E’ necessario, non soltanto realizzare un catalogo del software per il riuso, ma impegnare operativamente le risorse dei vari soggetti in un vera co-progettagione che affronti e risolva gli inevitabili problemi anche organizzativi dell’IT pubblico. E spingere sugli shared services.
Sono sotto gli occhi di tutti i ritardi e le grandi incertezze che, sul tema della innovazione digitale della pubblica amministrazione (e non solo), affliggono ormai da anni il nostro paese. Nonostante sia ormai chiaro che l’innovazione digitale della PA può comportare enormi risparmi e miglioramenti nella efficacia della fornitura dei servizi pubblici e nonostante i passi avanti compiuti dal team di Francesco Caio, vuoi per difficoltà burocratiche, vuoi per problemi di governance, vuoi per mancanza di commitment forte della politica, manca ancora un piano serio e articolato sulla digitalizzazione della PA che coinvolga tutti i soggetti che possono dare un contributo nei diversi livelli di governo. In questa situazione, purtroppo, abbastanza drammatica, sarebbe necessario e indispensabile valorizzare tutto ciò che di positivo è stato fatto negli anni e cercare di metterlo a fattor comune.
Da questo punto di vista, all’interno delle società ICT regionali esiste un patrimonio di competenze, esperienze e soluzioni applicative ed infrastrutturali che, in una situazione di drammatico e di perenne ritardo nello sviluppo digitale , sarebbe davvero un “delitto” non cercare di valorizzare e mettere a fattor comune.
Solo per citare il settore della sanità digitale (ma analogo ragionamento si potrebbe fare sui sistemi digitali per i trasporti, la scuola, la protezione civile, la riscossione dei tributi, l’analisi del mercato del lavoro, i finanziamenti alle imprese…etc..etc) alcune società ICT, su mandato delle Regioni, hanno sviluppato negli anni sistemi innovativi per la gestione del Fascicolo Sanitario Elettronico e dei servizi on-line ad esso collegati (prenotazioni, pagamenti, etc..) che potrebbero (anzi dovrebbero!) essere messi a disposizione della maggioranza delle altre Regioni Italiane che, su questi temi, sono ancora al palo. Ma per far questo sarebbe necessario utilizzare fortemente le competenze e le esperienze presenti nelle società ICT Regionali, creando una vera “task-force” che dovrebbe essere coordinata dalla Agid in modo che i sistemi si inseriscano all’interno di un quadro coerente e pianificato a livello nazionale. Questo sarebbe, a mio avviso, l’unica modalità realistica per arrivare al risultato sperato di dotare tutti i cittadini italiani del Fascicolo Sanitario Elettronico con tempi e costi ragionevoli. Perché vogliamo perdere questa possibilità? Le società ICT Regionali sono disponibili, perché aspettare ancora? E lo stesso ragionamento si può fare su molte altri campi applicativi. Tanto per citare un altro esempio : il sistema innovativo di erogazione dei servizi in cloud ai piccoli comuni, realizzato da Informatica Trentina perché non potrebbe essere implementato ed utilizzato in tutte le altre regioni?
Ma per fare tutto questo è necessario, non soltanto realizzare un catalogo del software per il riuso, ma impegnare operativamente le risorse dei vari soggetti in un vera co-progettagione che affronti e risolva gli inevitabili problemi anche organizzativi (e talvolta anche di assetto istituzionale) che emergono nella implementazione di complesse soluzioni IT per la pubblica amministrazione.
Infine vorrei citare la tematica degli “shared services”: è del tutto evidente, anche analizzando le più significative esperienze internazionali, che per migliorare la qualità e ridurre i costi dei servizi è necessario progettare e fornire sempre più servizi “condivisi” dai vari livelli ed enti di governo e di gestione dei servizi pubblici nel territorio. In questo quadro si inseriscono i progetti di ristrutturazione, virtualizzazione e trasformazione dei “data center”, avviati con investimenti consistenti da alcune Regioni e gestiti dalle Società ICT Regionali, che possono diventare il cuore della fornitura di servizi cloud-based alla miriade di enti pubblici presenti sul territorio.
Tutto questo a prescindere, da un’analisi e da un giudizio critico sulla efficienza, efficacia ed economicità di queste strutture che pure, negli ultimi anni, si sono impegnate in un serio e articolato percorso di cambiamento che le vede impegnate in una (talora difficile) trasformazione da “fabbrica pubblica” a cerniera tra la domanda pubblica e l’offerta del mercato. Tanto per citare un solo dato (si veda il rapporto Assinter del 2012) la quota di esternalizzazione delle attività delle società ICT regionali è cresciuta continuamente negli anni, avvicinandosi in media al 50% della attività complessive con punte del 60-70%.
L’associazione delle società ICT regionali (Assinter Italia) ha inoltre avviato, recentemente, in collaborazione con Il Politecnico di Milano e la Sda Bocconi, una importante iniziativa di formazione manageriale (Assinter Academy) che vede coinvolti decine di professionisti ed è funzionale a supportare l’evoluzione delle competenze conseguenti al mutato assetto organizzativo e strategico delle Società.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)
AUTORE: Alberto Daprà, Assinter Italia