stato, sviluppo digitaleIl dibattito sul futuro della rete di nuova generazione fissa è destinato ad essere caratterizzato da ulteriori stop and go, in funzione dell’evoluzione di quella che sembra sempre di più una partita a poker tra i diversi attori, pubblici e privati. Se è vero che rimangono molti elementi di incertezza è però chiaro come i principali attori privati siano determinati a realizzare nuovi investimenti infrastrutturali, per motivi sia di rilancio della crescita che competitivi, mentre i decisori pubblici hanno preso posizione sull’obiettivo strategico e il possibile percorso per raggiungerlo.

 

E’ difficile prevedere l’esito finale, ma può essere utile puntualizzare alcuni aspetti.

 

Piano e Piani. Il piano governativo è molto ambizioso, con risorse tangibili per proseguire lungo la strada già intrapresa nelle aree a più tradizionale fallimento di mercato, ma con risorse più incerte (o perlomeno differite, basti pensare ai Fondi per lo Sviluppo e la Coesione e all’evoluzione delle misure di defiscalizzazione) per fare il salto di qualità e superare definitivamente la soglia dei 100 Mbps, utilizzando le architetture e le tecnologie più evolute. Nel frattempo gli attori privati proseguono i loro piani autonomi, di norma su un orizzonte triennale rivalutato annualmente, ma inevitabilmente selettivi, sia in termini di aree territoriali che di soluzioni tecnologiche. Investire si deve e si può.

 

Aree geografiche e regolamentazione. L’attenzione alle aree geografiche ha una duplice valenza. Da un lato ci sono aspetti strettamente legati ai costi di infrastrutturazione e alla risposta da parte della domanda finale. Dall’altro vi sono invece gli aspetti regolamentari, riconducibili ai diversi profili concorrenziali. Le due dimensioni sono ampiamente sovrapposte e non possono essere trattate distintamente. Inoltre, l’assetto regolamentare per i prossimi anni è corso di consolidamento, ma l’evoluzione delle decisioni di politica industriale non può non influenzare tale processo. Infine, gli obiettivi posti e la necessaria sussidiarietà dell’intervento pubblico richiedono particolare attenzione nell’individuazione delle fatidiche aree nere, grigie e bianche, specchio del grado di concorrenza e della capacità di investimento autonomo da parte dei privati. Non deve quindi stupire la sequenza di annunci nelle ultime settimane per mettere le bandierine sulle città che sono, saranno e potrebbero essere oggetto di interventi privati secondo i diversi obiettivi prestazionali, cioè le soglie dei 30 Mbps e dei 100 Mbps (rispettivamente, il secondo e il terzo obiettivo dell’Agenda Digitale europea). Laddove intervengono i privati, il pubblico si deve ritirare. Una partita a Risiko.

 

Finestre temporali. Anche le più recenti dichiarazioni di alcuni dei protagonisti richiamano il fatto che, dal punto di vista infrastrutturale, il 2020 è “domani”. Rallentare o congelare gli investimenti in corso significa la certezza di non raggiungere l’obiettivo entro la fine del decennio. Rimane però necessario disegnare un percorso che possa beneficiare della continua evoluzione tecnologica che rimane una caratteristica del settore delle comunicazioni elettroniche. In Francia, per trovare un punto di equilibrio sul modello FTTH (fibra fino dentro le abitazioni) ci sono voluti diversi anni, ma è stata una scelta inevitabile vista l’impossibilità di duplicare gli investimenti nell’ultima parte della rete di accesso, sia per motivi economici che pratici. L’esperienza francese è utile, ma serve una terza via italiana.

 

Attori protagonisti. L’attenzione sembra essersi spostata più sul ruolo di Telecom Italia e il modello Metroweb, che sul confronto competitivo tra i tradizionali attori del settore delle telecomunicazioni.  Ritorna ciclicamente il miraggio del “Piano Romani”, cioè la grande rete unica di nuova generazione che potrebbe garantire efficienza e neutralità di intervento, ma che si scontra con le legacy esistenti che appaiono molto difficilmente superabili in un’economia di mercato. D’altra parte, l’orientamento del Governo e il recente parere Antitrust sulla preferenza per un beneficiario delle risorse pubbliche non integrato verticalmente (vale a dire che opera anche sul mercato dei servizi ai clienti finali) rispecchia la volontà di limitare il più possibile gli effetti potenzialmente distorsivi sulla concorrenza. Non è però chiaro l’effetto di questa posizione  in termini dell’aumento di partecipazione ai bandi pubblici e, soprattutto, di impatto sulla copertura nelle aree più remote. Qualsiasi operatore non verticalmente integrato si deve porre con molta attenzione il problema  di quanti saranno i suoi clienti (all’ingrosso) e quindi si ritorna al via e all’accordo preventivo con i principali operatori di telecomunicazioni. Ma se non sono mossi dalla stessa visione… In alternativa, rimane naturalmente il cosiddetto “modello A”, che prevede la realizzazione diretta degli interventi da parte dello Stato, con implicazioni facilmente immaginabili qualora questo schema uscisse dai confini delle aree più marginali. Monopoli.

 

Bruxelles vigila. Le varie Direzioni Generali dell’Unione Europea (in particolare Competition e Connect) sono particolarmente interessate all’evoluzione di quanto accade in Italia, perché la gamma degli strumenti messi in campo, l’entità delle risorse ipotizzate e la natura dell’intervento rappresentano per molti aspetti un unicum che può fare giurisprudenza. Questo significa però pre-notifiche, notifiche e  confronti, che rallenteranno inevitabilmente il percorso di infrastrutturazione, perlomeno nella sua prima fase. Italia, laboratorio europeo.

 

Piani, risorse e fiducia reciproca. Su almeno uno di questi aspetti manca ancora qualche cosa.