Parliamo tutti i giorni di innovazione e ormai ho la consapevole certezza che stiamo girando in tondo, ripetendo ossessivamente le stesse frasi e slogan che ciascuno di noi ritiene essenziali e importanti. Purtroppo, troppo spesso sono solo proposizioni vuote e sterili, più utili a un esercizio retorico-propagandistico, ma senza quella concretezza e applicabilità che sono oggi ormai requisiti irrinunciabili, se vogliamo veramente cambiare passo e non solo “muovere aria”. Peggio, spesso riproponiamo quei temi che, in un mal celato conflitto di interessi, sono rilevanti per le nostre rispettive attività professionali e imprenditoriali.

Detto ciò, sperando di non ricadere in questi stessi errori, vorrei riprendere alcuni concetti che ho ricordato in alcuni interventi che ho fatto recentemente e, in particolare al Convegno Assinform 2014 che si è svolto pochi giorni fa a Firenze (in particolare le conclusioni che ho proposto in coda al panel al quale ho partecipato, tempo 1:35:30).

In questa sede, vorrei sottolineare tre punti: coopetition, “JoJo” e responsabilità.

Coopetition

Ogni giorno ripetiamo che dobbiamo “fare sistema”: tra le imprese, tra imprese e amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche. Pare un concetto ovvio, ma in realtà lo si fa poco e male. Tante possono essere le cause e motivazioni, non ultima una mal celata ipocrisia dei tanti che propongono l’ennesimo “armiamoci e partite”. Ma in questa sede vorrei provare a dare un contributo in positivo, riprendendo un concetto che credo essenziale: la coopetition.

Il termine “coopetition” mette insieme “cooperazione” e “competizione”. Sta ad indicare un approccio al mercato nel quale una molteplicità di soggetti indipendenti collaborano su alcuni aspetti, competendo su altri. Il caso più eclatante di coopetition è GSM: è uno standard concordato tra costruttori di telefoni cellulari e operatori mobili che ha permesso uno sviluppo straordinario del mercato. Infatti, garantendo un insieme di standard comuni si è creato un ecosistema nel quale unamolteplicità di attori ha potuto operare in concorrenza, assicurando peraltro compatibilità, intercambiabilità e interoperabilità di prodotti e servizi. È questo approccio “coopetitivo” la chiave del successo della telefonia mobile europea che, grazie propria alla sua natura, ha determinato lo sviluppo complessivo del mercato a livello mondiale.

Nel campo dell’innovazione digitale (sia nel pubblico che nel privato) abbiamo bisogno di creare ecosistemi coopetitivi, nei quali cioè si riesce a fare massa critica concordando standard, architetture di riferimento e processi operativi e di servizio condivisi e/o coerenti. Su questa base di standard concordati e omogenei, una molteplicità di attori deve poter operare in competizione, nell’interesse di tutti gli stakeholders coinvolti.

Due esempi di ecosistemi coopetitivi:

  • E015, l’ecosistema creato per Expo 2015 e che favorisce mashup applicativo e sviluppo di servizi evoluti.
  • Patto per la salute, dove attori pubblici e privati concordano una serie di linee di azione comuni per coordinare e armonizzare gli interventi di enti, imprese e soggetti autonomi e indipendenti.

Si tratta di lasciarci alle spalle il vecchio consociativismo o il clientelismo che ha avvelenato la vita politica e economica del nostro paese. Non si tratta neppure di costruire monopoli o oligopoli più o meno mascherati. Si tratta di definire un quadro di riferimento che garantisca la convergenza, coerenza e complementarietà di tutti gli interventi pubblici e privati pertinenti ad uno specifico settore di interesse.

Come si realizza un sistema coopetitivo? Agendo su tre leve:

  • Visione chiara e consapevole.
  • Processo di governance forte e autorevole.
  • Professionalità capaci di discernere e distinguere l’interesse pubblico o di sistema da quello dello specifico stakeholder.

Siamo pronti e capaci di muoverci su questo piano di interventi?

JoJo

Un secondo tema riproposto sistematicamente nelle nostre discussioni concerne l’annoso, datato e per certi versi stucchevole tema della priorità della domanda e dell’offerta. Questo tema si articola secondo almeno due filoni di ragionamento:

  1. Si parte prima dalle infrastrutture o dai servizi? Ha senso sviluppare infrastrutture (come le reti in fibra) se mancano i servizi in grado di utilizzarle?
  2. Viene prima la domanda o l’offerta? Ha senso sviluppare sistemi e infrastrutture se manca la domanda per quel tipo di servizi/prodotti?

È una discussione lunare, in quanto mi sembra ormai evidente che si tratta di un falso problema che si ripropone per ignoranza o per interesse di parte. Provo a spiegarmi.

