Mentre continuano i conflitti violenti per i metalli rari utilizzati nei nostri cellulari e computer portatili ed i e rifiuti elettronici non smettono di accumularsi, gli ingegneri si rompono la testa su ancora  nuovi modi per garantire che i prodotti muoiano più velocemente.

Ci vogliono 244 kg di combustibili fossili, 21,8 kg di prodotti chimici e di 1,5 tonnellate di acqua per produrre un computer e il suo monitor. Secondo Carsten Wachholz, product policy officer dell’European Environmental Bureau: «Per compensare l’energia consumata per produrlo, un computer portatile dovrebbe essere utilizzato per più di 20 anni, anche con un livello di miglioramento del 20 – 30% dell’efficienza energetica nello stesso periodo». Succede l’opposto: i computer realizzati durante il 2010 hanno una durata di vita inferiore del 10% rispetto a quelli realizzati nel 2000. Lo stesso vale per telefoni cellulari, iPod e così via. Non sorprende che la quantità di rifiuti elettronici prodotta nel mondo continui a salire in modo esponenziale, ad oltre 50 milioni di tonnellate di e-waste, ogni anno.

L’idea dell’obsolescenza programmata è iniziata con le lampadine, le calze di nylon e le automobili, ma ora si è spostata a tutti i dispositivi elettronici, textbooks, lavatrici, forni a microonde, software ed a quasi ogni prodotto che possa eventualmente rompersi o diventare “old-fashioned”. Gli ingegneri sono invitati a fare in modo che le cose vadano in discarica più velocemente e quindi sia necessario acquistare qualcosa di nuovo più velocemente. Questo frutta un sacco di soldi alle companies, ma ha diversi brutti effetti collaterali: aumenta il consumo di materia e di energia in  un pianeta con un impoverimento degli stocks ed un aumento dei rifiuti. Questi sono i principali driver che stanno dietro le ingiustizie ambientali, che abbiamo accuratamente mappato negli ultimi tre anni di ricerca (Environmental Justice Atlas. ndr). Quindi, diamo uno sguardo più da vicino a questa fonte di tanti mali ed a come fermarla.

 

“Designed to Fail”: una breve storia

Quando si guarda la definizione di “obsolescenza programmata” su Wikipedia, si gratta la superficie: «La logica dietro la strategia è … ridurre il tempo che intercorre tra acquisti ripetuti … C’è un’ asimmetria di informazioni tra produttore – che sa per quanto tempo il prodotto è stato progettato per durare – e il consumatore, che non lo sa In parole povere: i produttori ingannano i consumatori sperando di vederli ancora presto e prestissimo».

Un buon punto di partenza per saperne di più è quello di guardare “AKA The Light Bulb Conspiracy”  (Pyramids of Waste – 2010). Questo pluripremiato documentario ripercorre la storia dell’obsolescenza programmata. Negli anni ‘20, le lampadine duravano in media 2.500 ore, ma nel 1940 la media era diventata di 1.000. Da documenti ufficiali mostrati nel documentario si è scoperto che un cartello segreto dei 3 maggiori produttori allora si accordò sul fatto che nessuna lampadina doveva durare più di 1.000 ore e l’intesa prevedeva che i soci avrebbero dovuto pagare multe sulla base del superamento di questo limite di durata le loro lampadine.

Nel 1932 Bernard London scrisse “Ending the Depression Through Planned Obsolescence”. Voleva che il governo rendesse obbligatoria per legge l’obsolescenza programmata sugli articoli di consumo, per stimolare e perpetuare il consumo. Ma perché renderlo pubblico e farlo rispettare per legge quando le companies  lo fanno di nascosto, evitando così la difficile spiegazione pubblica del motivo per cui è necessario rendere le cose meno buone?

Quando Dupont inventò le calze di nylon nel 1940, i test furono  effettuati sulle mogli e le figlie degli ingegneri che le avevano fatte. Non mostrarono alcun segno di sviluppo di cedimenti. Quello era un modello di business cattivo. Così agli ingegneri della Dupont venne ordinato di renderle meno forti.

Nel 1960, il critico culturale Vance Packard pubblicò The Waste Makers, promosso come un’esposizione del  «tentativo sistematico del business di renderci spreconi, oppressi dai debiti, degli individui permanentemente scontenti». Il libro descrive la manipolazione della gente comune da parte degli interessi commerciali.

La mainstreaming planned obsolescence ha creato un flusso crescente di rifiuti. Alcuni di questi vengono riciclati nei Paesi ad alto consumo, nei quali è disponibile la tecnologia avanzata per estrarre un paio di grammi d’oro da un mucchio di telefoni cellulari rotti. Ma dall’80 all’85% di prodotti elettronici vengono scaricati  nelle discariche o negli inceneritori. L’e-waste rappresenta il 2% della spazzatura  nelle discariche americane, ma è uguale al 70% di rifiuti tossici globali . E’ qui è dove viene fuori il principio di Lawrence Summers. L’ex economista di peso della Banca Mondiale scrisse vergognosamente (in un memo interno trapelato) che «Con un costo più basso, è necessario realizzare una data quantità di inquinamento che leda la salute nel Paese». Circa l’80% dei 3 milioni di tonnellate annue di rifiuti elettronici prodotti negli Stati Uniti viene esportato in Asia, dove milioni di persone hanno a che fare con i danni gravi, diffusi e prolungati causati da questo flusso di rifiuti. Ultimamente ci sono state molte discussioni che chiedono di definire questo un ecocidio.

