A smentire l’ipotesi che si stiano effettuando controlli sui contribuenti attraverso i social media è stata la stessa IRS
I contribuenti statunitensi possono stare tranquilli. Proprio in questi giorni, infatti, l’Amministrazione finanziaria Usa ha smentito categoricamente l’esistenza, o la pianificazione, di sistemi di monitoraggio per il controllo dei contenuti e dei messaggi che milioni di contribuenti si scambiano quotidianamente sui social media, in particolare attraverso twitter e facebook. In particolare, la notizia, filtrata proprio in occasione di convegni e incontri studio su finanza e nuove opportunità d’investimento, è stata subito ripresa da alcune agenzie stampa.
La smentita secca dell’Irs – La risposta dell’equivalente statunitense dell’Agenzia delle Entrate italiana è stata piuttosto netta “L’idea che l’Irs stia conducendo controlli sui contribuenti attraverso i social media è sbagliata. Verifiche, e controlli, sono condotti utilizzando i dati e i profili che i contribuenti riportano in dichiarazione e non sulla base dei messaggi che si scambiano tramite l’uso dei social media”. Continuando nella loro smentita, i responsabili dell’Amministrazione finanziaria hanno anche sottolineato come, in taluni casi, dati pubblici relativi ai contribuenti oggetto di investigazioni fiscali possono essere passati al vaglio, ma sempre nel rispetto dei diritti fissati nello “Statuto dei contribuenti”.
L’origine della polemica – La questione in realtà, deriva dall’emergere di condanne, processi e investigazioni per frode finanziaria che, una volta discussi e dibattuti di fronte ai rispettivi giudici, hanno visto emergere un numero imprecisato di notizie di reato, o accessorie, che tratte dai messaggi scambiati sui social media. Questa prassi, in particolare, è impiegata massicciamente da alcune agenzie, per esempio l’FBI. Il timore di molte associazioni, e anche di aziende, è che questa pratica investigativa si estenda fino ad includere anche l’Irs, che però smentisce lo studio per impiegare i contenuti di facebook o di twitter nei controlli fiscali.
Il sospetto – Comunque, la smentita non è stata sufficiente ad arginare il sospetto che da giorni corre sui social media. Per rendersi conto di quanto sia stata presa sul serio la voce sui controlli sono oramai decine di miglia i messaggi che allertano i frequentatori di facebook e twitter suggerendo loro di non scrivere frasi o altro riportando contenuti che vadano oltre la realtà, magari esagerando prezzi, costi o proprietà, perché questo potrebbe attirare i controlli del fisco. Molti invece concordano nel ritenere che la polemica sia destinata presto ad esaurirsi come spesso accade alle dinamiche che accendono l’universo dei social media. Anzi, questo caso particolare andrebbe preso ad esempio su quelle che potrebbero essere le insidie collaterali di questi nuovi strumenti.
L’esempio di “RIOT/CMC” – La storia dei controlli sui social media ha inizio con l’elaborazione di un software altamente analitico, “Riot”, che una società privata ha realizzato nel 2011 per il Dipartimento della Difesa Usa. Si tratta d’uno strumento la cui tecnologia consente di ricostruire il profilo d’una persona, o di un evento, filtrando e selezionando tutti i dati disponibili su Internet e sui social media. Il sistema consente anche di analizzare in dettaglio le foto relative al soggetto sul quale è interrogato fino a indicare se effettivamente risulti alloggiato, o risiedere, in un determinato luogo o meno. E per finire, questo strumento permette anche di filtrare e analizzare messaggi, contenuti scambiati sui social media arrivando fino a prevedere l’eventuale comportamento del singolo individuo nei confronti di scelte di mercato o, più in generale, il suo orientamento e le azioni che ne fanno da corollario se posto di fronte ad una novità d’un certo tipo o d’un determinato indirizzo. Insomma, “Riot” è capace di ricostruire la carta d’identità effettiva, reale, persino interiore e psicologica d’una persona. Proprio per queste potenzialità è stato spesso utilizzato dall’intelligence, dalla CIA e altre agenzie, per condurre investigazioni complesse su platee estese. Comunque, al momento un “Tax Riot”, non è in agenda per il fisco di Washington.
FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate
AUTORE: Stefano Latini