agricoltura digitaleL’economia agraria – anzi la pratica stessa del coltivare – possiede un’antica vocazione verso la sfera digitale. L’abilità nel calcolo aritmetico, insieme al bisogno di delimitare, elaborare e registrare si sviluppa, infatti, presso le prime comunità umane dedite alla domesticazione delle specie vegetali e animali attestate, come spiegava nei suoi studi Gordon Childe, in epoca neolitica nella Mezzaluna fertile e lungo i grandi corsi d’acqua dei diversi continenti.

 

La situazione italiana

 

L’agricoltura contemporanea e segnatamente quella italiana rischia però di sfruttare soltanto in parte questo requisito originario. Perché le competenze di tipo informatico, che permettono appunto d’integrare le macchine da calcolo nei processi produttivi, si sono affermate durante l’ultimo trentennio in molteplici ambiti, dal terziario all’industria manifatturiera passando per il comparto culturale e la comunicazione, la gestione amministrativa, i trasporti, la logistica. In pratica, sulla scorta delle indagini Istat (Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese, dicembre 2014), non c’è piccola e media impresa nel nostro paese (al saldo di quelle in campo agricolo) priva di computer (almeno uno è presente nel 98,2% delle sedi) e connessione a internet (per il 94,8% in banda larga di cui circa un terzo con velocità nominale al disopra dei 10 Mbts). Le conseguenze sono palpabili: le aziende che hanno usufruito almeno di un servizio on-line della Pubblica amministrazione durante l’anno passano dal 74,5% del 2009 all’attuale 85,5%, gli acquisti e le vendite via web crescono dal 37,5 del 2012 al 44,4% (grazie in particolare all’e-procurement che si attesta sul 41,7%). Anche la filosofia organizzativa ne risente grazie alla penetrazione del software per la pianificazione strategica (l’Enterprise resource planning cresce dal 9,7% del 2009 al 27,2%) e la comunicazione collaborativa come l’instant messaging, le agende e i fogli condivisi, i sistemi di teleconferenza diffusi quasi nel 50% delle imprese e utilizzati spesso da supporti mobili.

 

Al contrario, il Censimento generale dell’agricoltura presentato sempre dall’Istat nel 2012 (con dati relativi al 2010) evidenzia come il tasso d’informatizzazione in questo settore, fermi restando i passi in avanti rispetto alla verifica del decennio precedente, rimanga assai lontano dalla sufficienza: sono soltanto 60.945, pari al 3,8% del totale, le aziende informatizzate peraltro con una forte sperequazione negativa nel Sud (1,3%) e nelle Isole (2,0%). La navigazione frequente sul web, indicativa rispetto alle ricadute effettive nei processi aziendali, scende inoltre su scala nazionale all’1,2%. Le cause? La scarsa qualità delle connessioni, certamente, visto che in Italia soltanto il 21% della popolazione, come riporta il documento Strategia per la crescita digitale messo a punto dalla Presidenza del Consiglio, può accedere alla banda ultra-larga con velocità superiore a 30 Mbps contro il 64% della media continentale e le carenze maggiori, com’è facile immaginare, si evidenziano in particolare nei cluster cosiddetti a fallimento di mercato, vale a dire le zone rurali e a bassa densità. Incide però anche una certa estraneità generazionale, diciamo una forma di adagiamento nella dimensione analogica e meccanica, figlia a suo volta di un’importante rivoluzione produttiva avvenuta durante gli anni Cinquanta, da parte dei conduttori agricoli ormai in età mediana fra i 55 e i 59 anni che la povertà d’infrastrutture non aiuta certo ad impratichirsi con il web.

 

Sta di fatto che le applicazioni sarebbero molteplici se guardiamo alle regioni in cui si sfruttano meglio le potenzialità della rete. La Lombardia, per esempio, ancora secondo il Censimento primeggia nell’attivazione di strumenti informatici per i servizi amministrativi e la gestione degli allevamenti, l’acquisto di prodotti e servizi; i coltivatori dell’Emilia Romagna emergono dal canto loro per l’utilizzo dei dispositivi digitali nelle attività colturali, anche nel segno dell’agricoltura di precisione. La predisposizione dell’area toscana verso l’accoglienza e la commercializzazione trova riscontro nella diffusione, fra le aziende che possiedono un sito web, dei servizi di vendita on-line.

 

Esperienze di punta (più diffuse nel Nord-ovest e nelle province autonome di Bolzano e Trento) che dimostrano come lo scenario dell’agricoltura italiana, sebbene con molte disomogeneità e una tempistica inadeguata rispetto ai bisogni della competitività internazionale, contenga il seme della trasformazione. Sempre l’Istat fa sapere poi come la produzione biologica stia avanzando nel Meridione (dove si trova il 63% delle aziende) e proprio da questo settore giungono gli indicatori più interessanti anche sul terreno digitale: le imprese, conferma il Bioreport 2013 diffuso da ministero delle Politiche agricole, Inea, Ismea e Sinab, sono guidate in buona percentuale (22%) da Under 39 e non a caso il 15,6% è informatizzato (quasi quattro volte di più rispetto alle imprese convenzionali) mentre il 10,7% (contro l’1,8%) possiede un sito web (nel centro Italia si supera il 20%) e il 5,2% (contro lo 0,7%) pratica l’e-commerce. La sfida delle aziende multifunzionali, che integrano la produzione di cibo con l’erogazione di servizi, compresa la fornitura di energia da fonti rinnovabili, così come il modello di derivazione europea delle bioraffinerie, rende ancor più significativa la presenza delle tecnologie informatiche specialmente in funzione del dispacciamento diretto che apre versanti di commercializzazione inediti.

