Cresce in misura esponenziale la domanda di servizi di eHealth, mentre il Governo pensa di destinarvi solo spiccioli- 750 milioni di euro- già tutti spesi. Eppure i privati sarebbero disposti a coinvestire nei progetti. A patto che ci sia un piano unitario dove farlo.

L’AgID ha diffuso l’estratto dal piano “Crescita Digitale” relativo alla Sanità, sintetizzando le linee prioritarie di intervento per il periodo 2015-2017.

Fascicolo Sanitario Elettronico, e-prescription, referti e pagamenti online, centri unici di prenotazione.

Più o meno contemporaneamente, sempre da “Crescita Digitale”arriva il dettaglio del fabbisogno finanziario: scopriamo così che nei sei anni a partire dal 2015 e fino al 2020 sono complessivamente disponibili 750 milioni per la sanità digitale. Poco più di 120 milioni l’anno. Meno del 10% della spesa IT attuale in Sanità.
Peraltro, si tratta prevalentemente (600 milioni) di fondi regionali a valere sulla programmazione comunitaria 2014-2020. La maggior parte dei quali già più o meno rigidamente allocata e indirizzata verso lo sviluppo del Fascicolo e dei sistemi di e-prescription.
Spiccioli, poco più che spiccioli.

Nel frattempo, cresce in maniera vertiginosa la domanda di servizi di e-Health in tutto il mondo, Italia compresa. E si sviluppa un’offerta interessantissima, fatta prevalentemente di App e di servizi rivolti direttamente al cittadino/assistito/paziente. Un’offerta realizzata da soggetti privati, che in qualche misura si sostituiscono a un SSN fortemente inadempiente sotto il profilo dell’innovazione.
In attesa di conoscere i dettagli del “Patto di Sanità Digitale”, fortemente voluto dal Ministro Beatrice Lorenzin ma ancora fermo in attesa di essere condiviso e approvato in Conferenza Stato-Regioni, e di capire se davvero si potrà avviare un piano straordinario di sanità digitale così come annunciato a Digital Venice ormai quasi cinque mesi fa, l’offerta obbedisce alle regole del mercato e si dà da fare.

Laddove il pubblico (MEF, Ministero Salute, AgID, Regioni) si concentra su Fascicoli e cartelle cliniche di reparto (ma non dovevamo fare l’integrazione ospedale-territorio?), il privato dimostra ancora una volta di essere decisamente più veloce nell’intercettare i trend e i nuovi bisogni e sviluppa servizi a supporto dei PDTA (percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali) e della telemedicina nelle sue numerose “variazioni sul tema” (teleconsulto, telemonitoraggio, teleassistenza, telecompagnia, eccetera). Sviluppa Apps, laddove moltissimi dei progetti regionali di FSE sono ancora irrimediabilmente ancorati a un mondo basato sul Web e sul personal computer.
Praticamente nessun ospedale pubblico, per fare un ulteriore esempio sull’arretratezza complessiva del SSN, consente al proprio personale medico e paramedico di utilizzare devices personali (tablet e smartphone), contribuendo involontariamente alla proliferazione di quel fenomeno conosciuto come “Shadow IT”: nascono veri e propri sistemi informativi “paralleli e quasi clandestini”, reti spontanee partecipate da medici e infermieri che “si arrangiano” in assenza di regole.
Questi “sistemi clandestini”, piuttosto diffusi in alcuni grandi aziende ospedaliere di eccellenza (dove la professionalità del personale e i network sovraziendali e – a volte – sovranazionali superano di gran lunga la media), rischiano di diventare un problema piuttosto serio per il SSN. Soprattutto, rischiano di far fallire iniziative “ufficiali” di gestione dell’emergenza/pronto soccorso, telemedicina o di supporto alla diagnosi, i tre ambiti principali dove si è già decisamente diffuso lo “Shadow IT”.

E veniamo al bivio: è giunto il momento che il Ministero della Salute e l’AgID definiscano un piano strategico per la sanità digitale, condividendolo con le Regioni ma anche con tutti gli altri stakeholder.
750 milioni sono pochissimi, e – come già detto – sono già praticamente tutti “spesi”.
I fondi sono l’ultimo dei problemi: a fronte di un piano concreto e fortemente centrato sulla revisione/razionalizzazione dei processi prima ancora che sulle tecnologie (e dove i risparmi possibili non vengono “tirati a indovinare”, aggiungerei), i vendor e i service provider sono seriamente interessati a coinvestire. E il famoso traguardo dei 3,5 – 4 miliardi di investimenti in IT annunciati a Digital Venice può essere raggiunto. Specialmente se si sa dove andare a cercarli, i soldi necessari. E se il piano risulterà convincente.
Servono professionalità, cervelli, modelli concreti. E capacità di leggere tra le righe la domanda di e-health e la sua evoluzione.

L’alternativa è un SSN “vecchio”, incapace di reggere una concorrenza che inevitabilmente prenderà piede. Con tanti saluti per la sostenibilità, l’equità e l’universalità del servizio sanitario nazionale.

 

 

FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)

AUTORE: Paolo Colli Franzone

 

 

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