Vedere tonnellate di petrolio che si riversano in mare dopo un incidente, invischiando tutto ciò che trovano in una marea nera, rimane uno degli spettacoli più strazianti cui l’uomo piega la natura. Ancora oggi non sappiamo porvi rimedio con la dovuta efficienza ed efficacia, ma un nuovo progetto italiano può aiutare la tecnologia a fare un passo avanti.
Grazie ad una innovativa barriera di contenimento per gli sversamenti di petrolio messa a punto da cinque studenti della Scuola di Dottorato del Politecnico di Torino, potrebbe essere molto più facile contenere il danno.
Il progetto del team PIER – Petroleum Innovative Enviromental Remediation del Politecnico di Torino (Giuseppe Airò Farulla, Francesco Brundu, Luigi Colangelo, Pierluigi Freni, Matteo Stoppa) si è classificato al secondo posto nella competizione internazionale promossa dall’Agenzia Spaziale Europea “ESA’s S2UN Challenge”, una sfida tra studenti di università europee con l’obiettivo di elaborare progetti di sviluppo e trasferimento tecnologico basati su tecnologie scelte fra quelle brevettate dall’Agenzia; il contest ha lo scopo di permettere a gruppi interdisciplinari di giovani di approfondire e mettere in pratica le proprie conoscenze lavorando su un case study che porti alla proposta di sfruttamento imprenditoriale di un brevetto.
I ragazzi del team PIER, affiancati da docenti del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione (DIGEP) e da manager industriali che hanno facilitato l’assimilazione di un approccio più simile a quello aziendale in termini di innovazione di prodotto e di processo, hanno proposto un business plan che sviluppa un progetto dedicato al contenimento ed al recupero di petrolio a seguito di sversamenti accidentali in mare.
Utilizzando il brevetto ESA “A deployable tensegrity structure, especially for space application”, i cinque studenti hanno riconsiderato l’applicazione di una struttura dispiegabile rigida, che non utilizza giunti meccanici (impiegata attualmente in campo aereospaziale come antenna), in maniera tale da utilizzarla come anello di contenimento da caricare a bordo delle navi per limitare l’espansione in mare di un eventuale sversamento di petrolio. Il sistema è in grado di passare dalla stato “chiuso” a quello “aperto” e attivo in meno di trenta minuti aumentando il suo volume di oltre 12 volte.
Questa caratteristica lo rende particolarmente interessante per le navi da commercio adibite al trasporto di liquidi inquinanti, poiché ridurrebbe il tempo di intervento nel contenimento dello sversamento, azzerandone quasi completamente il forte impatto ambientale. Un progetto italiano che, visto anche il proliferare delle trivelle offshore promesso dallo Sblocca Italia dell’esecutivo in carica, speriamo non serva per un’applicazione pratica proprio nei nostri mari.
FONTE: Green Report (www.greenreport.it)