Il responsabile dell’abuso edilizio deve pagare le spese per la sua demolizione. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato che, con la sentenza 715/2015, ha spiegato anche come sia meglio non ostacolare i lavori di demolizione per non vedersi addebitare oneri maggiori.
Le demolizioni erano state effettuate nel febbraio 2011 dalla Icomes s.r.l., affidataria dal Comune di Napoli con contratto in data 9 febbraio 2010 rep.n.80523. A seguito delle effettuate demolizioni in danno, in data 12 aprile 2011, venivano notificate le disposizioni dirigenziali nn.79 e 80 del 5 aprile 2011, di recupero delle somme per l’intervento di demolizione delle opere edili abusivamente realizzate in Napoli alla via Torciolano, 45. In particolare, con ordinanza n.79 del 2011 veniva richiesta la somma di euro 14.845,75 per i lavori di cui all’ordinanza n. 679 del 2011 (impugnata con ricorso, poi definito con sentenza 4332 del 2013) e la stessa somma veniva richiesta per i lavori di cui all’ordinanza di demolizione n.677 del 2011 (impugnata a sua volta con ricorso poi definito con sentenza n.4331 del 2013). A tali ordinanze il Comune allegava i dati dei costi dei mancati interventi dell’8 giugno 2010 e del 19 luglio 2010, chiedendo il pagamento alla Ati Edil Soccavo s.a.s..
Nel ricostruire la vicenda amministrativa e giudiziaria, la sentenza qui impugnata ha rilevato che le spese addossate con gli atti impugnati erano in sostanza riferibili a due diversi tentativi di demolizione, che non era stato possibile eseguire a causa delle proteste di donne e bambini che bloccavano l’accesso ai mezzi, tanto che era sembrato opportuno desistere vista anche la dichiarata disponibilità dei proprietari a eseguire essi stessi la demolizione e fermo restando che il costo degli interventi non eseguiti avrebbe dovuto essere addossato alla stessa ricorrente, come da verbali sottoscritti e dalla stessa non impugnati.
In primo luogo viene riproposta dal Comune l’eccezione, non esaminata in primo grado, relativa all’inammissibilità del ricorso originario per mancata impugnazione dei verbali.
L’eccezione è infondata, indipendentemente dalla mancanza di lesività dei verbali in sé considerati.
Gli atti con cui il Comune liquida unilateralmente i diritti di credito di cui si assume titolare e ne intima il pagamento, non avendo natura provvedimentale, rilevano quali meri atti di esercizio di un diritto soggettivo (in tal senso Cons. Stato, IV, 25 gennaio 2003, n.361), sicché i destinatari non hanno l’onere di impugnarli dinanzi al giudice amministrativo in giurisdizione esclusiva, qual è la materia edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), Cod. proc. amm., rispettando il termine decadenziale previsto per il ricorso avverso i provvedimenti amministrativi.
L’appello è infondato nel merito.
L’art. 29 (Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività), comma 1, ultima parte, d.P.R. 6 aprile 2001, n. 380 prevede che l’autore dell’abuso edilizio sia tenuto alle spese per l‘esecuzione in danno in caso di demolizione delle opere realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.
Qui si controverte se si possa configurare la sussistenza di questo obbligo di legge non già per lo stretto intervento di effettiva demolizione, ma anche per precedenti interventi (nella specie: di appaltatori dell’amministrazione comunale) andati a vuoto per ragioni comunque imputabili all’interessato, come quando si è dichiarato disponibile a effettuare direttamente l’intervento ripristinatorio e così ha dato causa alla interruzione della demolizione medesima.
Il Collegio ritiene che l’obbligo suddetto delle spese per l’esecuzione in danno ben ricomprenda anche le spese per siffatti precedenti interventi non portati a buon fine, pur se diretti alla demolizione. Vi è infatti uno spontaneo accollo di una demolizione in danno, e il fatto che questa non venga poi realizzata non può che ridondare in oggettivo danno dell’inadempiente accollante. Si è del resto in presenza, da parte dell’interessato, di un implicito riconoscimento della imputabilità del loro insuccesso, oltre che della conferma dell’assunzione dell’obbligo.
In sostanza, l’interessata aveva essa stessa chiesto di rinviare la demolizione, impegnandosi ad eseguire spontaneamente la stessa in un prossimo futuro: e tanto vale a configurare questa situazione.
E’ infondato anche il motivo di appello con cui l’appellante deduce la duplicazione di contratti del Comune con i due contraenti, perché il secondo appaltatore Icomes ha provveduto a demolire nell’anno 2011 le opere abusive, mentre l’appaltatore Ati Edil Soccavo era intervenuto nei due precedenti episodi del giugno e del luglio 2010, non portati a compimento.
Non ha rilievo la circostanza che l’effettivo contratto tra il Comune e l’appaltatore Ati Edil Soccavo fosse di alcuni giorni successivo al primo intervento in quanto, come dedotto dall’amministrazione comunale, già prima vi era stata una consegna urgente dei lavori e riserva e successiva stipulazione del contratto.
Allo stesso modo, non rileva la presenza eventuale di un’altra impresa ai tentativi andati a vuoto, se ciò non ha determinato – o non si dimostra che abbia determinato – una duplicazione effettiva dei costi in relazione allo specifico intervento. E’ infondata anche la censura di appello che contesta la corretta quantificazione, sostenendo che, nel rapporto tra la effettiva demolizione (circa euro 28.000) e i tentativi andati a vuoto (circa 10.000 euro) vi sarebbe una sproporzione non giustificata. Il Collegio osserva che talune delle voci della nota relativa all’intervento di demolizione (smaltimento dei rifiuti e altro) non possono essere contenute nelle note relative agli interventi inutili. Tuttavia, è evidente che le spese sostenute dall’appaltatore, e dovute a sua volta dal Comune, comprendessero i costi vivi sostenuti in quelle giornate, certo inferiori al reale intervento di demolizione, ma non per questo indifferenti. L’ingiunzione di pagamento della somma occorsa per i lavori di demolizione in danno, atto meramente esecutivo e vincolato rispetto alle precedenti determinazioni, non richiede un’autonoma comunicazione di inizio del procedimento di cui all’art. 7, l.7 agosto 1990, n.241 (tra varie, Cons. Stato, IV, 27 luglio 2011, n.4506). L’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che l’opera acquisita sia demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso.
Per le considerazioni svolte, l’appello va respinto, con conferma dell’appellata sentenza. Le spese del presente grado di giudizio seguono il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.
FONTE: Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)