D’altra parte: è altrettanto vero che l’e-waste non proviene sempre dall’Europa o dall’Occidente in generale. L’United Nations Environmental Program prevede che entro il 2017 in Africa si produrranno più rifiuti elettronici rispetto all’Ue. Secondo un rapporto dell’Unep, intitolato “Recycling – from E-Waste to Resources”, la quantità di rifiuti elettronici prodotti – compresi telefoni cellulari e computer – nei prossimi 10  in Paesi come l’India potrebbe aumentare di ben il 500%. Ma affrontare l’obsolescenza pianificata dal  lato del produttore rallenterebbe tutti i flussi di rifiuti,  non importa dove vengano fatti, venduti ed usati i prodotti.

Un corso accelerato di “designing to fail”

Con l’evoluzione dei prodotti, si sono evoluti anche i trucchi per renderli più deboli. Con la presente vi presentiamo un piccolo corso accelerato l’arte di progettare prodotti fatti per rompersi. Ecco di cosa avete bisogno:

La colla renderà possibile il vostro business model sticks. Invece di armare i suoi prodotti con le solite batterie sostituibili, Apple le incolla al prodotto. La batteria si rompe? Questo ti costerà circa 100 dollari, richiederà una settimana ed Apple cancellerà la memoria del telefono. Per gli iPod è ancora peggio: la riparazione costa più che comprarne uno nuovo. E quando alcuni ragazzi hanno pubblicato una guida on line su come farlo da soli, Apple ha subito inventato le sue viti per assicurarsi che non sia possibile aprirli e riparali.

Chips. Non nella versione patata, quelli IT. E’ possibile nasconderli in profondità all’interno di una stampante. Diranno anche agli utenti del prodotto ingenui che, un martedì mattina, la loro stampante, purtroppo, non funziona più. Invece di dirci di svuotare o pulire la cartuccia dai rifiuti, la stampante ci dirà che ha bisogno di (costose) riparazioni o sostituzioni. I chips sono utilizzati anche per dire alla gente che l’inchiostro è esaurito – anche se fino al 64% dell’inchiostro è ancora nella cartuccia. E non importa che ogni cartuccia di una stampante laser di grandi dimensioni per farla richieda circa tre litri di petrolio e 2,5 chili di plastica.

Ammorbidirlo. Perché utilizzare materiali durevoli in posti sensibili, se avete qualcosa che ha più probabilità di rompersi? Aprite quella lavatrice, lavastoviglie, forno a microonde o frigorifero e trovate le parti che si possono sostituire con versioni più “morbide”. La maggior parte dei produttori “smart” già lo fanno.

Incompatibilità. Siete un IT-freak con un talento per realizzare applicazioni e giochi? Pensate ad una serie di giochi ed a fare in modo di prevenire ed  evitare la “backward compatibility”, come fa la maggior parte dei vostri concorrenti. Lo stesso vale per il software, nel quale la retro-compatibilità è spesso eliminata di proposito.

Non è la tecnologia, è il sistema

L’obsolescenza programmata non si limita ai nuovi tipi di tecnologia. Anche se di anno in anno per la maggior parte delle materie di base non cambia molto, gli editori di textbook pubblicano frequenti aggiornamenti. Il problema è che, ogni nuova edizione viene di solito stampata con le informazioni messe in pagine con numeri diversi, il che rende difficile seguire insieme alla classe con un volume precedente. Le ragioni per le quali gli editori educativi  si abbassano a queste tattiche sono abbastanza chiare: è al fine di mantenere i profitti che devono rendere i loro prodotti e che altrimenti prodotti durevoli farebbero in qualche modo “scadere”. Tuttavia, molti gruppi di studenti si stanno organizzando per fornire versioni a buon mercato di seconda mano, con semplici linee guida sull’utilizzo modificato.

Poi c’è, naturalmente, l’idea assurda di avere una nuova moda ad ogni nuova stagione. Per approfondimenti su quando, dove e come l’umanità abbia evoluto esemplari sensibili alla moda: consultare uno dei libri di Naomi Klein su questo argomento: No Logo . Per farla breve: è a causa di tagli, orli o colori che un sacco di quel che viene pubblicizzato e venduto è destinato ad andare fuori moda in breve tempo. La soluzione è piuttosto semplice: non credere all’’hype e non diventare una fashion victim. L’offerta di abbigliamento di seconda mano è diventata molto più varia e ben diffusa, il che consente una via di fuga.

