learning divideLe diseguaglianze nella scuola italiana sono davvero tante. E’ la scuola meno inclusiva d’Europa e quella dove le differenze di censo contano di più rispetto all’apprendimento degli studenti. E’ quella dove si fanno più compiti ma è anche la scuola del federalismo discriminatorio ed egoista.

 

Come sempre è la lente impietosa delle statistiche dell’OCSE che ci permette di rendere evidente questo fenomeno.  La rilevazione OCSE PISA 2012, infatti, che  ha testato le competenze degli studenti  quindicenni, nella Matematica e nelle Scienze e nella comprensione della Lettura  ci permette di evidenziare anche questo fenomeno.

 

Analizziamo, però prima, il tradizionale gap tra l’Italia e l’Europa che non vale solo per le tecnologie digitali a scuola, ma purtroppo è una costante anche per ciò che riguarda gli apprendimenti e la didattica. La scuola italiana, come ormai è ormai consuetudine, consegue nel suo complesso consegue una performance peggiore della media OCSE sia rispetto alla matematica, che rispetto alla lettura e alla comprensione delle materie scientifiche.

 

 

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C’è, in ogni caso, qualcosa di cui possiamo essere orgogliosi. Si tratta del fatto che gli stessi tecnici dell’OCSE si stupiscono della capacità di “resistenza”/”resilienza” della scuola Italiana. Cioè del fatto che nonostante il vertiginoso calo dei finanziamenti dello Stato, i risultati italiani negli apprendimenti, sono invariati!

 

Nel decennio 2000-2011, infatti, gli investimenti pubblici in scuola e ricerca, in Italia sono calati del 3%. Comparativamente, durante lo stesso periodo, la spesa  pubblica media dell’OCSE destinata al sistema dell’istruzione e della ricerca è aumentata ben del 38%. Un gap di quarantuno punti percentuali. Gli insegnanti e i dirigenti italiani sono stati molto bravi: hanno mantenuto lo stesso livello di preparazione degli studenti, nonostante i drammatici tagli di Moratti e Gelmini (più di 9 miliardi di euro). A che prezzo? Siamo un paese che ha scordato la solidarietà nazionale e vive “infelice” e “arrabbiato” in una situazione drammatica di frattura tra Centro Nord e Meridione, quanto a formazione degli studenti e strutture scolastiche e non solo.

 

Il federalismo egoista e discriminatorio di Moratti e Gelmini

 

Il federalismo egoista praticato sia per la scuola pubblica sia per paritaria dai governi del Centro-destra – la diade sciagurata Moratti/Gelmini – ha frantumato l’Italia della scuola tra territori abbienti e meno agiati, tra famiglie benestanti e famiglie povere.  Il diritto costituzionale a un’istruzione pubblica efficacie, meritocratica e non censitaria è ormai un vecchio sogno dei padri della Repubblica che la dirigenza politica e ministeriale della scuola nel suo complesso sembra aver dimenticato.

 

Contrariamente al modello di autonomia scolastica di Berlinguer – e a essere onesti anche a quello della tanto vituperata Buona Scuola di Renzi – che si ispirano a un modello di federalismo solidale, il modello Moratti-Gelmini ha aperto lo spread tra aree avvantaggiate e svantaggiate del paese, così Piemonte, Emilia, Toscana e Veneto, per citare solo e regioni più popolose, aggiungono copiosi finanziamenti regionali a quelli, invero magri dello Stato, mentre Lazio, Campania, Calabria e Sicilia debbono accontentarsi dei pochi fondi del Ministero perché le regioni non sono in grado di aggiungere un euro. Inoltre in queste regioni i fondi strutturali europei, ad esempio quelli PON e Smart Cities, vengono gestiti con criteri spesso molti discutibili e clientelari.

