Digital divide annullato e l’unica rete Liguria WiFi. Dietro c’è una visione di Internet Fluido, bene comune come l’acqua.
Per quale motivo, se l’acqua continua a essere un bene pubblico mentre Internet è un modello di business market driven, parliamo di Internet Fluido? Perché, nonostante le differenze che contraddistinguono i due beni, da molti punti vista internet è come l’acqua: sono entrambi fattori di localizzazione per gli insediamenti umani, siano essi di natura residenziale che imprenditoriale, e rispondono alle regole delle industrie a rete. In particolare, ciò che interessa in questa sede sono alcune riflessioni circa l’infrastruttura di trasporto: è noto che le infrastrutture, in conseguenza degli elevati costi fissi e della redditività differita nel tempo, rappresentano monopoli naturali. Questo significa che se lasciamo il mercato libero di agire ci ritroveremo con un solo operatore sul mercato che si comporterà come monopolista e pertanto sarà guidato nelle proprie scelte di investimento dalla logica del profitto. Ecco che, semplificando molto i concetti che stanno alla base delle teorie di economia regionale, diamo il via a percorsi di crescita squilibrata tra territori: l’impresa privata non ha interesse a investire laddove non riscontra la possibilità di ritorno economico. Il libero mercato porterebbe a una concentrazione d’investimenti in aree già sviluppate a discapito dei territori meno sviluppati: per questo motivo negli anni si è ritenuto necessario l’intervento dello Stato per riequilibrare la crescita regionale e garantire i servizi fondamentali in aree a fallimento di mercato.
Ma perché il confronto tra Internet e l’acqua? Fin dall’antichità le scelte localizzative sono state dettate dalla prossimità di fiumi e sorgenti e già in Egitto, Mesopotamia e India, le civiltà si sono organizzate per la gestione collettiva della risorsa idrica. Con l’ingegneria dei Romani e gli acquedotti si è reso possibile il trasporto dell’acqua su lunghe distanze, svincolando le decisioni localizzative dalla vicinanza alle sorgenti, e con la metallurgia e gli impianti a pressione in canalizzazioni del secolo XIX si è superato anche il problema igienico. Arriviamo così ai grandi impianti in aree urbane estese come quello di Londra nel 1854, che ha rappresentato il primo interessamento in chiave moderna di un investitore privato (banca) nella realizzazione di un’infrastruttura in grado di garantire profitto grazie all’elevato numero di utenti potenziali. In questa logica si è riscontrato il pericolo di creazione di squilibri di crescita dei territori: le aree dove l’allacciamento alla rete si sarebbe rivelato economicamente non sostenibile a causa del ridotto bacino di mercato erano a rischio di spopolamento e progressivo disinvestimento. Nel XX secolo la svolta: si diffonde la coscienza della necessità di garantire l’accesso universale al servizio idrico. L’acqua ha portato l’uomo a ingegnarsi per soddisfare un bisogno primario e i Governi a definirlo universale sfruttando la tecnologia e l’ingegneria per semplificarne la distribuzione anche in mercati economicamente svantaggiosi. Oggi ci troviamo quindi con una rete idrica capillare, a gestione mista pubblico-privata, che garantisce a tutti i potenziali utenti – a fronte di un corrispettivo economico – il medesimo livello di accessibilità a prescindere dalla collocazione del punto di distribuzione (fatte eccezioni limitate): questo è possibile attraverso acquedotti di grande distribuzione che partono dalle sorgenti o punti di raccolta (laghi, bacini artificiali, ecc.) e si diramano fino a collegare la singola abitazione. Da non dimenticare le fontane, punti di erogazione gratuita del bene Acqua e che consentono di usufruire del servizio di accesso al bene in modalità mobile, cioè non legata al punto di contrattualizzazione del servizio (abitazione). Numerose similitudini si riscontrano con Internet: è un flusso d’informazioni che viaggia attraverso infrastrutture di trasporto (acquedotti), arriva alle case tramite le reti di accesso a prescindere dalla tecnologia utilizzata (canalizzazioni potabili) e può essere distribuito in punti di erogazione gratuita in mobilità tramite glihot spot WiFi (fontane) o attivare processi machine to machine in sistemi di automazione (impianti di irrigazione ad esempio).
