Innovazione diffusa, dipartimento autonomo, spinin e spinoff, acquisizione di startup. Quattro vie che l’industria italiana può seguire, ma nessuna è migliore delle altre. Bisogna valutare caso per caso. E l’innovazione nella pubblica amministrazione va affrontata con particolare cura
Il rapporto tra imprese e innovazione non è facile. Tutti i giorni leggiamo di carenze, limiti, occasioni perdute, difficoltà nel concretizzare programmi di innovazione realmente efficaci e di successo. Tanti sono i problemi che si devono affrontare: carenza di risorse economiche, limiti culturali, risorse umane inadeguate, e non ultima un eccesso di retorica che troppo spesso soffoca e svilisce la discussione su questo importante aspetto della vita delle imprese.
Uno degli aspetti più interessanti e critici del problema è lacollocazione organizzativa e strategica della funzione innovazione all’interno dell’azienda. Tante sono le teorie a riguardo, con proposte e approcci anche piuttosto diversificati e contrapposti. Peraltro, credo sia possibile, magari in modo grezzo, identificare (almeno) quattro principali strategie o archetipi che nel loro complesso definiscono livelli crescenti di disaccopiamento del processo di innovazione dai processi operativi aziendali “core”.
1. Innovazione diffusa
Nel descrivere la modalità secondo la quale Apple gestisce il processo di innovazione, Gary Hamel propone la seguente osservazione:
At Apple, innovation isn’t a strategy or a department; instead it’s the basic material that goes into everything the company does. From the wafer-thin MacBook Air to the App Store to the Genius Bar, innovation infuses everything Apple does. Apparently there are a lot of people at Apple who realize that innovation–in products, services, and business models–is the only strategy for creating long-term value. If so, they must be relieved that innovation is still a sideshow in so many of their competitors.
Apple costituisce l’archetipo dell’innovazione diffusa. In questo paradigma non esiste una struttura o funzione che opera in modo disgiunto rispetto agli altri processi aziendali: tutti innovano (o devono innovare).
Il vantaggio di quest’approccio è che l’innovazione risulta strutturalmente e intrinsecamente vissuta da tutte le funzioni aziendali senza discontinuità o fratture. D’altro canto, quest’approccio presenta un paio di criticità/rischi:
– Tutta l’azienda deve essere permeata da una cultura diffusa dell’innovazione. Se ciò mancasse, nessuno o pochi innoverebbero.
– Deve comunque esistere un punto autorevole di motivazione e di sintesi delle iniziative di innovazione diffusa presenti in azienda. In Apple, storicamente ciò è sempre stato rappresentato dallo stesso Steve Jobs. In generale, deve esistere una figura o funzione organizzativa che svolga questo ruolo, se non si vuole correre il rischio di una eccessiva frantumazione, insufficienza e incoerenza degli interventi.
2. Dipartimento autonomo
Proprio per venire incontro ai rischi rappresentati dall’approccio a innovazione diffusa, molte aziende hanno creato dipartimenti o strutture organizzative dedicate ai processi di innovazione. In questo modo esiste una responsabilità forte che viene assegnata ad una precisa funzione aziendale, con ciò superando i problemi discussi in precedenza.
Tuttavia, anche questa funzione ha dei suoi limiti. Spesso un dipartimento separato è incapace di trasferire i propri risultati alle strutture operative. Ciò può derivare da una molteplicità di fattori:
1. Incoerenza tra innovazioni proposte e strategie delle divisioni operative e di prodotto.
2. Incapacità di dialogo e interazione tra le diversi strutture (innovazione e operative).
3. Scarsa sensibilità da parte del dipartimento che si occupa di innovazione sui bisogni e trend del mercato, elementi che sono invece di solito conosciuti dalle divisioni e strutture che operano direttamente a contatto con clienti e fornitori.
Inoltre, spesso un dipartimento di innovazione manca di quegli stimoli e driver che motivino e premino lo sviluppo di innovazioni. Nei fatti, spesso le strutture che si occupano di innovazione divengono poco motivate e poco stimolate a produrre innovazioni che riescano realmente ad avere un impatto. Inoltre, soprattutto in grandi aziende, i processi e le burocrazie interne tendono ad accentuare queste criticità, rallentando e complicando ancor di più il lavoro e il raccordo delle diverse funzioni aziendali.
3. Spinoff e spinin
Per affrontare i problemi discussi al punto precedente e dare un forte impulso ai processi di innovazione, specialmente quando si vuole promuovere e sostenere innovazioni di tipo disruptive e in discontinuità rispetto al main focus aziendale, alcune aziende (per esempio CISCO) hanno iniziato adaffidare progetti innovativi a spinoff aziendali guidati da alcuni dei managers che hanno originariamente concepito l’idea che sta alla base dell’iniziativa. In questo modo, essi godono di autonomia, velocità e flessibilità nel trasformare l’idea in un concreto prodotto o servizio. Quando ciò accade, viene attivato un processo di “spin in” che riporta in seno all’azienda lo spinoff, con la relativa integrazione nel portfolio dei prodotti e servizi aziendali delle innovazione prodotte dallo spinoff stesso.
