isole-minori-italiane-sfida-sostenibilita-rapporto-legambienteLe nostre isole minori alla sfida della sostenibilità: energia, economia circolare, acqua, mobilità, ecco il rapporto di Legambiente.


Il quadro di 20 piccole isole italiane e le storie di 32 buone pratiche dal Mare del Nord al Pacifico. “Per affrettare la transizione 100% rinnovabile, servono una cabina di regia nazionale e un piano per il clima e la sostenibilità elaborato da ogni isola”.

 

Capraia, Capri, Levanzo, Favignana, Marettimo, l’Isola del Giglio, le Tremiti, Lampedusa, Linosa, Pantelleria, Salina, Lipari, Stromboli, Panarea, Vulcano, Alicudi, Filicudi, Ponza, Ventotene e Ustica. Sono le isole del nostro Paese che Legambiente, con il secondo Rapporto del suo Osservatorio sulle isole minori, mette sotto la lente d’ingrandimento per capire come stiano affrontando la gestione dell’energia, dell’economia circolare, dell’acqua e della mobilità. Quattro temi che rappresentano le sfide ambientali più urgenti per l’intero pianeta e rispetto ai quali queste isole, abitate e non interconnesse con la rete elettrica, rappresentano un laboratorio ideale. Nonostante le apparenze, proprio questi territori – come raccontano anche le esperienze di diverse isole nel mondo – possono diventare, infatti, un modello nell’adozione di sistemi sostenibili per l’approvvigionamento di energia pulita e acqua, per la gestione dei rifiuti e per una mobilità a emissioni zero.

 

“Una sfida che, proprio per via del contesto, non può essere solo quantitativa” spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente il cui obiettivo è di evidenziare come sia possibile realizzare un profondo e positivo cambiamento ambientale in questi territori. “Esistono tutte le condizioni – prosegue Eroe – per valorizzare da un punto di vista ambientale, economico e turistico queste isole, dove convivono grandi potenzialità e problemi rilevanti; per esempio, un patrimonio ambientale straordinario vincolato e, nei mesi estivi, un grande afflusso turistico con picchi dei consumi e degli impatti, quando le presenze triplicano o quadruplicano rispetto al numero dei residenti. C’è bisogno di coinvolgere le comunità e di integrare gli impianti nel paesaggio tutelando gli ecosistemi e rafforzando produzioni agricole di qualità. Per questo sono necessari un cambio e un’accelerazione delle politiche”.

 

Partiamo dagli obiettivi: rendere possibile un modello energetico al 100% dipendente da fonti rinnovabili, puntare alla chiusura del ciclo dei materiali, realizzare un modello virtuoso di gestione delle risorse idriche.

 

Il primo è quello su cui ci impegna l’Accordo sul clima di Parigi, per fermare i cambiamenti climatici. Sulle isole, un modello energetico dove dialogano impianti solari e da altre fonti pulite, sistemi efficienti e di accumulo, smart grid e auto elettriche, può consentire di valorizzare al massimo le risorse rinnovabili disponibili e di chiudere le vecchie centrali inquinanti e l’approvvigionamento di fonti fossili dalla terraferma. Il quadro attuale evidenzia, invece, ritardi rilevanti rispetto agli altri Comuni italiani; ognuna di queste isole ha potenzialità di produzione da rinnovabili particolarmente elevate, ma nessuna raggiunge il 4% dei consumi elettrici soddisfatto da rinnovabili mentre il resto d’Italia supera il 32%. Rispetto al 2017 non si registrano nuovi impianti da rinnovabili. Per le 20 isole, la media della copertura del fabbisogno con fonti energetiche rinnovabili è inferiore all’1%. L’eolico è presente solo a Pantelleria con due micro generatori.

 

La gestione dei rifiuti è un’autentica priorità, perché i numeri della differenziata sono bassi e l’unica soluzione adottata è il trasferimento dei rifiuti via nave. Occorre realizzare un’attenta filiera di raccolta differenziata, di recupero e riutilizzo che riguardi tutti i materiali. La raccolta differenziata si attesta in media sul 29% e potrebbe essere raddoppiata, anche con sistemi di raccolta e riciclo in loco per alcune filiere. Solo Pantelleria, Ventotene e Capri superavano nel 2016 la media nazionale del 52,5%. Complessivamente, nel periodo 2010-2016, i tonnellaggi di raccolta differenziata sulle isole minori sono cresciuti del 34% e del 14% l’incidenza della differenziata sul totale dei rifiuti. Una delle voci più elevate dei bilanci delle amministrazioni è sicuramente il trasporto dei rifiuti indifferenziati verso la terraferma, che si aggiunge ai costi di smaltimento.

 

Sul fronte delle risorse idriche occorre ridurre i consumi, recuperando gli sprechi e le perdite di rete che sono in media del 40%.

 

Tre quarti delle nostre isole minori, inoltre, non ha alcun sistema di trattamento delle acque reflue, e laddove esiste si è ben lontani da una gestione ottimale. Dalle dossier risulta che 12 isole su 20 (60%) fanno ancora totalmente o parzialmente affidamento alle navi cisterna per il rifornimento di acqua potabile e non, un servizio che le Regioni pagano a prezzo altissimo ai trasportatori. Rifornire di acqua via nave le Isole Tremiti, ad esempio, costa circa 1 milione e 900 mila euro all’anno alla Regione Puglia, 6750 euro al giorno, 10 euro per metro cubo, pari a 17 volte il costo medio nazionale del servizio idrico (0,60 € per metro cubo); dal 2003 al 2016 la Regione ha speso 22 milioni di euro. Sempre alle Tremiti, il dissalatore in fase di ultimazione a San Domino è costato 3 milioni di euro, cofinanziati da fondi europei.