 

I divari territoriali e locali nella preparazione degli studenti sono, infatti, molto ampi, con le regioni del Nord Est e del Nord Ovest in netto vantaggio anche rispetto alla media OCSE e a volte competitivi, anche con le realtà più avanzate d’Europa.  Il Centro, si mantiene in media OCSE e con i valori medi nazionali e, purtroppo, il Mezzogiorno e le Isole, pur con segnali di miglioramento dal 2006 in poi, sono notevolmente sotto la media nazionale. Ovviamente al netto dei casi di eccellenza che non mancano ad anche nelle regioni Meridionali

 

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Figura 2. Differenziali dell’Italia dalla media UE per macro aree geografiche: il caso della matematica. 

 

Il learning divide interno all’Italia, “maledetti” gli ultimi perché resteranno tali

 

Analizziamo da questo punto di vista, le competenze dei quindicenni italiani in Matematica. Se considerate sul “totale paese” si situano leggermente, ma significativamente, sotto la media OCSE (circa il 2 per cento, 485 punti a fronte dei 494 della media OCSE). Fra i paesi indagati, ottengono un punteggio inferiore all’Italia solo, Ungheria, Israele, Grecia, Cile e Messico; sono equiparabili all’Italia (avendo valori che non se ne discostano in termini statisticamente significativi) Norvegia, Portogallo, Spagna, Repubblica Slovacca e Stati Uniti. I grandi paesi europei come Francia, Germania e Inghilterra, l’Europa del Nord e quella Orientale sono nella quasi totalità superiore in questa classifica.  Nella Matematica, tra l’altro, l’Italia presenta una performance significativamente peggiore per le ragazze rispetto ai ragazzi (476 a fronte di 494), con un divario che è più ampio di quello registrato nella media dei paesi OCSE (18 punti vs 11).  Il dato più inquietante è, però, quello interno all’Italia: il Sud e le Isole come fanalino di coda, molto distanti dalla media e delle regioni italiane ed europee più sviluppate. Analizzando al suo interno questo dato a livello di singole provincie si evidenza in maniera molto chiara dove ha colpito il federalismo diseguale ed egoista del centro destra italiano, nel finanziamento del sistema scolastico, al vertice troviamo provincie che appartengono a regioni, “a statuto speciale”, del Nord.

 

I risultati migliori (con punteggi sopra la media OCSE) sono ottenuti dalla Provincia autonoma di Trento, il Friuli‐Venezia Giulia poi il Veneto, la Lombardia, il Piemonte mentre i risultati peggiori si hanno in Calabria, Sicilia, Campania e Sardegna. La Puglia e l’Abruzzo ottengono risultati più̀ elevati rispetto alla propria macro-area di riferimento, avvicinandosi alla media nazionale, mentre il Lazio è, l’unica regione del Centro sotto alla media nazionale.

 

Il Mezzogiorno è il regno dei “poveri di conoscenze” e degli amministratori collusi con poteri consociativi e illegali?

 

Nel Mezzogiorno poi si concentrano gli studenti più “poveri di conoscenze”, definiti, dall’OCSE, come quelli che non superano il primo livello di competenze (in una scala a sei livelli): per la Matematica sono in tale condizione ben il 34% del totale degli studenti del Mezzogiorni. Si tratta di persone che sono perciò̀ in grado di rispondere solo a domande che riguardino l’ambiente familiare e nelle quali siano esplicitate tutte le informazioni da adoperare, per la soluzione dei problemi. Nelle quattro regioni dell’Obiettivo Convergenza (Puglia, Calabria, Sicilia, Campania), la quota degli studenti che non raggiungono le competenze minime è pari al 35 per cento (25 e 23 per cento sono le quote rispettivamente in Italia e nella media OCSE). Si tratta di quelle Regioni che, discriminate dalle politiche dell’istruzione nazionali, hanno però usufruito male della distribuzione dei finanziamenti europei per le regioni svantaggiate. In questi ultimi quindici anni, infatti, hanno avuto classi dirigenti del tutto inefficienti e “sprecone”, quando non colluse con sistemi illegali o clientelari di distribuzione dei finanziamenti, che hanno sperperato le decine di miliardi finalizzati dall’Europa alla “convergenza” con la media europea nei differenti settori. E poi piove sempre sul bagnato perché, ovviamente, quello che conta è anche il background familiare (dell’individuo e nella media di scuola), il livello di legalità e cittadinanza (con ungap per i migranti, specie se di prima generazione), il genere (con segni opposti tra i due ambiti), la tipologia di scuola e anche in questo campo il Mezzogiorno è molto svantaggiato storicamente.