Le telecomunicazioni però hanno seguito una storia diversa, probabilmente perché sono in continua evoluzione in termini di prestazioni e servizi (l’acqua, pur usufruendo dell’innovazione nella parte d’infrastrutturazione degli impianti, rimane acqua). Negli anni ’20 vi erano diversi operatori dominanti poi fusi nel 1964 nella SIP (Società Italiana Per l’esercizio telefonico) che operava nel settore della telefonia in un mercato di monopolio legale (prima di internet, della posta elettronica e dei cellulari) sia in riferimento all’infrastruttura che al servizio. Tutti potevano avere una linea telefonica e l’operatore dominante – controllato dallo Stato – aveva la possibilità di equilibrare i conti compensando aree di mercato e aree non di mercato (dove in un mercato di concorrenza un soggetto privato difficilmente avrebbe investito) e, allorquando l’equilibrio non fosse stato raggiunto, poteva usufruire di finanziamenti pubblici. Il telefono è diventato nei fatti una sorta di diritto universale come l’acqua e, almeno per il primo periodo, ha avuto anche lo stesso livello di stabilità di prodotto. Poi si è capito che il telefono era la base di un mondo nuovo, di una nuova era di telecomunicazioni e si è deciso di prendere una strada diversa: rendere la risorsa “banda trasmissiva” non più un bene pubblico ma una fonte di profitti. Ciò spinse il Governo a privatizzare l’azienda monopolista fino a farla diventare l’attuale Telecom Italia attraverso vari passaggi (era Olivetti, era Colaninno, l’OPA su TIM, ecc.).
La “banda” di accesso al mondo moderno delle telecomunicazioni (non più solo il telefono ma la connessione dati, l’accesso ad Internet, ecc.) diviene un bene privato e, non essendo più egualmente fruibile, ha generato nel tempo squilibri territoriali guidati dalle condizioni di mercato e non dalla reale esigenza dei singoli. A differenza di quanto avvenuto per il servizio idrico, ci siamo trovati da un lato ad affrontare il problema del Divario per le aree non di mercato e, dall’altro, a gestire l’esplosione della bolla delle new economy e di Internet, che ha fatto raggiungere al mercato delle Telecomunicazioni livelli economici inattesi pochi decenni prima. Un business di assoluto rilievo, facilmente localizzabile nelle aree urbane e poco interessante nelle aree rurali o poco abitate.
Vale la pena provare, dopo questo confronto, a rispondere a una domanda: è stata una scelta corretta privatizzare la SIP? Secondo gli autori no. Il bene Banda, così come il bene Acqua, non può che essere considerato primario dai Governi e quindi è corretto prevedere un intervento da parte dei soggetti pubblici più idonei (in questo caso le Regioni) secondo schemi possibilmente condivisi a livello nazionale ma sufficientemente diversi a livello locale per poter gestire la caratteristiche tipiche di ogni territorio che, nei fatti, determinano la predisposizione o meno al fallimento di mercato nelle singole aree. Il compito del Governo nazionale dovrebbe concentrarsi sul piano regolatorio e sulle agevolazioni di legge per chi sceglie di investire fondi privati definendo, per le azioni territoriali linee guida e ponendosi come hub logico nel disegno d’infrastrutturazione del Paese. Il primo passo in questa direzione deve essere la sburocratizzazione dei processi amministrativi che scoraggiano i privati all’investimento. L’approccio top-down su questi temi deve servire a cambiare la Pubblica Amministrazione e a rifondarne i processi nativamente digitali.
Sul tema della rete, sarebbe interessante oggi, quantomeno, costituire un soggetto pubblico (o pubblico/privato) che possa essere gestore unico della rete primaria completando in modo razionale ma non discriminatorio l’infrastrutturazione in fibra ottica del Paese. La concorrenza nel mercato dovrebbe continuare a essere garantita invece per quanto riguarda la fornitura del servizio. Questo stimolerebbe la nascita di nuove start-up innovative non obbligate a dover investire ingenti capitali in infrastrutture che, nel migliore dei casi, avrebbero ritorni positivi solo in aree di mercato ma già altamente competitive e con asset ridondanti e diseconomie globali evidenti.
Regione Liguria
Queste riflessioni e l’analisi del contesto specifico della Liguria (235 comuni di cui 183 sotto i 5000 abitanti di cui 97 con meno di 1000 abitanti), hanno portato Regione Liguria alla decisione di promuovere la Cittadinanza Digitale al rango di diritto collettivo, in accordo con quanto previsto dalla normativa comunitaria in termini di possibilità di accesso alla rete Internet in Banda Larga. E’ stata pertanto prodotta un’attenta mappatura del territorio utilizzando come ambito di riferimento minimo la Frazione Istat e non il Comune. Questo perché la particolare conformazione del territorio ligure vede distribuzioni disomogenee di centri abitati, a distanza di diversi km su Comuni talora vastissimi e su vallate differenti. L’indagine è stata condotta consultando gli operatori di telecomunicazioni, mappando i loro dati di copertura e incrociandoli con le dichiarazioni dei Sindaci circa le singole frazioni a “fallimento di mercato” per i rispettivi Comuni.
