La Magistratura comincia a sanzionare i comportamenti omissivi e inadempienti rispetto agli obblighi in tema di piattaforme informatiche, pubblicazione on line e trasparenza amministrativa.
In questi anni il percorso di attuazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana ha portato all’introduzione di numerosi nuovi adempimenti per le pubbliche amministrazioni. Tuttavia, molto spesso si è sottolineato come le stesse norme finalizzate alla digitalizzazione della PA non prevedessero né i necessari investimenti economici per mettere in atto tali adempimenti, né delle precise sanzioni per i dirigenti e i funzionari pubblici che si fossero dimostrati inadempienti. Ciò purtroppo ha comportato – inesorabilmente – l’assunzione da parte di alcuni dipendenti pubblici di un atteggiamento di sostanziale indifferenza e indolenza verso la concreta realizzazione delle novità digitali.
Ora però la magistratura inizia a intervenire, sanzionando i comportamenti omissivi e inadempienti rispetto agli obblighi in tema di piattaforme informatiche, pubblicazione on line e trasparenza amministrativa.
Innanzitutto, con la sentenza 15 aprile 2015 n. 149, del TAR di Trento si è espresso sulla vicenda originata dai concorsi straordinari per l’assegnazione delle nuove farmacie che dovevano essere banditi da ciascuna Regione, per i quali si prevedeva, tra l’altro, che ciascun candidato avrebbe potuto “partecipare al concorso per l’assegnazione di farmacia in non più di due regioni o province autonome”, attraverso “una piattaforma tecnologica ed applicativa unica per lo svolgimento delle predette procedure, da mettere a disposizione delle stesse regioni e province autonome e dei candidati”. Conseguentemente, nei bandi dei concorsi territoriali era stato imposto agli aspiranti di utilizzare esclusivamente la piattaforma tecnologica per presentare le proprie domande. In particolare, il ricorrente aveva chiesto di partecipare ai concorsi di Veneto e Lombardia, ma in entrambi i casi non era stato ammesso, per non aver indicato nelle domande un indirizzo di posta elettronica certificata. In seguito, lo stesso istante aveva tentato anche di trasmettere alla Provincia autonoma di Trento la sua domanda per lo stesso concorso, compilando la pagina Internet dedicata, ad accesso riservato ai soggetti preregistrati: a questo punto, però, la piattaforma del Ministero gli aveva negato l’accesso al nuovo concorso, appunto perchè l’interessato risultava avere già presentato le due domande consentite, anche se effettivamente non aveva partecipato a tali due concorsi in quanto per entrambi gli erano state respinte le domande di ammissione!
Peraltro, con una successiva istanza presentata prima della scadenza del termine del bando, il ricorrente aveva esposto all’Amministrazione competente la sua situazione, allegando i due provvedimenti di Veneto e Lombardia, e chiedendo che fosse sbloccato il suo accesso informatico entro il termine di scadenza previsto dal bando, al fine di essere ammesso al concorso. Tale istanza, tuttavia e incredibilmente, non era stata accolta dal Responsabile del procedimento. Nel merito, il TAR di Trento ha stabilito che una PA è responsabile del funzionamento informatico di una sua piattaforma e che le risposte informatiche della stessa costituiscono provvedimenti amministrativi, anche impliciti.
Questa potrebbe sembrare un’asserzione lapalissiana, se non fosse che il TAR, fra le sue motivazioni, ha anche stabilito che nel caso in cui uno strumento informatico, utilizzato dalla PA, determini delle situazioni “anomale”, la responsabilità cade in capo non solo a chi ne ha predisposto il funzionamento senza considerare tali eventuali conseguenze, ma anche in capo al dipendente che, tempestivamente informato, abbia omesso di svolgere tutte quelle attività idonee a soddisfare le legittime pretese dell’istante.
Nel caso specifico, il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento implicito pronunciato online dall’amministrazione attraverso la piattaforma informatica del Ministero della Salute, provvedimento con cui era stata negata la partecipazione dell’interessato a un concorso, con annullamento dei suoi dati e delle credenziali di accesso relative alla stessa piattaforma informatica.
Sul punto, il TAR ha voluto prima di tutto sottolineare che le risposte del sistema informatico sono oggettivamente imputabili alla pubblica amministrazione e quindi alle persone che ne hanno la responsabilità. Conseguentemente, i giudici hanno anche specificato che, in caso di “anomalie”, la responsabilità ricade non solo su chi ha predisposto il funzionamento dello strumento informatico senza considerare tali possibili intoppi, ma anche in capo al dipendente pubblico che non abbia svolto quelle attività – orientate ai principi di legalità, imparzialità e favor partecipationis – che, se poste in essere, avrebbero comunque potuto soddisfare l’interesse legittimo del cittadino a partecipare al concorso.
