Il Governo preferisce le fonti fossili: ecco come si perdono posti di lavoro e investimenti. Che all’Esecutivo fossero care fonti energetiche sporche e inquinanti come le fossili era cosa nota. Quello che forse non tutti sanno è che i provvedimenti attuati dal governo Renzi stanno mettendo in ginocchio il fotovoltaico e l’eolico, comportando la fuga degli investimenti, la perdita di migliaia di posti di lavoro, nessun beneficio sulle bollette degli italiani.
Vogliamo fare luce su queste scelte del Governo: nel nostro nuovo rapporto “Rinnovabili nel mirino” spieghiamo, ad esempio, che nel 2012 erano entrati in esercizio quasi 150 mila nuovi impianti fotovoltaici, mentre nel 2014, anno di insediamento del governo Renzi, i nuovi impianti entrati in esercizio sono stati appena 722.
Non va meglio con i posti di lavoro: secondo uno studio redatto da Althesys per Greenpeace, in Italia entro il 2030 si potrebbero garantire oltre 100 mila posti di lavoro nel settore delle rinnovabili – cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia – mentre, al contrario, nel 2015 se ne sono persi circa 4 mila nel solo settore dell’eolico.
Renzi è riuscito a ostacolare le energie rinnovabili su tutti i fronti: cambiando in corsa accordi già sottoscritti con lo “Spalma incentivi”, modificando la tariffa elettrica per frenare il risparmio energetico e finendo per causare un aumento delle nostre bollette, bloccando i piccoli impianti domestici, specialmente quelli fotovoltaici. Insomma, mentre prometteva un “green act” mai varato e ufficialmente archiviato, Renzi è riuscito a mettere in ginocchio un settore che aveva resistito persino alla crisi economica e che nel resto del mondo crea occupazione e garantisce benefici all’ambiente e alle persone!
Come se non bastasse, aumentano gli incentivi alle fonti fossili. Secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 2014 l’Italia si è piazzata al nono posto in Europa per finanziamenti a combustibili fossili, con 13,2 miliardi di dollari, dato in crescita rispetto ai 12,8 miliardi del 2013.
Non è questo il futuro che meritiamo, e stavolta abbiamo un modo per dirlo chiaramente ai nostri governanti: al referendum del 17 aprile votiamo Sì!