Mobile-healthI modelli di assistenza sanitaria basati su device mobili promettono enormi benefici in termini di qualità del servizio e riduzione dei costi, a patto che gli strumenti siano semplici da usare, ergonomici, non invasivi, con livelli altissimi di affidabilità e disponibilità. Inoltre è necessario chiarire aspetti di privacy, sicurezza, normativa, quantificazione di costi e vantaggi.

 

La nuova frontiera dell’assistenza sanitaria è la Mobile Health o “m-health”, il modello di assistenza socio sanitaria che prevede l’utilizzo di device mobili quali cellulare, smartphone, dispositivi di monitoraggio dei pazienti, personal digital assistant e altri dispositivi wireless.

 

L’obiettivo è offrire assistenza ai pazienti da remoto e applicare ai dati ricavati tecnologie analitiche per la diagnostica, riuscendo così a centrare meglio l’assistenza sanitaria sul paziente, aumentare le sue capacità di auto-gestione delle cure e dell’infermità, e di conseguenza ridurre il numero di posti letto occupati negli ospedali, migliorando contemporaneamente la gestione della malattia – anche in termini di monitoraggio a distanza nelle aree meno presidiate (zone rurali, montane, isole) – e la conformità con i regimi di trattamento sanitario.

 

Un modello che ha quindi il potenziale per rivoluzionare l’assistenza sanitaria, alleviando le pressioni sistemiche sul settore attraverso riduzioni di costi e nel contempo miglioramenti della qualità del servizio.

 

Sull’argomento recentemente si è soffermato Gregorio Cosentino, Vice Presidente di CdTI (Club Dirigenti Tecnologie dell’Informazione), in un articolo su “Agenda digitale”, approfondendo in particolare gli ostacoli principali alla diffusione capillare della m-health.

 

Esaminando le esperienze di assistenza remota a persone anziane o ammalate in diversi paesi Europei, scrive Cosentino, si possono dedurre i principi e le linee guida che caratterizzano le soluzioni di Mobile Health. Gli strumenti devono essere semplici da usare, ergonomici e non invasivi: in poche parole i pazienti devono essere già abituati a usarli o in grado di abituarsi molto in fretta. Inoltre devono avere livelli altissimi di affidabilità e disponibilità, riducendo ovviamente al minimo la necessità di interventi tecnici. E infine devono essere efficienti, anche in termini di dati inviati ai sistemi di controllo.

 

Secondo varie ricerche e indagini, i pazienti concordano che l’m-health migliorerà la qualità e i costi dell’assistenza sanitaria, ma l’opinione comune è che esistono ancora vari ostacoli da superare per arrivare a una significativa diffusione di queste soluzioni.

 

Al proposito Cosentino cita una recente Consultazione pubblica della Commissione Europea sul tema Mobile Health, da cui emerge che la privacy e la sicurezza dei dati, la sicurezza del paziente, un quadro giuridico chiaro e migliore, una chiara evidenza del rapporto costo-efficacia, e l’interoperabilità e standardizzazione delle soluzioni tecnologiche sono tutti fattori necessari per aiutare questo modello innovativo a svilupparsi in Europa.

 

211 risposte da parte di autorità pubbliche, operatori sanitari, organizzazioni di pazienti, e imprenditori web, dentro e fuori l’Unione europea, hanno dato feedback su undici questioni relative alla diffusione di mHealth nell’UE.

 

Mentre recenti statistiche confermano che le iniziative nazionali e comunitarie di finanziamento stanno dando buoni frutti e che l’Europa è destinata a diventare il più grande mercato entro il 2018, l’indagine indica che molto resta da fare perché gli imprenditori europei possano accedere efficacemente a questo mercato in forte espansione.

 

Quasi la metà degli intervistati ritiene che strumenti potenti per la gestione della privacy e della sicurezza (come i meccanismi di crittografia dei dati e autenticazione) sono necessari per costruire la fiducia degli utenti. Molte sono le richieste di un rafforzamento delle norme per la protezione dei dati, ma alcuni avvertono contro i rischi di un’eccessiva regolamentazione. Gli imprenditori Web da parte loro considerano difficile l’accesso al mercato a causa della mancanza di un chiaro quadro normativo, l’interoperabilità e criteri di qualità comuni.

 

Quanto alle evidenze sul rapporto costo-efficacia, nell’indagine si cita uno studio su alcune sperimentazioni nei paesi nordici secondo cui m-health può generare una riduzione del 50-60% delle notti in ospedale e delle ri-ospedalizzazioni per i pazienti con malattia polmonare ostruttiva cronica, e una riduzione della spesa complessiva di assistenza agli anziani del 25%.

 

Gli intervistati hanno inoltre suggerito che l’UE e i singoli Paesi dovrebbero garantire l’interoperabilità delle soluzioni m-health con cartelle cliniche elettroniche (EHR) per la continuità delle cure e per scopi di ricerca. Inoltre viene auspicata una maggior enfasi sulla promozione di standard aperti e sull’uso di comuni architetture e Application Programming Interfaces aperte. Operatori sanitari, badanti e utenti dovrebbero essere coinvolti attivamente nella co-progettazione delle soluzioni mHealth.

 

Come prossimi passi, la Commissione, nel corso del 2015, discuterà con le parti interessate le opzioni di politica (legislazione, autoregolamentazione o co-regolamentazione, ecc) più opportune da intraprendere. Una serie di azioni a sostegno dell’m-health sono già previsti nell’ambito del programma Horizon 2020 e saranno prese in considerazione nei futuri programmi di lavoro.

 

«Sottolineo comunque – conclude Cosentino – il pericolo di utilizzare App e device che non rispettano i criteri di appropriatezza del dato misurato (per esempio fornendo misure non accurate della frequenza cardiaca, come avviene per alcuni braccialetti di ultima generazione che vanno di moda); questo a mio avviso diventerà presto un punto critico della m-health». Inoltre il rischio è di sottovalutare i parametri sanitari, considerando “una moda” come altre il fatto di poterli monitorare con App sviluppate per lo più in ottica di fitness. «Una maggior consapevolezza delle proprie condizioni fisiologiche è sicuramente positiva, ma solo se i dati sono presidiati da personale sanitario, evitando la velleità di fare i medici di se stessi».