Il vantaggio di quest’approccio è la possibilità di rendere i processi di innovazione molto più agili e veloci , indipendenti da vincoli, policies e procedure aziendali. Il rischio, ovviamente, è la creazione di un forte scollamento tra azienda e spinoff su quelle che devono essere le caratteristiche del prodotto/servizio da sviluppare e su come esso debba integrarsi all’interno del portfolio d’offerta dell’azienda “madre”.
4. Acquisizione di startup e, in generale, di IP esterno
L’estremo opposto rispetto all’innovazione diffusa (alla Apple) è un processo che acquisce interamente le innovazioni dal mercato, siano essi brevetti, asset (per esempio, software) o altre forme di IP (Intellectual Property) come trademark o copyright. Oggi, spesso si acquiscono dall’esterno intere imprese (tipicamente startup) il cui knowhow e IP risulti funzionale allo sviluppo del portfolio prodotti/servizi dell’azienda o all’efficientamento dei processi operativi aziendali. Questa strategia è oggi perseguita da molte grandi aziende che vedono in quest’approccio un modo per acquisire in modo tutto sommato veloce quelle innovazioni che possono sostenere il processo di crescita e di sviluppo dell’impresa.
L’ovvio vantaggio di questo approccio risiede nel fatto che le imprese possono sfruttare l’enorme patrimonio di idee e contributi sviluppati da singoli, startup e imprese in generale presenti sul mercato.
Gli svantaggi, problemi e rischi, peraltro, non sono irrilevanti:
1. Un primo rischio deriva dal fatto che possono esistere aree e tematiche di forte interesse aziendale e, al tempo stesso, poco sviluppate da parte di startup e singoli in quanto temi di nicchia o non tipicamente di interesse dei finanziatori di startup.
2. In secondo luogo, il processo di selezione di startup e IP è estremamente complesso e critico. Esso richiede uno sforzo maturo e intenso da parte del top management dell’impresa, coadiuvato da una struttura ad hoc in grado di svolgere in prima battuta le attività di scouting e screening delle diverse opportunità.
3. Infine, si accentuano i rischi di rigetto già evidenziati in precedenza nel commento relativo agli spin in.
Quindi, che fare?
Da queste brevi considerazioni emerge chiaramente che non esiste il “silver bullet” o “Santo Graal”: nessun approccio è di per se stesso migliore o ottimale. Ci sono una molteplicità di strategie e opzioni, peraltro non alternative e incompatibili, che possono e devono essere selezionate, integrate e raffinate in funzione della maturità e dimensione dell’azienda, della situazione del mercato in cui essa opera, e degli obiettivi che l’azienda stessa si pone.
In ogni caso, serve una governance forte dei processi di innovazione, che abbia alla base una convinzione profonda del top management sulla necessità e inevitabilità di innovare, qualunque sia il modo secondo il quale tale processo sia stato definito e organizzato.
Un commento sull’innovazione nelle amministrazioni pubbliche
Uno dei settori maggiormente attraversati dal dibattito sul ruolo e collocazione dell’innovazione è certamente quello delle amministrazioni pubbliche. Chi si deve occupare di innovazione nelle PA? Serve un ministero ad hoc oppure deve essere una funzione diffusa e distribuita all’interno di Ministeri e amministrazioni in generale?
In questi mesi e anni il dibattito si è sviluppato in modo incessante, specialmente in corrispondenza della formazione delle compagini di governo. Alcuni (come lo scrivente) sostenevano la necessità di creare un Ministero ad hoc per l’Innovazione, altri ritenevano tale scelta inutile e controproducente, altri ancora assegnano questo ruolo direttamente al Presidente del Consiglio.
A me pare che, riprendendo le considerazioni proposte in questo breve articolo, nel caso delle amministrazioni pubbliche possano valere le seguenti considerazioni:
– Certamente, è necessario e inevitabile che ogni amministrazione, piccola o grande non importa, abbia una sua funzione che si occupa di innovazione, o comunque si doti di una sua strategia (magari di innovazione diffusa) che presidi e sviluppi il tema al proprio interno. Certamente, tale funzione/struttura sarà più o meno estesa e complessa in funzione delle caratteristiche e dimensioni dell’amministrazione considerata (piccolo comune piuttosto che un Ministero).
– È peraltro inevitabile avere anche una struttura centrale (Ministero ad hoc) per due principali motivazioni:
1. Le amministrazioni non sono tutte allo stesso livello di maturità e questo è esattamente uno dei maggiori freni ai processi di innovazione diffusi (come discusso in precedenza). Serve un presidio forte che stimoli, sostenga e spinga tutte le amministrazioni ad perseguire processi di innovazione.
2. Il sistema pubblico nel suo complesso richiede una coerenza degli sforzi e delle iniziative delle diverse amministrazioni. Anzi, in molti casi è necessario identificare innovazioni di sistema (si pensi all’SPC, per esempio) che è difficile concepire e sviluppare in questa o quella amministrazione.
Le amministrazioni non sono dipartimenti di una Apple, ma una molteplicità di soggetti autonomi e molto diversi tra loro che richiedono una forte azione di guida e coordinamento. Il nuovo processo di governance che sta nascendo in queste settimane dovrà affrontare e gestire queste sfide.
AUTORE: Alfonzo Fuggetta
FONTE: AgendaDigitale