Nel caso di specie, in effetti, la domanda del ricorrente non era stata respinta per violazioni formali della procedura (ad esempio a causa di compilazione errata dei moduli o inserimento di codici scorretti) e per tale motivo, dunque, il responsabile del procedimento avrebbe dovuto accertare – in autotutela – se il rifiuto del sistema era stato legittimo o meno in base alla normativa concorsuale applicabile, ed eventualmente includere la domanda del soggetto istante.
Il TAR, infatti, ha posto in evidenza che le modalità informatiche altro non sono che il nuovo modello relazionale tra PA e cittadini che, in quanto tale, deve in ogni caso essere improntato ai consueti principi di legalità e ragionevolezza dei procedimenti amministrativi.
Gli stessi principi sembrano aver ispirato grosso modo anche i giudici della Corte dei Conti del Lazio, i quali hanno riconosciuto responsabili di danno erariale alcuni dirigenti di un ente locale che avevano indebitamente percepito l’integrale somma prevista per la retribuzione di risultato, nonostante non fossero stati raggiunti gli obiettivi previsti per l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione e di incremento del livello di trasparenza. In particolare, nella vicenda oggetto della sentenza della Corte dei Conti del 2 febbraio 2015, il Comune in questione non aveva adempiuto negli anni 2009, 2010 e 2011 agli obblighi normativi di pubblicità imposti dall’art. 11 del D.Lgs. n. 150/2009[1] – e successivamente sostituiti e riformulati dalle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013[2] – poiché era stato omesso di costituire sul portale istituzionale dell’ente l’apposito link relativo agli incarichi conferiti al personale interno e a soggetti esterni. Sul punto, la Corte dei Conti ha specificato che, sussistendo la violazione di un preciso obbligo di legge, così come sancito dai commi 8 e 9, art. 11, d.lgs. 150/2009, secondo cui “il mancato assolvimento degli obblighi di pubblicazione comporta di conseguenza il divieto di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti preposti agli uffici coinvolti”, tenuto conto del ruolo e della funzione ricoperti dagli stessi, la condotta dei dirigenti è senza dubbio gravemente colposa e ha determinato il danno erariale attribuito.
Sulle eccezioni formulate dai convenuti, i Giudici hanno rilevato che non può esserci alcuna attenuante nella valutazione del loro comportamento in quanto gli stessi, pur non negando la sussistenza dell’obbligo di trasparenza, hanno cercato in vario modo di ritenersi esenti da questo adempimento quando invece, in presenza di dubbio o di perplessità in buona fede, avrebbero dovuto, quantomeno in via prudenziale, segnalare la sussistenza di un obiettivo non raggiunto dalla loro performance, rifiutando di percepire integralmente – e indebitamente – la retribuzione di risultato.
In definitiva, la Corte ha osservato anche che la mancata attuazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza, in considerazione della particolare rilevanza riconosciuta a questi obiettivi dal Legislatore, avrebbe dovuto far sì che l’Organismo di valutazione impedisse la liquidazione dell’intera retribuzione di risultato ai dirigenti responsabili, per cui è seguita la condanna anche di tali funzionari e del Sindaco, i quali avevano però accettato l’addebito da parte della Procura della Corte dei Conti e, in conseguenza, le loro posizioni erano state stralciate dal giudizio.
Queste pronunce, in definitiva, mettono in evidenza come la concreta attuazione dei nuovi obblighi e adempimenti introdotti in questi ultimi anni per incrementare i livelli di trasparenza e la pubblicazione on line di dati pubblici, non possano più essere ignorati senza alcuna conseguenza sanzionatoria.
Nell’ambito della pubblica amministrazione, invece, occorre sempre più efficacemente valorizzare le figure di responsabilità e i professionisti della digitalizzazione documentale che operano per rispettare gli obblighi previsti e gestire correttamente l’intero ciclo di vita di dati e documenti informatici, dalla loro formazione alla loro eventuale condivisione o pubblicazione, fino alla loro conservazione digitale a norma.
In tal senso, dunque, è importante che nella PA ci siano le giuste competenze, per non correre il rischio che dati e documenti vengano gestiti male e non in conformità a quanto previsto dalla legge e dalle regole tecniche in vigore, anche perché – sulla scorta delle recenti pronunce a cui si è accennato – appare ragionevole ipotizzare un orientamento sempre più severo da parte della giurisprudenza, volto a sanzionare i comportamenti omissivi.
[1] D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”, pubblicato in G.U. n.254 del 31 ottobre 2009, Suppl. Ordinario n. 197.
[2] D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, recante “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, pubblicato in G.U. n.80 del 5 aprile 2013.