codice amministrazione digitaleDa un paio di giorni circolano in rete le bozze sulle modifiche apportate al Codice dell’Amministrazione Digitale. Lo scorso 20 gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato, in esame preliminare, uno schema di decreto legislativo sulle norme di attuazione dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante modifiche e integrazioni al CAD.

 

Lo schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al vecchio Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) – non il rifacimento da zero del codice, come auspicato da alcuni esperti – resta quindi la base concreta per verificare le novità in materia di cittadinanza e amministrazione digitale in ottica di “digital first”. Ad ogni modo, il nuovo CAD entrerà in vigore il primo luglio del 2016.

 

Il principio del digital first è ben presente nel testo del Cad e deve illuminare il percorso dell’amministrazione digitale (non solo pubblica) consentendo quel salto di qualità indispensabile per eliminare i supporti cartacei garantendo efficacia, efficienza ed economicità, anche sotto il profilo ambientale, dei procedimenti amministrativi. Il ruolo dell’Agenzia per l’Italia digitale nello stabilire modelli di dati e formati per la loro elaborazione e presentazione è fondamentale, inoltre, per il successo degli open data.

 

La bozza di riforma del CAD dovrebbe riguardare anche le disposizioni relative all’identità digitale di cittadini e imprese, al domicilio digitale della persona fisica e alla sede legale delle imprese, nonché allo SPID, che dovrebbe essere lo strumento privilegiato di accesso in rete ai servizi delle PA.

 

Al di là del recepimento dello SPID (Sistema pubblico di Identità Digitale), la grande incognita riguarda i tempi di attuazione dell’ANPR (Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente): ce la faranno in tempo i comuni a far confluire i dati dei cittadini, contenuti nelle 8 mila anagrafiche del paese, nell’anagrafe unica entro il limite ultimo fissato per il 31 dicembre 2017?

 

Le PA devono sentirsi obbligate a offrire i propri servizi in modo digitale con accesso tramite il “pin unico”, entro dicembre 2017, anche se molte amministrazioni si sono già adeguate. Per garantire maggiore trasparenza nella PA saranno introdotti una serie di obblighi sul web, partendo dall’inserimento nei siti Internet delle pubbliche amministrazioni di informazioni riguardanti:

 

  • appalti,

 

  • tempi medi di attesa nella sanità,

 

  • tempestività dei pagamenti nei confronti delle imprese creditrici,

 

  • risultati di valutazione,

 

  • piani per la prevenzione della corruzione.

 

Sarà introdotto anche il ‘Freedom of Information Act’ (Foia), strumento che permetterà di chiedere un dato a qualsiasi amministrazione, senza bisogno di motivazioni, eccezion fatta per i casi di segreto di divieto di divulgazione.

 

In conclusione, la PEC nel quadro della Riforma Madia dovrebbe costare 5 euro di canone annuo al cittadino e all’impresa. Ma in cambio promette di far risparmiare parecchio almeno in salute e file tagliate allo sportello, magari per quella raccomandata finita in giacenza all’ufficio postale, che devi ritirare il sabato mattina.