Le soluzioni sono ovunque

La varietà di opzioni per i creatori di guasti è senza limiti. Il loro nemico? I consumatori come Tim Hicks. Tim ripara computer portatili. Ha utilizzato un sito web per pubblicare in pdf ogni singolo manuale per laptop, fino a quando gli avvocati della Toshiba hanno costretto Tim a rimuovere i manuali di oltre 300 laptop Toshiba. Mantenere i manuali offline assicura l’unica strada perché  i clienti assediati continuino ad inviare i dispositivi malfunzionanti solo ai centri di servizio ad alto costo autorizzati dal produttore. Rendendo così costoso e scomodo riparare l’elettronica rotta, molte persone buttano semplicemente via i dispositivi.

Ma Tim ha ancora la maggior parte dei manuali on-line e non è solo. Su internet è fiorito un  network di fixers e repair-doctors, compreso un  video su Youtube che spiega come fare in modo che una stampante con il chip malefico del malfunzionamento lavori di nuovo. Gli iFixers hanno realizzato il “repair manifesto”  – con l’obiettivo di ispirare le persone a riparare più roba ed a diventare così parte di un movimento eco-attivista, con lo slogan “join the revolution” e con la linea di base if you can’t fix it, you don’t own it”. La gente si sta anche organizzando nei repair cafés,  dove volontari del fai-da-te,  persone alle quali piace riparare gli oggetti, lo fanno gratuitamente.

Un’altra opzione è quella di lavorare ai  sistemi di ritiro, anche se questo è fattibile solo per i grandi produttori che poi mettono il costo di nuovo nel prezzo sui consumatori. Ma questo non dovrebbe essere un problema. In un recente sondaggio di Eurobarometro, il 77% dei 26.573 intervistati hanno detto che sono disposti a pagare di più per prodotti ecologici se fossero sicuri che i prodotti sono veramente ecologici. Un’altro Eurobarometro ha dimostrato che il 27% utilizza sharing schemes, il che comprende la condivisione di auto o bici o oggetti come un tosaerba. E il 21% dice di aver locato o noleggiato un prodotto come una lavatrice, invece di acquistarlo. Anche il settore del leasing si sta ampliando a sempre di più prodotti. Philips, per esempio, ora sta offrendo contratti Lifecycle Services Performance per le lampadine.

Il guasto pianificato è un fallimento del mercato

L’obsolescenza programmata non è una teoria della cospirazione. E’ un modello di business che è diventato uno standard in molte industrie, dato che è una caratteristica integrata della religione della crescita. Questa religione è attualmente impegnata nel distruggere le condizioni che rendono la vita sulla terra piacevole per gli esseri umani. Ma questo non significa che siamo condannati. E’ piuttosto il loro business-model  ad essere condannato ed esistono alternative.

Da un lato, bisogna che i governi di affrontino  la questione. La maggior parte dei governi regolamentano una vasta gamma di prodotti, ma è necessaria un’attenzione specifica per l’obsolescenza programmata. Il promo  ottobre, il governo austriaco ha lanciato il nuovo label of excellence for durable, repair-friendly designed electrical and electronic appliances. Il 17 marzo 2014 la Francia ha adottato nuove leggi sul consumo, comprese regole dirette esplicitamente a prevenire l’obsolescenza programmata.  Sappiamo che l’Ue sta facendo alcune cose buone ai sensi della direttiva Ecodesign, ed anche un giornale come The Telegraph è convinto dell’utilità della normativa in materia di durata ed efficienza degli aspirapolveri.

La regolamentazione è però il risultato di una battaglia in continua evoluzione tra consumatori-attivisti da un lato e le lobby aziendali dall’altro. Qualche volta si vince, ma molte volte si perde. Quindi abbiamo bisogno di gente come Tim e Michel Bauwens dalla fondazione peer2peer che aiutano i consumatori a trovare il modo di circumnavigare le trappole mettendosi insieme sia online, in un repair-café o in qualsiasi modo vogliano. C’è chiaramente un trend in questa direzione e per molte persone è solo questione di colmare il gap informativo: la maggioranza non sa che il free support e un’economia dei beni comuni in realtà esistono e sono più accessibile di quanto si pensi Il  media mainstream non è riuscito a leggere i segni sul muro in quanto è troppo occupato a produrre contenuti relativi alla pubblicità della quale hanno bisogno.

Nell’economia capitalistica, il guasto di un prodotto è diventato una caratteristica. Ma al di fuori del mercato, le persone lavorano insieme per risolvere i problemi con soluzioni durevoli. Quindi la buona notizia è che non è necessario essere vittime della moda, il consumatore schiavo frustrato per ogni tostapane e stampante che improvvisamente si rompono. C’è un mondo là fuori con persone che risolvono i problemi, pezzo a pezzo.

 

 

FONTE: Greenreport (www.greenreport.it)

AUTORE: Nick Meynen

 

 

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