 

La strategia per la crescita digitale

 

Sarà in grado la Strategia per la crescita digitale di accompagnare questa metamorfosi che può ricollocare il comparto agricolo al centro di una più generale riconversione dell’Italia verso l’economia a basse emissioni di carbonio? Il documento, nel paragrafo riguardante l’agricoltura, insiste sulle politiche di semplificazione per l’accesso ai fondi europei considerati, giustamente, strategici. L’obiettivo è innanzitutto quello, sacrosanto, di sburocratizzare e smaterializzare la modulistica che appesantisce la gestione. Ma in quale direzione investire i fondi della Politica agricola comune, verso quale nuova identità del settore primario orientare le risorse una volta che i formulari siano giunti in porto? Ci sembra che la priorità rimanga quella di garantire una prima alfabetizzazione e di facilitare il trasferimento delle eccellenze versi i territori in cui l’agenda digitale spontanea, quella che passa attraverso i neo-contadini più dinamici e avvertiti in materia di qualità nei prodotti e nei processi, stenta ad arrivare. Il problema va oltre la dimensione geografica evidenziata dalle ricerche statistiche, si avverte il bisogno di promuovere un peer-to-peer delle conoscenze fra le generazioni, per ricollocare nella modernità molte pratiche tradizionali di produzione agroalimentare che trovano senso nelle nuove abitudini di consumo.

 

Agricoltura login?

 

Inquadriamo le possibili ricadute di un eventuale Agricoltura login che sblocchi le opportunità della digitalizzazione nel mondo rurale: una maggiore diffusione delle competenze informatiche anche a livello familiare può facilitare le procedure amministrative, le relazioni con i soggetti istituzionali di riferimento garantendo risparmi e maggiore lucidità nella pianificazione. La gestione informatizzata delle coltivazioni e dell’allevamento può condurre a sensibili ottimizzazioni e incrementi di produttività gettando inoltre le basi per il pieno utilizzo dell’agrirobotica (cui l’Ue dedica peraltro dal 2009 il programma Ict-Agri) e dei droni ormai presenti a pieno titolo fra le opzioni tecnologiche dell’agricoltura contemporanea con il loro corredo di sensori e dispositivi per il monitoraggio, la lotta integrata, l’irrigazione puntuale.

 

Entrano in scena per questa via anche i supporti mobili, con le applicazioni che permettono già oggi di verificare sul posto lo stato delle colture e georeferenziare le informazioni fenotipiche o più semplicemente di consultare i marketplace di macchine agricole o pezzi di ricambio, colmando attraverso le reti wireless, al momento prevalentemente terrestri, il digital divide. Dove si prefigura un vero e proprio salto tecnologico dal desktop di concezione tradizionale al personal media utilizzabile in situazione analogamente a quanto accade in altri domini professionali come quello ospedaliero, cantieristico o anche militare. E ancora: un sito web progettato con cura e gestito in maniera dinamica rappresenta insieme a eventuali profili nei social media una base indispensabile per la comunicazione (specialmente se l’azienda comprende anche attività ricettive) nonché per la vendita diretta e l’offerta di servizi nell’ottica di un contoterzismo evoluto.

 

Il canale si presta sia a transazioni nel mercato B2C (business to consumer), sia in quello B2B (business to business) come nel caso dell’acquisto di macchinari, pezzi di ricambio ma anche animali vivi, sementi e altre materie prime. Valga, per comprendere la portata di questo approccio, quanto accade in Francia dove già dieci anni fa, secondo il Ministero dell’agricoltura, il 30% degli agricoltori era connesso alla rete e adesso, sulla base della ricerca Agrisurfeurs presentata due anni fa dal portale dell’innovazione Frenchweb, l’81% degli agricoltori utilizza internet quotidianamente a fini professionali, il 61% ha effettuato acquisti di prodotti per l’azienda apprezzando i negozi on-line per il prezzo (50%), per il fatto di non doversi spostare (44%), per la disponibilità 24 ore su 24 del catalogo (37%) e per la velocità (36%). Una comunità di agricoltori in rete, infine, può valorizzare brand territoriali ma anche condividere risorse, strumenti e conoscenze, accorciare filiere, esprimere in altre parole processi economici circolari: sta qui forse l’aspetto più fertile, nella logica collaborativa orientata alla valorizzazione delle qualità locali.

 

Trentatré milioni da spendere entro il 2017, tanti ne prevede per l’agricoltura la Strategia, forse non bastano per guardare ad uno scenario tanto ambizioso, soprattutto occorre un arco temporale più ampio per ottenere un reale cambio di mentalità. E l’auspicio è che si possano quantomeno affiancare agli obiettivi di sburocratizzazione altri percorsi d’innovazione che coinvolgano i corpi intermedi (a partire dalle associazioni di categoria) e portino vantaggi anche ai consumatori in particolare sul piano, sempre più richiesto, della sicurezza alimentare.