Gli interventi di demolizione e ricostruzione devono rispettare le distanze minime tra edifici previste dal DM 1444/1968? La risposta la dà il Consiglio di Stato, con la sentenza 4728/2017.
Il legislatore nazionale – riprendendo una anteriore definizione contenuta nel’art. 31, co. 1, lett. d) della l. n. 457/1978 – ha dedicato alla ristrutturazione edilizia l’art. 3, co. 1, lett. d) del Testo Unico dell’edilizia (DPR n. 380/2001), “aggiungendo” ulteriori riferimenti nell’art. 10, lett. c) del medesimo Testo Unico. Tali disposizioni, tuttavia, sono state oggetto di plurimi interventi modificativi ed integrativi, di modo che, al fine di verificare la rispondenza del concreto intervento edilizio al tipo normativo, occorre di volta in volta individuare la norma vigente al momento del conseguimento del titolo edilizio. Giova immediatamente precisare che, nel corpus normativo dedicato alla “ristrutturazione edilizia” (almeno fino alla novella del 2013), sono presenti due distinti tipi di ristrutturazione: – la ristrutturazione edilizia cd. “conservativa”, che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma; – la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, nel rispetto del volume e della sagoma dell’edificio preesistente, con la conseguenza che, in difetto, viene a configurarsi una nuova costruzione (Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2014 n. 5988).
Tali due distinte figure di ristrutturazione edilizia trovano la loro fonte entrambe nel citato art. 3, co. 1, lett. d) DPR n. 380/2001, risolvendosi il successivo art. 10, lett. c), solo in una norma di indicazione dei casi di ristrutturazione sottoposti a permesso di costruire. La giurisprudenza amministrativa ha analizzato la tipologia della “ristrutturazione edilizia” (anche al fine di distinguerla dalla ipotesi di nuova costruzione, di cui alla successiva lett. e) dell’art. 3, co. 1 DPR n. 380/2001), tenendo innanzi tutto presenti le distinte (ed innanzi riportate) ipotesi di ristrutturazione indicate dal legislatore.
In ordine alla definizione di “ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma, non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica.
In sostanza:
– nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso – proprio perché “coincidente” per tali profili con il manufatto preesistente – potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa). Come questa Sezione ha avuto modo di osservare (Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2017 n. 4337), “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse”.
– invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso – quanto alla sua collocazione fisica – rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare – indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione – le norme sulle distanze.
In allegato il testo completo della Sentenza.