Nella relazione del Comitato di monitoraggio paritetico Agenzia-Anci sul processo di revisione dei classamenti degli immobili “ordinato” dalla Finanziaria per il 2005 (articolo 1, commi 335 e 336, legge 311/2004), presentata oggi nell’ambito della Conferenza Stato-città e autonomie locali, tenutasi a Roma presso il ministero dell’Interno, nero su bianco i risultati raggiunti in un decennio di collaborazione.
La pubblicazione intende, innanzitutto, favorire una riflessione sull’importanza del coordinamento tra Agenzia delle Entrate e Amministrazioni comunali sul fronte del riclassamento catastale e sui possibili scenari futuri in vista dei decreti attuativi della riforma del Catasto (legge 23/2014).
L’esigenza di aggiornare rendite catastali ormai disallineate rispetto ai valori reali del mercato e alle realtà immobiliari territoriali ha rappresentato l’input alla svolta promossa dalla Finanziaria 2005.
Il processo si attua in due piani e coinvolge interlocutori differenti.
Il comma 335 dell’articolo unico della legge 311/2094, ha, infatti, dato la possibilità ai Comuni, testimoni principali – grazie alla loro posizione privilegiata – dello scostamento delle rendite rispetto alla situazione reale, di chiedere all’Agenzia del Territorio, confluita dal 2012 nell’Agenzia delle Entrate, di attualizzare le rendite degli immobili situati in aree che presentano un significativo disallineamento fra valore medio di mercato e valore medio catastale.
Con il successivo comma 336, il Comune, prima di procedere d’ufficio, chiede al proprietario di aggiornare i dati censiti e risultati inattendibili o non più veritieri.
Dal monitoraggio emerge che le rimozioni delle sperequazioni hanno interessato, in primo luogo, le aree centrali delle città e le zone di particolare pregio storico e artistico e sono attribuibili, sostanzialmente, all’evoluzione del contesto urbano, che ha generato microzone “anomale”.
I riclassamenti attivati dagli uffici del Territorio su input dei singoli Comuni (comma 335), hanno riguardato 17 città, per un totale di 38 microzone revisionate. L’attività di riclassamento realizzata nei comuni ha generato complessivamente un incremento della rendita catastale di oltre 183 milioni di euro.
Il riclassamento a richiesta, per Roma e Milano
Di particolare importanza le conseguenze dei nuovi accatastamenti nella capitale. Gli interventi richiesti dall’Amministrazione capitolina hanno interessato microzone censite, perlopiù, nell’immediato dopoguerra, in un contesto urbano e socio-economico ancora degradato e completamente diverso dall’attuale. Eclatanti i casi di abitazioni centralissime e diventate di lusso ancora classificate come popolari o addirittura ultrapopolari. A fine revisione, le seconde (A/5) sono praticamente scomparse e sono diminuite drasticamente le abitazioni di tipo popolare (A/4) ed economico (A/3), con un incremento complessivo della rendita catastale di oltre 123 milioni di euro.
Più nello specifico, l’operazione ha riguardato 17 microzone “anomale”: Aventino, Trastevere, Centro Storico, Borgo, Prati, Flaminio 1, XX Settembre, Monti, San Saba, Testaccio, Gianicolo, Delle Vittorie-Trionfale, Flaminio 2, Parioli, Salario Trieste, Esquilino e Ville dell’Appia. In tutto, aggiornate le rendite catastali di 175mila immobili.
Anche l’amministrazione del capoluogo lombardo ha chiesto di rivedere il valore delle case situate in determinate aree. Gli interventi hanno riguardato quattro zone: Manzoni – Montenapoleone – Venezia, Duomo – Brera – Torino – S. Ambrogio, Venezia – Monforte – Majno e Sempione – V. Monti – M. Pagano.
Corretta la sperequazione, anche in questo caso, di valori attribuiti in epoche passate a fabbricati collocati in centro e contrastanti con le rendite assegnate agli immobili della periferia. Dati attualizzati per circa 30mila case, con un incremento complessivo di quasi 44 milioni di euro.
Prima l’invito, poi l’aggiornamento d’ufficio
Il comma 336, abbiamo detto, interessa direttamente il proprietario dell’immobile, al quale il Comune invia innanzitutto un avviso bonario per ricordargli che la rendita del suo fabbricato è ormai “datata”; alla sollecitazione non raccolta, segue l’invito formale a presentare un nuovo atto di aggiornamento catastale e di modifica del classamento.
Il documento presentato oggi, inoltre, descrive le esperienze specifiche di alcune città. Milano, ad esempio ha inoltrato, fino al 31 dicembre 2014, circa 2.500 inviti, che hanno interessato 5.500 unità immobiliari non dichiarate in Catasto o per le quali sono state rilevate situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali.
Grazie a questa attività, il Comune di Roma ha accertato circa 11 milioni di euro di tributi arretrati e determinato un aumento del gettito annuo per Imu e Tasi di circa 4 milioni di euro.
Ancora qualche numero ricavato dalla lettura della relazione: nel periodo 2005/2007, Genova ha inviato circa 80mila avvisi bonari ai proprietari di immobili considerati da regolarizzare, con un incremento delle unità censite nella categoria A/3 (abitazioni di tipo economico) e conseguente calo delle abitazioni di tipo popolare e ultrapopolare.
Nello stesso triennio a Roma, in seguito alla stessa procedura, sono aumentate le abitazioni civili (+30mila) e diminuite di circa 20mila quelle censite in A/4.
Stesso trend anche per gli interventi attuati dal Comune di Torino: si è verificato un incremento delle abitazioni censite nelle categorie A/3 e soprattutto A/2, per un totale di circa 4mila unità.