Il blocco all’accesso per ragioni di copyright, attraverso i provider, non ha alcuna utilità nella repressione della pirateria. Anzi, ne giustifica una perpetuazione che danneggia la lotta stessa alla pirateria.
Tentare di chiudere i grandi siti di streaming video e di condivisione di torrent illegali in pratica, in particolare attraverso gli ordini di inibizione dati ai provider, non ha alcun effetto a lungo termine sulla pirateria dei contenuti protetti da copyright.
È quanto emerge da uno studio condotto dal Joint Research Center della Commissione Europea, che analizza in maniera approfondita l’operazione che ha portato alla chiusura del sito “pirata” Kino.to. Attraverso l’analisi dei dati individuali sul flusso di clic, i ricercatori del Joint Reasearch Center della UE, hanno scoperto che la chiusura del sito ha portato ad un breve declino nei livelli di pirateria, a cui è seguita una vera e propria esplosione di siti che hanno raccolto immediatamente il “testimone” del sito chiuso.
L’esistenza di fonti alternative di consumo illecito, assieme alla crescita rapida di nuove piattaforme, ha portato il mercato dello streaming illegale ad una veloce ripresa.
Nei primi mesi si è registrato un calo del 30% nel consumo di contenuti illegali, ma a fronte della chiusura del servizio illegale sono nati almeno altri 22 servizi analoghi capaci di soddisfare l’ingente domanda e di colmare il vuoto lasciato da Kino.to.
Sono gli effetti “Hydra” e “sostituzione”, molto conosciuti nell’ambiente digitale, che rendono di fatto queste misure del tutto inutili.
Sempre l’European Commission’s Joint Research Centre, nel 2013 ha dimostrato che il download illegale di mp3 non arreca danni all’industria musicale.
La ricerca ha esaminato le abitudini di navigazione di oltre 16.000 cittadini europei e ha dimostrato che non vi è alcun legame tra la pirateria online e gli acquisti nei negozi digitali di musica, anzi, le vendite di CD possono addirittura trarre beneficio di download illegali: “la maggior parte della musica scaricata tramite canali non legali non sarebbe mai stata acquistata dagli utenti“.
Inoltre, sempre lo stesso studio ha dimostrato che i servizi di streaming come Pandora e Spotify non cannibalizzano gli acquisti, ma bensì invogliano le persone ad acquistare i brani.
La realtà italiana legata ai provvedimento dell’Agcom sul diritto d’autore sta dimostrando in maniera solare, quanto le ricerche indipendenti dell’Unione Europea, colgano nel segno.
Nel caso dei provvedimenti Agcom infatti non opera l’identificazione di chi agisce attraverso questi portali (come era accaduto nel caso kino.to), e ciò rende le procedure di inibizione del tutto inefficaci, perché, fra l’altro, lo stesso annuncio di una procedura da parte Agcom determina l’immediata reazione degli streamers.
Il tutto rende la misura adottata Agcom un’inutile ed ingente spreco di tempo e di denaro, mentre gli utenti non cambiano di un millimetro le loro ( sbagliate) abitudini.
Inoltre, il Caso italiano dell’Agcom sta dimostrando un elemento ulteriore rispetto alle indagini commissionate dalla UE, ovvero che la predisposizione di un sistema amministrativo di enforcement funziona in verità da aggregatore di notizie sull’offerta illegale, determinando l’effetto opposto a quanto ci si potesse attendere.
Ciò in base appunto ad un effetto “volano” dei procedimenti avviati dall’Autorità, che consentono ai più, che non conoscevano i siti internet dediti alla pirateria, di prendere coscienza, attraverso i procedimenti dell’Autorità dei luoghi specifici dove reperire i materiali illegali.
Il fatto già noto da diversi mesi, viene ignorato come se non esistesse dall’Agcom, che continua a presentare le proprie attività come un successo.
A ciò si associa appunto l’effetto Hydra, ovvero il fatto che gli ordini dell’Agcom (a differenza di ciò che si può ottenere in via giudiziale) determinano o la trasformazione del sito, che continua indisturbato, oppure lo spacchttamento dell’accesso e l’effetto di “sostituzione” con siti simili, che molto spesso sono indistinguibili dall’originale.
L’unico strumento efficace sarebbe il “follow the money”, non a caso sponsorizzato dalla UE e da diversi Parlamentari Italiani, tra i quali Stefano Quintarelli, profondo conoscitore del web, autore, tra le altre cose di un disegno di legge in materia, cosi come hanno fatto Felice Casson e Mirella Liuzzi, del Movimento 5 stelle.