Francesco Valataro, docente di Tlc, spiega a Cor.Co cosa non va nella proposta di legge avanzata da 106 deputati: “Obbligando gli esercizi commerciali ad installare hot spot non si tiene conto del principio di neutralità tecnologica previsto dalla Ue, che potrebbe aprire la procudura di infrazione”. E sul metodo dice: “Non c’è stata la necessaria analisi di ciò che accade nel resto del mondo, in nessun paese esiste una soluzione simile”
“È certamente apprezzabile l’impegno di oltre 100 deputati italiani per dare riposta alla richiesta di sviluppo delle reti, ma obbligare gli esercizi pubblici ad installare porte d’accesso wi-fi libere e gratuite rischia di essere un vero e proprio boomerang”. Francesco Vatalaro, professore ordinario di Telecomunicazioni all’Università di Roma Tor Vergata, spiega aCor.Com cosa non lo convince delle proposta di legge – “Disposizioni per la diffusione dell’accesso alla rete Internet mediante connessione senza fili” – presentata dai deputati del PD Sergio Boccadutri, Enza Bruno Bossio, Ernesto Carbone, Alberto Losacco e Gennaro Migliore e firmata da 106 parlamentari.
Professore cosa non funziona nella proposta?
La prima perplessità è sul metodo. Non mi pare che nell’elaborazione del provvedimento ci sia stato un esame attento di ciò che avviene nel resto del mondo. All’Università di Tor Vergata abbiamo da poco concluso uno studio, che verrà pubblicato a breve, sulle prospettive del Wi-Fi che chiarisce anche le modalità migliori per promuoverne la diffusione fra i cittadini e le imprese. Nei Paesi con cui usiamo confrontarci si sono affermati modelli anche molto differenti, ma in nessun caso si è fatto ricorso all’imposizione di un obbligo di legge. La Scandinavia rappresenta forse l’unico esempio di copertura Wi-Fi ampia e spontanea offerta gratuitamente da privati cittadini e esercizi pubblici che lasciano aperti i loro Access Point senza richiesta di password. Nemmeno in Corea del Sud, ove nelle aree urbane esiste una copertura Wi-Fi praticamente ubiquitaria e l’ecosistema delle comunicazioni a banda ultra larga è assai sviluppato, si accede gratuitamente e senza dover rilasciare le proprie credenziali. Basti pensare che il turista straniero “vede” sul suo smartphone un numero anche molto grande di hotspot ma non può accedere, se non viene accreditato da un coreano abbonato ad un gestore radiomobile. Potrei fare molti altri esempi, ma se altrove nel mondo nessuno ha pensato ad imporre obblighi di legge, forse ci si dovrebbe chiedere perché: in Europa ci potrebbero anche essere ragioni legate al quadro comunitario.
Cosa intende dire?
Sarebbe utile sapere cosa i promotori pensano del principio comunitario della neutralità tecnologica che, come noto, richiede che le norme non facciano riferimento ad una specifica tecnologia ma piuttosto al servizio. Un obbligo generalizzato di porte Wi-Fi potrebbe determinare distorsione delle leggi di mercato? Inoltre, stabilire che possa erogarsi un contributo all’esercente per l’installazione di un hotspot si può configurare come aiuto di Stato illecito? La domanda non è poi così peregrina: basti ricordare che la Corte di giustizia europea ha condannato l’Italia per avere erogato, nel 2004 e nel 2005, incentivi ai cittadini per la diffusione di set-top-box per la TV digitale terrestre. Si tratta solo di alcune delle potenziali criticità e sembra lecito attendersi risposte chiara in merito dai promotori della proposta di legge.
Lei esprime dubbi anche sul regime sanzionatorio secondo cui “In caso di inottemperanza agli obblighi (…) i comuni provvedono a punire i soggetti inadempienti con una multa sino a euro 5.000, con l’esclusione degli esercenti l’attività di trasporto di persone”. Ci spiega perché è critico?
Premesso che la vigilanza sui servizi di telecomunicazioni in Italia è demandata alla Polizia postale, mi chiedo con quali competenze i Comuni, immagino in particolare i Vigili Urbani, possano eseguire i controlli. Nell’Italia dei “cento campanili” esiste anche il rischio, che è una certezza, di un’interpretazione non uniforme della norma con risultati facilmente immaginabili: una valanga di ricorsi. E poi, come è possibile controllare ciò che non è tecnicamente definito? Si è soggetti a contravvenzione se il punto d’accesso è collegato ma è temporaneamente spento? Se non si ha ancora un contratto di telefonia fissa con accesso DSL, si è obbligati a stipularlo? E se la zona è in digital divide, come fa l’esercizio pubblico a rispettare la legge? Queste sono solo alcuni dei quesiti che fanno sospettare l’intrinseca infattibilità di questa proposta di regolamentazione. E difatti, nessuno al mondo la ha pensata, che io sappia.
Ma, pur con i suoi difetti, il provvedimento proposto non potrebbe rappresentare un impulso allo sviluppo delle reti da parte delle telco mobili?
Tutt’altro. Prima di tutto conviene osservare che per gli operatori mobili il Wi-Fi è già oggi uno strumento utile per migliorare la Qualità dell’Esperienza offerta ai clienti, distribuendo secondo necessità hotspot adatti ad alleviare le congestioni dello spettro 3G/4G, ricorrendo sempre più alla pratica del cosiddetto “Wi-Fi offloading”. In questo scenario, l’eventuale obbligo di Wi-Fi gratuito e libero da credenziali rischia di creare congestioni e interferenze con effetti sulla fruibilità del servizio stesso, ponendo seri problemi di ottimizzazione dell’uso dello spettro. Insomma, al di là delle ottime intenzioni, la proposta va nella direzione dello spreco dello spettro e non della sua valorizzazione.
Ma allora, professore, come si può incentivare il Wi-Fi?
L’incentivo del Wi-Fi non può essere avulso dalla promozione dell’ecosistema delle Ict. Dal Legislatore ci attendiamo azioni serie di stimolo della domanda, a cominciare dall’incentivo allo sviluppo del digitale nella pubblica amministrazione e dalla promozione culturale digitale che aiuti i cittadini a capire il valore aggiunto che esso può offrire alla Società e all’Economia a tutti i livelli.
FONTE: Corriere delle Comunicazioni (www.corrieredellecomunicazioni.it)
AUTORE: Federica Meta