  • Le infrastrutture come le reti sono condizioni abilitanti allo sviluppo dei servizi. Non si possono sviluppare servizi in assenza di certe infrastrutture. Ha senso vendere/proporre, per esempio, sistemi evoluti di telepresenza in assenza di una banda sufficiente a poterne fruire? Ovviamente fare investimenti infrastrutturali “alla cieca” è rischioso e deve essere fatto quanto meno in presenza di stime e previsioni che giustifichino l’utilizzo di ingenti risorse per costruire “strade” che al momento appaiono essere poco “frequentate”. Ma è questo il destino delle infrastrutture: è la loro disponibilità che abilita utilizzi che nemmeno erano stati originariamente previsti, così come la storia di Internet ha ampiamente dimostrato. Non per niente, alcuni dati recenti dimostrano che in presenza di offerta di banda ultralarga (per la quale molti dicono “non esistono ancora servizi che ne richiedano la presenza”) gli utenti in realtà “comprano”. Vale il principio che in presenza di una infrastruttura abilitante, gli utenti trovano infiniti modi per usarla, spesso nemmeno immaginati dagli “addetti del settore”. Quindi le infrastrutture devono essere sviluppate anche in assenza di una domanda che, anzi, senza tali infrastrutture non ha modo di manifestarsi e rimane allo stato latente.
  • Molto spesso ci lamentiamo della debolezza della domanda delle imprese e dei cittadini. Conseguentemente vengono proposte e richieste iniziative che sostengano la domanda di prodotti e servizi evoluti. Certamente, in questo momento di crisi economica, è in generale necessario sostenere la domanda come stimolo allo sviluppo dell’economia. Ma questo è un tema generale che travalica i confini e problemi dell’ICT e dell’innovazione digitale: abbiamo bisogno di “mettere soldi nelle tasche degli italiani” affinché possano “comprare” ciò di cui hanno bisogno.
    Ma venendo al caso specifico dell’ICT e dell’innovazione digitale, è vitale che si sviluppi un’offerta capace di cogliere la domanda (spesso latente). Troppo spesso la domanda non si materializza perché l’offerta non coglie i veri bisogni o le attese e aspettative degli utenti (cittadini, imprese e amministrazioni). Che senso ha offrire genericamente “il cloud”? Serve proporre soluzioni applicative che sfruttando il cloud semplifichino la vita delle imprese e delle PA. I singoli non usano Internet? Se guardiamo alla diffusione di smartphone e SIM dobbiamo riconoscere che non è vero. La verità è che quando ci sono prodotti e servizi utili e di valore (per l’utente!!!), la domanda si materializza. La vera questione è “stiamo offrendo ciò che il mercato richiede ed è disposto a pagare”?

In realtà, quindi, abbiamo bisogno di un approccio a “JoJo”. Questo termine deriva dall’osservazione (utilizzata frequentemente per illustrare i processi di design del software) che spesso non bastano solo azioni “top-down” (dall’alto) o “bottom-up” (dal basso), ma una convergenza intelligente e mirata di iniziative dall’alto e dal basso, proprio come il movimento di uno JoJo. Nello specifico, abbiamo un disperato bisogno di modulare in modo intelligente azioni che da diversi punti di vista siano in grado di “spingere” il sistema nel suo complesso verso una progressiva crescita e sviluppo. È inutile quindi ribaltare richieste e lamentele da questo o quel lato della barricata (domanda e offerta): dobbiamo muoverci all’unisono, in modo armonico e coerente.

Responsabilità

Un altro slogan che sento spesso ripetere e che non mi convince per nulla è l’invito un po’ retorico al “mettersi insieme” per fare le cose. Si dice “è il momento di mettere da parte le differenze e fare squadra”. Per certi versi, l’invito è legittimo, positivo e fin ovvio. Ma credo sottenda quanto meno un rischio di fondo che deve essere accuramente identificato e neutralizzato.

È necessario preferire e far prevalere competenze, professionalità e responsabilità. È ilmomento del saper fare e del fare. Servono persone che siano in grado di proporre una visione coerente e lungimirante, avendo le competenze e capacità professionali per realizzarla e assumendosi la responsabilità della sua execution. Non credo a generici appelli “al mettersi insieme” perché troppo spesso da un lato finiscono per l’essere una sorta di anestetico a qualunque processo critico e, dall’altro, creano “grandi ammucchiate” dove nessuno è responsabile se le cose non funzionano e tutti (o peggio solo qualcuno) si assumono il merito degli eventuali risultati positivi.

Non so se cito a sproposito, ma credo valga la pena ricordare il detto latino “unicuique suum” che Sciascia reinterpretò con il famoso “A ciascuno il suo”. Ciascuno faccia la sua parte, assumendosi appieno le proprie responsabilità.

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Alfonso Fuggetta

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