Traccia percorsi di innovazione significativi, ma lascia diversi punti alla discrezionalità degli attuatori e a future norme, e non incide su alcuni temi nodali, dalla questione organizzativa al modello didattico, al rapporto scuola-università. E rischia di diventare, dal punto di vista dell’innovazione nella scuola, un’occasione perduta. Ecco perché.
Il percorso di definizione del disegno di legge “La Buona Scuola”, partito dal documento strategico La Buona Scuola, arricchitosi di una consultazione online e di diversi incontri in presenza, è stato certamente positivo per la partecipazione di docenti e studenti. L’approccio poteva forse essere più inclusivo nella parte iniziale, e rispetto alla componente studentesca, e probabilmente poteva essere data più evidenza del recepimento (o meno) di contributi e istanze avanzate durante la consultazione. Ed è senz’altro un peccato che la relazione tecnica non dia evidenza del quadro strategico da cui nasce il disegno di legge, e che sembra quasi non essere più lo sfondo di riferimento.
L’impressione generale che si ottiene dalla lettura del ddl, analizzato sotto la prospettiva dei temi dell’innovazione e del digitale, è di una norma che affronta in modo determinato e compiuto alcune questioni importanti (ad esempio, il principio dell’obbligatorietà della formazione dei docenti), ma ne lascia molte alla discrezionalità degli attuatori (ad esempio sulla questione dei compiti dei docenti a staff dei dirigenti scolastici e dei “coordinatori sui temi della Scuola Digitale”, o i “laboratori territoriali”), a futuri decreti delegati (vedi il tema del ruolo delle reti di scuole), o a future iniziative legislative (vedi la relazione scuola-università e il tema, correlato, della formazione di nuovi profili di competenze). E alcuni temi, come il modello di innovazione didattica, rimangono sostanzialmente non trattati.
Gli aspetti positivi
Sono molti gli elementi di innovazione positiva, in gran parte in discontinuità. Per citare quelli che credo principali nell’ambito della “Scuola Digitale”:
- la direzione indicata sulla formazione dei docenti, finalmente obbligatoria, con modalità che dovrebbero privilegiare il trasferimento di esperienze nella logica della peer-education (come già nell’attuale Piano Nazionale Scuola Digitale), e con uno spazio importante riservato anche all’autoapprendimento (vedi la “carta” di 500 euro per ciascun docente, di cui però devono essere fornite indicazioni specifiche di utilizzo), a cui si lega un’attenzione alla valorizzazione delle esperienze, con la formalizzazione dei curriculum docenti;
- l’ingresso dalla porta principale delle competenze digitali e del pensiero computazionale, come obiettivi da considerare nella definizione del piano triennale di offerta formativa;
- la focalizzazione sul tema delle nuove competenze e delle nuove figure professionali come uno dei nodi principali per l’inserimento nel mondo del lavoro e la lotta alla disoccupazione (da cui l’alternanza scuola-lavoro e l’apertura alla domanda di competenze da parte del mercato);
- la sottolineatura sulla necessità di semplificare e razionalizzare i processi amministrativi e allo stesso tempo di favorire lo sviluppo completo dell’autonomia scolastica, ancora oggi più sulla carta che effettiva;
- l’attenzione, in generale, sia in termini di linguaggio che di iniziative, alle nuove caratteristiche e alle nuove esigenze della nostra società, dalla trasparenza, alla collaborazione e alla partecipazione (vedi il focus specifico sul tema degli open data, che amplia e rende più organica e incisiva l’iniziativa, mai davvero decollata, della “scuola in chiaro”).
Gli aspetti positivi “timidi” e da integrare
Sempre nell’ambito di cui ci occupiamo, mi sembra che diversi elementi, anche ben indirizzati dal documento di origine “La Buona Scuola”, siano nel ddl molto attenuati e in gran parte lasciati alla discrezionalità oltre che alla capacità del singolo dirigente, oppure rimangono nello sfondo, importanti eppure non affrontati:
- le reti di scuole vengono citate, dovrebbero essere oggetto di uno dei decreti delegati, ma in realtà rimangono poco delineate, dando la percezione di non essere considerate parte necessaria del sistema, ma solo accessoria. Non sembra che ci sia in prospettiva un passaggio di responsabilità e di risorse dagli Uffici Scolastici Regionali alle reti, il che rappresenterebbe un’opportunità non colta;
- l’organizzazione delle istituzioni scolastiche è sostanzialmente lasciata in mano ai dirigenti scolastici, senza particolari indicazioni (se non quella “numerica” sui collaboratori). In particolare, la figura di sistema sui temi del digitale, più che auspicata, rimane opzionale e non legata ad un disegno complessivo, lasciando ai dirigenti anche la scelta se fare di questo un incarico a tempo pieno o meno. Inoltre, nonostante la complessità tecnologica sempre più spinta nelle scuole, non si fa cenno a figure diassistenza tecnica, a livello di singola scuola o di territorio. Il rischio di un funzionamento “a macchia di leopardo”, senza task force di supporto, è altissimo;
- la valorizzazione del merito dei docenti, base per possibilità di innovazione e cambiamento, non ha pretese di omogeneità. Leggendo il ddl sembra che ciascun dirigente debba/possa definire unsistema premiante scegliendo in piena autonomia il modello da seguire. La mancanza di indicazioni è altamente rischiosa, non solo perché siamo in un contesto con pochi “e-leader”, ma perché un approccio di questo genere produce inefficienza e mette a repentaglio l’efficacia stessa del sistema dei bonus;