 

Le cause di questo spread tra le Regioni nella preparazione degli studenti possono essere individuate nei seguenti fattori:

 

–         la riduzione delle risorse a disposizione del sistema, dovuta al federalismo egoista e discriminatorio del centro-destra, non ha compromesso la performance media della scuola italiana, ma ha sicuramente indebolito molto le situazioni e le istituzioni scolastiche situate nei contesti più fragili e meno dotate di risorse locali, e regionali. Il risultato è stato quello di aumentare di molto il gap tra regioni e provincie già avvantaggiate socialmente ed economicamente e regioni e provincie svantaggiate.

 

–          La riforma del II ciclo delle superiori, voluta avviata dal ministro Gelmini dall’anno scolastico 2010‐11 ha impoverito l’offerta formativa di molti indirizzi di studio, in particolare, i tecnici e i professionali, ma anche di alcuni licei, ad esempio quello delle scienze sociali. La contro-riforma Gelmini si è, infatti, mossa in totale controtendenza con le indicazioni dell’Unione europea. Ha, infatti, aumentato le “discipline” e ridotto le ore di frequenza a scuola per le singole discipline. In totale controtendenza con il processo europeo di Lisbona, che vuole esattamente l’opposto, cioè una riduzione e opzionalizzazione delle discipline e un aumento delle ore scolastiche in favore di una didattica attiva e laboratoriale.

 

Nozionismo, e didattica trasmissiva, classi “pollaio” in Italia, contro learing by doing, costruttivismo e “classi laboratorio” (digitalmente aumentate) in Europa.

 

Conclusioni: federalismo egoista contro federalismo solidale: a favore della Buona scuola

 

Nel suo complesso la scuola italiana, ha resistito ai “tagli” e alla perdita di ruolo sociale voluta dal centro-destra negli ultimi quindici anni grazie alla “dedizione” e all’abnegazione di molti insegnanti, dirigenti e personale ATA, garantendo le prestazioni didattiche essenziali. Tuttavia, il prezzo da pagare è stato molto elevato in termini di coesione sociale e territoriale.  Le istituzioni formative più deboli e situate in regioni e situazioni locali il cui tessuto sociale era ed è stato maggiormente disgregato dalla “crisi” sono state colpite dalla controriforma in misura maggiore allontanandosi dall’Europa e dalle regioni più avvantaggiate d’Italia.

 

E’ chiaro che, anche in presenza, di un cambiamento nelle politiche scolastiche, la risalita da quindici anni di incuria non potrà essere semplice e necessità di riforme coraggiose e strutturali. Con queste premesse è ancora più incomprensibile l’opposizione dei sindacati e di molti insegnati alla riforma della scuola di Renzi che, tra mille errori e imperfezioni, per la prima volta reinveste nelle istituzioni formative del paese. Si tratta di una riforma che cerca, anche se ancora in maniera timida, di invertire il processo e di dotare la scuola italiana di maggiori risorse. Si aumenta, infatti, l’autonomia – di nuovo secondo il principio di un federalismo solidale – e si cerca di cominciare a re-impostare un processo di investimenti nel capitale umano della scuola. Perché allora tanta ostilità?

 

E’ ovvio che l’effetto combinato di queste due tendenze, ispirate al federalismo egoista del centro-destra, non ha fatto che indebolire le realtà più fragili e socialmente più svantaggiate.