open dataLe potenzialità del mercato europeo legato agli open data sono significative: quasi 300 miliardi di euro nel 2020 tra mercato diretto e indiretto, con una crescita del 37% dal 2016. Anche le proiezioni italiane sono interessanti: oltre 8 miliardi nel 2020 del solo mercato diretto. Ma bisogna agire subito per svilupparlo, con una strategia Paese: ecco come.

 

Ogni anno, quando si arriva nei pressi dell’International Open Data Day –IODD (quest’anno fissato per il 5 marzo), in qualche modo è d’obbligo fare un bilancio della situazione nazionale sulla diffusione e il riuso degli open data.

 

Certamente non è significativo il numero di eventi presenti nel sito internazionale dell’IODD (abbastanza inferiore, per adesso, a quello degli anni scorsi), che testimonia comunque, almeno in Italia, di un passaggio dalla fase pioneristica ed entusiastica di qualche anno fa ad una forse più matura ma meno dinamica.

 

Per cui, avvalendoci del panorama che ci consegna il sito governativo e dei report indicati dall’European Data Portal, cerchiamo di evidenziare qualche riflessione.

 

 

 

La situazione italiana

 

La situazione italiana appare connotata da elementi contrastanti, come ad esempio:

 

 

  • una normativa che nel 2012 era d’avanguardia e che oggi mantiene una buona adeguatezza, anche grazie al principio dell’”open data by default”, confermato anche nel decreto di modifica al Cad approvato in esame preliminare dal governo;
  • un’attuazione non coordinata, con delle previsioni di coordinamento e monitoraggio sull’attuazione della normativa affidate ad Agid, ma finora senza i necessari strumenti, e quindi con delle ottime linee guida ma un’agenda nazionale (che dovrebbe contenere gli obiettivi da raggiungere da parte delle amministrazioni) ferma all’edizione 2014 e un rapporto di stato avanzamento mai pubblicato;
  • un portale nazionale, ristrutturato e ampliato nelle funzionalità, che però raccoglie dataset solo da 76 amministrazioni e (a oggi) senza aggiornamenti di dataset, sostanzialmente, da ottobre 2015;
  • diverse iniziative di amministrazioni centrali molto interessanti e significative (come le più recenti da parte del Ministero dello Sviluppo Economico , dell’Agenzia per il Demanio , delMinistero delle Infrastrutture , oltre che naturalmente soldiPubblici);
  • diverse iniziative regionali e comunali a cui è stato attribuito dalle relative amministrazioni un valore strategico (come la più recente della Regione Lazio o quella più consolidata della Regione Toscana );
  • un mercato sostanzialmente ancora molto timido e confinato su alcune aree tematiche;
  • il carattere ancora molto sperimentale della maggior parte delle iniziative pubbliche open data, nell’ottica più della vetrina di pubblicazione dei dataset che del riuso dei dati;
  • una diffusione della cultura degli open data ancora molto limitata a settori di nicchia e specialistici.

 

 

Insomma, grandi potenzialità, ottime competenze, ma poca visione, insufficiente coordinamento e alla fine ancora scarsi risultati.

 

 

 

Potenzialità degli open data – previsione europea

 

Secondo i rapporti pubblicati sul portale europeo, le potenzialità del mercato europeo legato agli open data sono significative (quasi 300 miliardi di euro nel 2020 tra mercato diretto e indiretto, con una crescita del 37% dal 2016), ma anche le proiezioni italiane sono interessanti (oltre 8 miliardi nel 2020 del solo mercato diretto). Ed è significativa anche la stretta correlazione di queste previsioni con alcuni risultati già osservabili, come mostrano alcuni fatti:

 

 

  • il mercato europeo direttamente legato agli Open Data vale nel 2016 55,3 miliardi di euro;
  • il fatturato delle aziende del Regno Unito con business correlato agli open data è già oggi di oltre 92 miliardi di sterline, con oltre 500.000 occupati;
  • il cruscotto dell’Open Data Institute (ODI) del Regno Unito mostra più di 33 milioni di sterline sbloccate in investimenti diretti, generati dalle attività dell’ODI.

 

 

Non solo, ma anche risultati microeconomici già consolidati evidenziano l’esistenza di una base solida per le previsioni:

 

 

  • uno studio USA sullo sfruttamento dei dati satellitari sulle immagini della superficie terrestre ha mostrato che il beneficio dell’apertura dei dati è stato di 2 miliardi di dollari nel solo 2011;
  • una ricerca sul valore dei dati relativi agli indirizzi, in Danimarca, ha mostrato che i benefici ammontano a 60 milioni di euro nel periodo 2005-2009, con un investimento di soli €0.25m;
  • nel Regno Unito, l’autorità dei trasporti londinese TfL ha commissionato un rapporto sul rilascio dei propri dati da cui emerge che il valore, in termini di tempo risparmiato dai passeggeri grazie al miglior accesso all’informazione è stimabile in 58 milioni di sterline nel solo 2012.

 

 

Risultati a cui vanno aggiunti quelli di valore sociale e che spaziano in tutti campi, dalla medicina e alle strutture sanitarie, dall’utilizzo dei fondi pubblici alla cultura.

 

I dati europei, pur affermando un potenziale comune all’intera area, denotano naturalmente delle differenze sostanziali tra i Paesi, con un Regno Unito che ha un portale open data con oltre 150mila visitatori al mese rispetto ad una Francia (secondo paese) che ne ha poco più di 50mila e all’Italia che non raggiunge i diecimila visitatori mensili.

 

 

 

Linee di azione

 

Non ci addentriamo nell’analisi del modello di sviluppo del mercato open data connesso alla trasformazione digitale (lo faremo in un successivo articolo), ma qui credo sia utile, a partire dalle barriere allo sviluppo degli open data evidenziate dai rapporti indicati nel portale europeo ( mancanza di consapevolezza, mancanza di conoscenza, governance non chiara, qualità dei dati non adeguata, IT interno non strutturato, gestione delle licenze), sottolineare alcune linee di azione, credo utili per la singola amministrazione, oltre che per la composizione di una strategia nazionale (adesso forse più attuabile grazie al maggior peso attribuito ad Agid dal decreto di modifica al Cad):

 

 

  • avere una strategia per il riutilizzo dei dati, e non puntare alla sola pubblicazione e all’adempimento formale;
  • pensare all’ecosistema da sviluppare, e coinvolgere gli attori (privati e pubblici) interessati al riuso dei dati;
  • puntare sulla qualità dei dati, base essenziale per il loro riuso e la realizzazione di servizi;
  • sviluppare le competenze necessarie, utilizzando le definizioni di profili già esistenti nell’ambito e-CF e Uninfo (come il Chief Data Officer o il Data Scientist);
  • imparare dagli esempi, perché molte amministrazioni possono già esporre iniziative e competenze di riferimento.

 

 

E, soprattutto, tenerci… gli Open Data sono terra da coltivare, e con ottime potenzialità sociali ed economiche da sfruttare.