- anche sul fronte delle competenze l’approccio sembra parziale. Se è positiva l’attenzione alle competenze di docenti e dirigenti, parlare solo di “quadro delle competenze” e di curriculum rischia di essere unpasso incompleto nella giusta direzione. Sappiamo, infatti, che solo un sistema di gestione delle competenze (e quindi l’aggiornamento continuo delle competenze, dei profili e della mappatura delle competenze di tutto il personale) può consentire un governo sistemico e non occasionale delle attività formative e di sviluppo. Ma questo passaggio implica anche competenze specialistiche, responsabilità e compiti maggiori (a carico di chi? a livello di scuola, di rete, di Miur?) per la gestione del sistema e per l’effettuazione di significativi e periodici bilanci di competenza;
- di fatto, l’innovazione didattica è demandata al Piano Nazionale Scuola Digitale, ancora da aggiornare. Non si può che sospendere la valutazione, sottolineando però che questo Piano dovrà supplire alla definizione ancora poco precisa dei “centri di ricerca”, dei “laboratori territoriali”, dei sistemi di supporto al riuso e allo scambio di esperienze, che erano alcuni degli elementi chiave di innovazione del documento originario de “La Buona Scuola” e che, come tutti i temi relativi all’innovazione didattica, in questo ddl non trovano spazio;
- è inserita una parte relativa all’innovazione nell’edilizia scolastica. Molto interessante, se non fosse che si tratta di uno stanziamento finalizzato alla costruzione di 30 edifici, poca cosa rispetto alla totalità delle scuole. Forse si poteva lavorare di più sul rinnovamento di un grande numero di edifici esistenti;
- anche uno dei presupposti dell’innovazione didattica (il numero di alunni per classe) è lasciato all’interpretazione e alla volontà dei dirigenti scolastici, senza alcun obiettivo/limite da rispettare;
- la dinamica del rapporto dirigente-docenti viene incrinata dall’infelice formulazione relativa al piano triennale, “elaborato” dal dirigente e “sentiti” il collegio dei docenti e il consiglio d’istituto. Ovviamente un documento di così ampia e profonda importanza e portata può nascere solo dalla partecipazione piena dei docenti. Una formulazione di questo genere rischia di produrre soltanto danni ed è chiaramente in contrasto con i principi della scuola aperta, dell’autonomia, oltre che con i fondamenti dell’amministrazione aperta.
Quello che ancora manca
Come ho già cercato di evidenziare in sede di consultazione, ci sono poi degli aspetti non trattati, e che invece in questo ddl sarebbe bene trovassero uno spazio adeguato, anche perché altrimenti il quadro d’insieme sembra mancare:
- la questione organizzativa, che credo sia fondamentale e che altrove ho approfondito, è in gran parte elusa. Non si comprende in che modo cambierà il Miur (incluse le sue articolazioni, come gli Uffici Scolastici Regionali o l’Indire e l’Invalsi) per supportare e accompagnare un cambiamento così diffuso sulle scuole. Si citano, come già rilevato sopra, le reti di scuole, ma non si comprende se saranno solo fenomeni volontari, come avviene adesso, o un indirizzo esteso a tutte le scuole, se saranno, come molti si auspicano, dei soggetti intermedi riconosciuti e con proprie funzioni stabili (di formazione, di condivisione di contenuti didattici e buone pratiche, e forse anche di valutazione), oppure saranno definiti di volta in volta secondo i progetti avviati. Eppure è uno dei cardini del cambiamento possibile;
- il modello di classe e di scuola, viste anche le nuove competenze che devono acquisire i docenti e le nuove attività previste. Andiamo verso un modello di sempre maggiore specializzazione, anche nella scuola primaria? E qui, si ritorna alla logica del team di docenti o si rimane nella logica del maestro prevalente? Anche con l’introduzione di ulteriori laboratori, l’indirizzo è quello di andare verso le classi aperte che si è sperimentato in diversi Istituti Superiori? La rimodulazione degli spazi-aula e degli spazi-scuola è un punto fondante della nuova scuola o ciascuno potrà optare per la scelta (o la non scelta) che ritiene migliore? Questo aspetto è lasciato inevaso, eppure sarà alla base di tutti i piani triennali;
- la relazione scuola-università, qui sostanzialmente assente. Mentre si tratta il tema degli Istituti professionali, non è mai affrontato il tema (cruciale) del passaggio e della relazione tra scuola secondaria superiore e università. Eppure, ad esempio, la mancanza di laureati nelle materie scientifiche è un tema che nel documento strategico originario veniva dichiarato importante;
- la relazione con gli altri attori ed enti di territorio. A parte i passaggi sulle scuole aperte e sui legami con associazioni e imprese, non sembra esserci una proposta per far sì che le collaborazioni a livello di territorio possano essere di sistema. Nessuna citazione, ad esempio, di una relazione con le amministrazioni o con altre istituzioni, di una programmazione socio-culturale di territorio. Anche qui, tutto sembra lasciato alle singole istituzioni.
Il disegno finale che fin qui così si ottiene (ancora incompleto per la mancanza dei decreti delegati) vede la sua efficacia ancora in gran parte affidata alle capacità dei singoli dirigenti scolastici e degli Uffici Scolastici Regionali, i cui compiti aumentano, senza peraltro che l’organizzazione centrale del Miur sia snellita di conseguenza, e che prendano corpo le reti di scuole. Questo può essere un ostacolo importante nel percorso di cambiamento, tra l’altro ancora da delineare in dettaglio.
In altri termini, iniezioni salutari di innovazione in un organismo costruito però con altre logiche. Forse si può (e si deve) osare di più.