Una volta definito il contesto, è stato affrontato il tema dell’infrastrutturazione delle aree a fallimento di mercato ai fini dell’annullamento del Digital Divide. Regione Liguria ha indetto due gare (una per la parte Centro Levante e l’altra per il Centro Ponente) per il completamento dell’Opera Pubblica in modo tale da garantire la presenza di almeno un fornitore del servizio, con l’obbligo di condivisione degli asset installati con tutti gli operatori che intendano entrare nel nuovo mercato.
I bandi di gara si sono stati basati sul principio della neutralità tecnologica dei progetti, con tutti i vincoli richiesti dall’utilizzo dei fondi europei e l’approccio tecnico-progettuale scelto da Regione Liguria è stato più volte riconosciuto come vincente anche per alcuni aspetti innovativi: primo fra tutti la tipologia di impegno richiesto agli offerenti. Non è stato chiesto di rendere disponibile il servizio a territori o a linee telefoniche, ma in proporzione al numero dei richiedenti. Se internet a banda larga deve essere riconosciuto come diritto di Cittadinanza Digitale tutti devono potervi accedere, ma non è necessario costruire una diga se basta un pozzo. Quindi, realizzate le opere principali di urbanizzazione digitale come “Rete di Trasporto” in tecnologia mista (Fibra Ottica e Ponti Radio), al vincitore/concessionario è stato dato l’obbligo, all’interno delle aree oggetto d’intervento, di “allacciare” alla rete (l’acquedotto) ogni utente richiedente a parità di condizioni tecnico-economiche, a prescindere dalla complessità dell’allacciamento (con poche eccezioni di oggettiva impossibilità).
Cosa hanno prodotto questi bandi come effetto immediato? L’annullamento del Divario Digitale (come definito all’inizio del progetto), una dorsale in fibra ottica che collega Ventimiglia a La Spezia e circa 300 stazioni radio professionali che estendono la rete verso tutte le vallate per servire più di 140 Comuni e oltre 700 frazioni del territorio. La rete di trasporto è di proprietà pubblica (di Regione Liguria), mentre l’attuale rete di accesso è dell’operatore concessionario che aveva l’obbligo di realizzarla a sue spese stanti i vincoli dei bandi.
La rete oggi è in funzione, serve migliaia di utenti residenziali e business e, grazie all’accuratezza del progetto, è in grado di supportare future espansioni di servizio. Dall’inizio del progetto a oggi si è passati da servizi di accesso a 2Mbit/s fino a 20 Mbit/s senza nessun investimento ulteriore per Regione Liguria. Dal mercato delle TLC provengono segnali d’interesse anche per le zone inizialmente definite a fallimento di mercato: diversi operatori hanno richiesto l’utilizzo della rete di trasporto per offrire servizi alternativi a quelli del concessionario. E questo è un primo sintomo di ripresa della crescita e dell’utilità di poter condividere a condizioni eque e non discriminatorie asset pubblici.
Grazie a questa rete è stato anche possibile lanciare il progetto Liguria WiFi: un’unica rete di hot spot WiFi(le fontanelle pubbliche) da cui erogare accesso ad internet gratuito per tutti. Un’unica user e un’unica password per collegarsi da ciascun Comune ligure è l’ambizione del progetto. Oggi si sta realizzando la prima vera rete unica per una Regione e, grazie a una forte collaborazione con i 170 Comuni che hanno già aderito, sono stati installati centinaia di hot spot sul territorio. In pochi mesi di servizio sono state superate le 70.000 connessioni regalando decine di migliaia di ore di accesso ad Internet: a tutti.
Quindi questa è la politica regionale per le telecomunicazioni, internet e la banda larga: deve essere per tutti e non discriminare nessun territorio, anzi deve aiutare la ripresa degli insediamenti. Facilitare con servizi semplici e infrastrutture capillari anche il superamento del Divario di Conoscenza su questa materia, che separa le generazioni più giovani da quelle più anziane. Ormai il mondo è digitale e ogni cittadino ha la necessità di essere “always-on”, sempre connesso. In Liguria, oggi, si può. Grazie a Regione e a Liguria Digitale, il braccio operativo ICT del sistema pubblico ligure che ha ideato e realizzato tutto questo. E molto ancora verrà.
Regione Liguria continuerà a investire in questa direzione potenziando la propria rete grazie ai prossimi progetti di Banda Ultra Larga e Liguria Wifi 2.0. Se arriverà poi il soggetto che potrà rilevare le reti a livello nazionale per regolamentare il mercato delle infrastrutture passive vorrà dire che, in questo territorio così bello ma orograficamente complesso, ci sarà un passaggio indolore verso la gestione nazionale per un’utenza non più discriminata da tempo e consapevole che, oltre ad essere un diritto, la Cittadinanza Digitale in Liguria è già una realtà.