Pur riconoscendo nell’energia idroelettrica un’importante fonte rinnovabile che contribuisce all’abbattimento delle emissioni globali di CO2, il Centro italiano per la riqualificazione fluviale (Cirf) e le associazioni che hanno aderito all’appello, fra cui Legambiente, Mountain Wilderness, Wwf, Italia Nostra, Lipu, Fipsas, l’Associazione italiana per la wilderness (Aiw) e la Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra), di adottare tutti i provvedimenti necessari per conseguire gli obiettivi di qualità ecologica previsti dalla direttiva quadro sulle acque (2000/60/Ce). Non a caso, infatti, è in atto una procedura Ue per accertare la corretta applicazione di tale direttiva, di quella Habitat (92/43/Cee) e della direttiva Via (2011/92/Ue) nei confronti del governo per i bacini dei fiumi Tagliamento, Oglio e Piave, ma il problema è in realtà esteso a buona parte del territorio italiano.
«I pochissimi corsi d’acqua che mantengono condizioni di naturalità elevata sono ora soggetti a una pressione senza precedenti a causa degli incentivi statali alle rinnovabili – spiega Andrea Goltara, direttore del Cirf – Si è scatenata una corsa alla costruzione di centinaia di nuove centrali idroelettriche, in particolare di piccola taglia, soprattutto in corsi d’acqua piccoli e a quote più elevate, spesso all’interno di aree protette o comunque in contesti di particolare pregio e fragilità. Se questa deriva speculativa non verrà arrestata, in pochi anni perderemo gli ultimi corsi d’acqua naturali delle Alpi e degli Appennini». I promotori dell’appello chiedono al
governo, al Parlamento e alle Regioni da un lato una radicale revisione degli strumenti di incentivazione, così da evitare, come richiesto dalla Ue, che si finanzi con fondi pubblici il mancato rispetto delle direttive europee, dall’altro un impegno serio e concreto per promuovere una più efficace mitigazione degli impatti sugli ecosistemi fluviali da parte degli oltre 3.000 impianti esistenti.
Le associazioni propongono inoltre che venga superato il concetto di “deflusso minimo vitale” a favore di quello di “deflusso ecologico”, un rilascio che garantisca la qualità ambientale del corpo idrico. Sull’arco alpino, per concludere, i limiti fisici dei territori sono stati già “saturati”, come conferma uno studio effettuato dalla Fondazione Mach e coordinata dal professor Bruno Maiolini nell’ambito di una convenzione fra Legambiente Veneto e Trenta, azienda trentina che opera nel settore delle rinnovabili, per promuovere energia pulita. «Dalla ricerca emerge inoltre che la manutenzione delle opere di presa delle grandi dighe idroelettriche non si fa in alcuni casi da decenni – dice Davide Sabbadin, responsabile Energie di Legambiente Veneto – Con maggiore efficienza si potrebbe guadagnare in produzione elettrica molto più di quanto è atteso dalle tante e contestate opere di micro e mini idroelettrico. Lo studio spiega anche gli effetti ambientali dell’idroelettrico storico quali l’hydropeaking, la variazione di portata giornaliera determinata dalle immissioni d’acqua delle centrali, e i conseguenti impatti su flora, fauna, paesaggio e agricoltura, l’inquinamento chimico e l’inquinamento termico». Insomma, un fiume di problemi da affrontare.
FONTE: La Nuova Ecologia – Network di Legambiente
AUTORE: Francesco Lo Iacono