 

L’investimento iniziale si ripaga in circa un anno e mezzo (meno se si considera il cofinanziamento), attraverso il risparmio della fornitura via mare. Nonostante le tecnologie di dissalazione abbiano raggiunto importanti livelli di sviluppo tecnologico e di efficienza, nelle isole della Sicilia il 50% della fornitura di acqua avviene ancora con navi cisterna. Nelle Eolie si toccano i 13 euro per metro cubo d’acqua, anche se alcune aziende più efficienti potrebbero offrire il servizio a 1,05-1,21 euro per metro cubo. Sostituire l’approvvigionamento idrico via bettolina, con sistemi di dissalazione a osmosi inversa alimentati da un sistema ibrido può abbattere i costi della spesa per il servizio idrico del 65%. Degli impianti di dissalazione funzionanti sulle isole, soltanto quello di Lipari è in parte alimentato da fonti rinnovabili.

 

Per affrontare queste criticità e affrettare il passo del cambiamento, Legambiente propone di creare presso il ministero dell’Ambiente una cabina di regia per accompagnare ogni isola nella realizzazione degli obiettivi che riguardano l’energia, i rifiuti, l’acqua, la mobilità sostenibile.

 

Propone, inoltre, che ogni isola elabori un piano per il clima e la sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di approfondire e individuare le soluzioni per arrivare a un modello energetico incentrato sulle fonti rinnovabili e per una corretta gestione circolare del ciclo dell’acqua e dei rifiuti. Tenendo presente due novità normative utili. Il decreto del ministero dello Sviluppo economico di febbraio 2017 di spinta alle fonti rinnovabili nelle isole minori, che non è però ancora entrato in vigore perché manca la delibera dell’Autorità per l’energia che fissi le regole per l’accesso agli incentivi. La Legge 221/2015 che istituisce il contributo di sbarco (fino a un massimo di 2,5 euro a persona e fino a 5 euro nei Comuni dotati di asset ambientali bisognosi di maggior tutela come i vulcani) per i non residenti che sbarcano sulle isole, e i cui proventi devono essere destinati a sostenere la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, il recupero e la salvaguardia ambientale, interventi in materia di turismo, cultura, polizia locale e mobilità.

 

A riprova che le politiche di sostenibilità ambientale nelle isole, non solo si possono realizzare senza limitarne lo sviluppo socio economico, ma generano anzi benefici diffusi, il rapporto di Legambiente presenta anche l’esperienza di 32 isole, dal Pacifico all’Atlantico, dal Mare del Nord all’Australia, che puntano a uno scenario al 100% rinnovabile e i cui risultati sono stati raggiunti valorizzando le risorse naturali locali e stimolando le economie del territorio, coinvolgendo le comunità di residenti.

 

Dalle isole scozzesi Orkney Islands, Eigg, Muck e Gigha (Scozia), alle danesi Samso e Bornholm, passando per Pellworm (Germania), Bonaire (Paesi Bassi), Aruba (Paesi Bassi), Tilos (Grecia), El Hierro (Spagna), Graciosa (Portogallo), fino a Capo Verde, La Réunion (Francia), Mauritius, Mahé Island (Seychelles), Green Island nelle Filippine, Sumba (Indonesia), Cook Islands (Fiji), Lakeba, Kadavu e Rotuma (Fiji), Beqa Island (Fiji), Tokelau (Nuova Zelanda), Funafuti e Vaitupu (Tuvalu), Vava’u (Tonga), King Island (Australia), Ta’u (Samoa americane), Upolu (Samoa), Kodiak (USA), Virgin Islands (USA), Hawaii (USA), Repubblica Dominicana e Guadalupa.

 

Per fare solo alcuni esempi, Eigg, nell’arcipelago britannico delle Ebridi, è autosufficiente da dieci anni grazie a un mix di impianti da fonti rinnovabili. Samso, nel Mar Baltico, è 100% rinnovabile rispetto ai consumi elettrici e produce addirittura un surplus scambiato con il continente. El Hierro, la più piccola delle Canarie, è la prima isola al mondo ad aver conseguito la doppia autonomia, energetica e idrica, grazie a un sistema integrato basato sulle fonti inesauribili.

 

L’arcipelago di Capo Verde, da sempre energeticamente dipendente dalla terraferma, copre ora con le rinnovabili un quarto del suo approvvigionamento energetico, con picchi del 35% e il governo ha il piano ambizioso di toccare quota 100% energie rinnovabili entro il 2020. Lakeba, Kadavu e Rotuma, tra i territori meno sviluppati delle Fiji coprono il 50% della domanda energetica annua grazie al solare, con picchi di copertura del 90% durante le ore di luce. Ta’u, la più a est delle Samoa, ha costruito nel 2016 una micro-grid basata sulla migliore tecnologia disponibile, che l’ha affrancata dai costosi rifornimenti di diesel, peraltro rischioso per il fragile ecosistema. Si pronostica di mettere così fuori gioco 415mila litri di combustibile fossile l’anno. Il progetto è stato finanziato interamente da organi pubblici.