le strutture sanitarie tarantine né di deroghe alle assunzioni per ARPA Puglia a Taranto.

I riferimenti ad ulteriori risorse assegnate dal Cipe o, per Ilva, ad altre eventuali risorse, rimandano infatti ad atti futuri che spetterà alla comunità tarantina sollecitare o, meglio, esigere in nome di quella “straordinaria necessità e urgenza” che oggi viene finalmente riconosciuta e che da anni, come associazione, rivendichiamo.

 

 

FONTE: Legambiente

 

 

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