Con un recente pronunciamento il TAR Campania – Salerno, sez. I, ha rigettato il ricorso presentato da un’impresa specializzata in servizi di Security e Vigilanza al fine di annullare il provvedimento con cui era stata esclusa da una procedura negoziata di appalto (indetta da una stazione aeroportuale) per aver presentato in ritardo di soli due minuti la sua offerta.
A difesa della propria posizione, la ditta avrebbe sostenuto, di fatto, che il mancato rispetto dei termini indicati sia derivato dalla concomitanza di una serie di fattori, quali:
- la «mancata indicazione, nel contesto della lettera di invito, dell’ufficio preposto alla ricezione delle offerte»
Giustificazione che il TAR ha prontamente rigettato, stabilendo che l’ufficio preposto alla ricezione delle offerte di una gara, da comune conoscenza ed esperienza, «si identifica, in linea generale, nell’ufficio protocollo dell’amministrazione aggiudicatrice», ritenendo parimenti infondata la «censura proposta avverso la lettera di invito, che non contiene la suddetta indicazione» e giudicando assurdo il presentarsi presso la sede della stazione appaltante, con l’intento di consegnare la propria domanda, ignorando i fondamenti della procedura.
- «il plico sarebbe tempestivamente pervenuto all’ufficio protocollo della stazione appaltante», ma «le operazioni di protocollazione informatica dello stesso avrebbero determinato il ritardo contestato»
La lentezza causata dall’espletamento delle procedure di protocollazione informatica – operazioni di routine, abitualmente eseguite dal protocollista – avrebbero in tal caso generato una disparità di trattamento, determinando il ritardo contestato, a fronte della puntuale consegna.
In risposta alla seconda delle circostanze segnalate dalla parte ricorrente (peraltro senza elementi probatori a sostegno), il TAR ha inteso proprio riabilitare la posizione dell’addetto al protocollo, ribadendo il valore di fede privilegiata conferita all’espletamento delle operazioni contestate : «con l’attestato prot. n. […] a firma dell’addetta alla segreteria-protocollo della stazione appaltante, avente fede privilegiata fino a querela di falso ed allegato alla memoria difensiva della stazione appaltante, si dà espressamente atto che il plico contenente l’offerta dell’impresa ricorrente è stato “consegnato” alle ore 12.02, non potendo revocarsi in dubbio che la “consegna” identifichi un’operazione temporalmente antecedente alla registrazione dell’atto che ne costituisce oggetto al protocollo dell’ente ricevente». A supporto dell’infondatezza delle ragioni avanzate dai ricorrenti, inoltre, il TAR ha precisato come l’espletamento delle operazioni di acquisizione del plico non abbiano potuto causare il ritardo, dal momento che, l’orario di consegna è stato contestualmente apposto manualmente sul plico contenente l’offerta e solo successivamente siano state completate le operazioni di registrazione al protocollo, conclusasi con la stampa e l’apposizione della relativa “fustella”.
- la possibile inesattezza dell’orario di protocollazione, «non esistendo alcun riferimento all’orologio utilizzato né alcuna certezza della sua precisione»
Anche questa circostanza verrebbe a cadere di fronte alla superiorità del valore di fede privilegiata attribuito al protocollo, il cui orario, fissato alle 12:02, è pertanto incontestabile.
- Il differimento della consegna postale, che avrebbe fatto pervenire il plico presso l’ufficio postale di destinazione oltre il termine indicato nella lettera di invito
Il TAR ha in conclusione ribadito il valore di una sua precedente sentenza (T.A.R. Salerno, n. 333/2011) nella quale si affermava in primo luogo che: «laddove ci si avvalga del servizio postale ai fini della spedizione delle offerte, le stesse devono comunque pervenire presso l’ufficio postale di riferimento per la stazione appaltante entro il termine prescritto dalla lex specialis (e non “oltre” il suddetto termine, come asserito dalla parte ricorrente)», termine stabilito per il caso di specie “perentoriamente entro le ore 12.00...”.
Le motivazioni addotte dalla ditta ricorrente lasciano spazio a non poche riflessioni: in un Paese come il nostro, certe volte vittima delle sue stesse, grottesche stereotipizzazioni, risulta quasi paradossale la fiscalità dimostrata in questo caso dal protocollista, specie nell’ambito di un contesto archivisticamente ibrido, ancora in parte manuale e non pienamente digitale. Ma ancora più paradossale risulta l’opinione, che da questo caso implicitamente emerge, su quale dovrebbe essere la condotta deontologica di alcune categorie professionali: si accetta – anzi, sembra quasi che si pretenda – che il protocollista chiuda un occhio di fronte a un ritardo che, sebbene di due minuti, avrebbe potuto danneggiare terze parti, ma non ci si augura certo la stessa condotta un po’ approssimativa da parte di altre categorie professionali o in altri contesti (nessuno di noi vorrebbe che simili lassismi avvenissero al pronto soccorso, da parte del paramedico o del medico preposto a salvarci la vita). Il Tribunale ha risolto la questione dal punto di vista giuridico, ribadendo nella sua impostazione alcuni dei concetti fondamentali anche per la disciplina archivistica, come la superiorità del valore di fede privilegiata del protocollo, di fronte al quale nulla sfugge. Tuttavia, in conclusione, è opportuno ribadire come non sia sufficiente una sentenza del TAR per porre rimedio a un vizio atavico e ben radicato nel sentire comune, dal quale spesso derivano e si legittimano atteggiamenti deontologicamente scorretti (specie in ambito pubblico), rispetto ai quali l’esempio di rigore fornito dall’anonimo protocollista, protagonista di questa vicenda, dovrebbe essere maggiormente diffuso e incentivato.