Dal gasdotto Trans Adriatico (Tap) alla Rete Adriatica. Se le scelte economiche e finanziarie dei due principali istituti di credito europei -la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e la Banca europea degli investimenti- non tengono conto dell’impatto ambientale e della sostenibilità

In Ucraina è in corso una vera e propria guerra civile ma è la questione russa a dividere sempre più i governi europei.Pochi giorni fa il consiglio dei direttori esecutivi della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) ha imposto all’istituzione finanziaria europea di congelare i prestiti alla Russia, pari a circa un terzo del suo portfolio di investimenti. Una mossa politica, e non risolutiva, che punta ad aumentare la pressione sul governo di Mosca e a liberare svariate centinaia di milioni di euro per investimenti su altri fronti. Ad esempio, velocizzando le pratiche per il finanziamento di due delle più grandi infrastrutture per il trasporto di gas “non russo” su cui hanno messo gli occhi da tempo la BERS ma anche la Banca europea degli investimenti (BEI), l’altra istituzioni finanziaria dell’Unione europea.

Parliamo del TAP, il gasdotto Trans Adriatico, pensato per portare il gas azero in Europa attraverso le coste pugliesi, e della Rete Adriatica, un pipeline di oltre 600 chilometri che dovrebbe attraversare la dorsale appenninica e con essa alcune delle zone più sismiche di tutta l’Italia.

In una dichiarazione rilasciata all’Ansa, Riccardo Puliti -direttore energia della BERS- ha affermato che la Banca sarebbe pronta a finanziare il TAP con un prestito “fino a 700 milioni di euro”. Un’anticipazione ampiamente diffusa dalle agenzie di stampa italiane in un momento cruciale, ovvero quando la pressione europea sul governo italiano per chiudere la procedura VIA (valutazione d’impatto ambientale) si fa più intensa, mentre la decisione rimane pendente presso il ministero dell’Ambiente. Una bocciatura sarebbe un grosso problema per TAP, la società registrata in Svizzera che da diversi anni è presente sul territorio salentino, dove cerca di assicurare il consenso a un progetto che è invece sempre più contrastato dalla popolazione.

Proprio dal Salento sono arrivate centinaia di osservazioni tecniche al progetto in merito alle sue lacune, aumentando la preoccupazione di chi su quel territorio vive e lavora. La BERS è ben consapevole del fatto che la sezione albanese del gasdotto -l’unica ad avere completato la VIA– non avrebbe senso né utilità senza le sezioni italiana e greca. Perché affrettarsi nell’annunciarne il finanziamento quindi? Forse perché proprio in questi giorni in Salento infuria la protesta contro la campagna di finanziamenti a festival musicali, feste del patrono, eventi culturali promossa dalla TAP, che si è rivoltata come un boomerang contro la società. Tra i primi a pronunciarsi contro, artisti come Roy Paci e Treble, storico fondatore dei Sud Sound System, seguiti a decine da cantanti, musicisti, ma anche amministrazioni locali e persino dall’arcivescovo di Lecce.

Sempre di inizio estate è la notizia dell’approvazione di un finanziamento di 200 milioni di euro da parte della BEI a Snam per la costruzione di diverse tratte di gasdotti in Italia. Un pacchetto misto presentato ad aprile alla Banca, e approvato a inizio giugno, che contiene un pezzo della Rete Adriatica (la tratta Biccari-Campochiaro), l’unica di un progetto controverso che abbia ottenuto le necessarie autorizzazioni. Il resto del gasdotto, da Brindisi a Minerbio (vicino Bologna) è fortemente osteggiato da una cordata di comitati e pubbliche amministrazioni che pongono in rilievo i forti impatti sul territorio e sull’ambiente, e la stessa sicurezza pubblica di un gasdotto che incredibilmente si propone di attraversare diverse faglie sismiche, inclusa quella che ha originato il tristemente noto terremoto de L’Aquila del 2009 e quello umbro del 1997. Un finanziamento contestato alla BEI dal Comitato No Tubo (notubo.blogspot.com/), che assieme ad altre organizzazioni italiane ed europee tra cui Re:Common (www.recommon.org/) ha scritto alla BEI chiedendo di ritornare sui suoi passi e di non finanziare il progetto. In attesa della risposta della Banca, la domanda che emerge spontanea riguarda proprio la strumentalità politica di questi finanziamenti, e di istituzioni come la BEI e la BERS, che si muovono a segnale senza effettuare una reale valutazione economica e finanziaria di progetti a rischio, che chissà se e quando saranno completati.

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