L’UE ha presentato il pacchetto di misure sull’economia circolare. Si tratta della normativa che dovrebbe rottamare discariche e ridurre il ricorso al recupero energetico, mettere fine allo spreco di cibo, obbligare una volta per tutte alla raccolta separata della frazione organica dei rifiuti, allungare la vita ai prodotti con obblighi di riciclabilità e riparabilità per gli elettrodomestici così da porre fine al fenomeno dell’obsolescenza programmata.
Destinata a cambiare il modo in cui produciamo, utilizziamo e smaltiamo i nostri prodotti in Europa, è, nelle intenzioni, la più importante normativa ambientale varata dall’Unione negli ultimi anni: vale per il settore produttivo risparmi pari a 600 miliardi di euro e circa il 2-4 % di taglio annuale di emissioni climalteranti.
“Al momento, però, solo nelle intenzioni – commenta la direttrice generale di Legambiente Rossella Muroni – perché il pacchetto presentato oggi dalla Commissione Juncker è fortemente depotenziato rispetto al progetto iniziale. E’ evidente che il pacchetto di misure, così com’è congegnato, non va nella giusta direzione, sia per la mancanza di misure cogenti e tempistiche strette, sia perché fissa obiettivi che in una buona parte dei paesi sono già realtà. In questo modo – prosegue Muroni – rischia di non fare scattare quella mole di lavoro e di prodotto interno lordo che la proposta intende promuovere. E’ anche un pessimo segnale rispetto alla Conferenza sul clima che si sta svolgendo a Parigi. Perché per ridurre le nostre emissioni di gas serra e contenere l’aumento della temperatura del pianeta sotto ai due gradi centigradi servono fatti e non proclami”.
La normativa è figlia della precedente Commissione Barroso, ma l’attuale commissione Junker la ritirò immediatamente per poi promettere di ripresentarla migliorata a fronte delle critiche ricevute in quell’occasione. Il confronto tra le due proposte dimostra però che non è così.
L’obiettivo di riciclo dei rifiuti urbani, che era del 70% al 2030 nella prima proposta, scende al 65% con Estonia, Grecia, Croazia, Lettonia, Malta, Romania e Slovacchia che potranno chiedere una proroga di 5 anni. Scende dall’80 al 75% l’obiettivo di riciclo degli imballaggi al 2030.
Scendono anche gli obiettivi sulla riduzione del conferimento in discarica. Il documento attuale prevede che possano finire in discarica nel 2030 fino al 10% dei rifiuti domestici, compresi rifiuti riciclabili o compostabili. Mentre quello precedente fissava, per la stessa data, un massimo del 5% per i rifiuti non pericolosi di origine domestica ed escludeva quelli riciclabili o compostabili.
La raccolta separata della frazione organica avrebbe dovuto essere obbligatoria ovunque entro il 2025. Ora si parla di organizzarla ovunque entro il 2025 laddove si dimostri tecnicamente, economicamente e ambientalmente possibile.
Una clausola, quest’ultima, molto pericolosa. La lobby degli inceneritori qui ha colpito pesantemente, con la pretesa di considerare come rinnovabile la quota di energia derivata dalla combustione della frazione umida dei rifiuti urbani e la continua e strisciante lotta contro il porta a porta che sottrae materia alla combustione e la indirizza verso la produzione di biometano e compost.
Per la riduzione dello spreco di cibo, si indicava 30% in meno di cibo finito in spazzatura nel 2025 rispetto ai valori del 2017 mentre ora non viene suggerito nessun obiettivo ma solo una proposta di armonizzazione della metodologia di calcolo.
Non c’è nessun accenno all’obiettivo di efficienza nell’uso delle risorse, cioè come fare gli stessi prodotti consumando meno materia. Un punto che era invece alla base del pacchetto precedente, che indicava una riduzione del 30% rispetto al consumo di materie prime impiegate nella produzione manifatturiera.
Inoltre, il pacchetto non prevede misure specifiche per l’eliminazione di sostanze tossiche dai prodotti, che impediscono il riciclo e mettono in pericolo la salute di chi produce o ripara i prodotti.
Un aspetto positivo è, invece, quello legato alla direttiva Ecodesign, dove finalmente verranno inseriti criteri di durevolezza, riciclabilità e riparabilità negli elettrodomestici prodotti e venduti in Europa, così da combattere l’odioso fenomeno della obsolescenza programmata. Da anni gli ambientalisti a Bruxelles chiedono l’allargamento di questa direttiva oltre il tema dell’energia e pare arrivata la volta buona: risparmiare risorse nella produzione di un elettrodomestico e dargli una vita più lunga significa, infatti, anche diminuire le emissioni globali.
Positiva, anche, l’introduzione della prevenzione dell’obsolescenza programmata di cui non si faceva menzione in precedenza.
“Il nostro paese – riprende Rossella Muroni, direttrice generale di Legambiente – è già abbastanza virtuoso nel settore dell’economia circolare. Per ogni milione di euro di pil, infatti, produciamo 42 tonnellate di rifiuti a fronte delle 65 prodotte dalla Germania per esempio, grazie alla capacità di recupero e riuso dei rifiuti nel settore produttivo, un settore che è piuttosto sviluppato, anche se la situazione si presenta molto diversa da regione a regione, con aree che sono campioni a livello europeo e altre che continuano a investire in discariche e inceneritori.
Proprio il settore delle discariche è quello che avrebbe beneficiato di più di un obiettivo vincolante e coraggioso perché sottrarre rifiuti alla discarica avviando tutto quanto possa essere riutilizzato al riuso o quanto riciclabile al riciclo è un imperativo non più derogabile”.