La vicenda giudiziaria che vede protagonista l’ex capogruppo del Pd a Roma, Francesco D’Ausilio, sembra stia per volgere al termine con una piena assoluzione.
Infatti, dopo svariate udienze e un’inchiesta durata ben nove anni, la procura di Roma ha infine chiesto per lui l’assoluzione con la formula piena “per non avere commesso il fatto”.
Prima di parlare della decisione della procura capitolina, è però opportuno analizzare brevemente le tappe di tale vicenda.
Il caso D’Ausilio
Nel dicembre del 2014 ha inizio l’inchiesta “Mafia Capitale”: la Procura di Roma riteneva che, nella capitale e in altre zone del Lazio, operasse un’associazione di stampo mafioso, la quale si era resa protagonista di diversi affari con imprenditori, nonché dirigenti di aziende municipalizzate ed esponenti della classe politica locale. Lo scopo di tale organizzazione era quello di controllare le attività economiche e gli appalti pubblici nella Regione. A capo dell’organizzazione, secondo la procura, vi erano Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
Quanto alla posizione di D’Ausilio, questi, all’epoca dei fatti, era capogruppo del Pd a Roma e rappresentava una delle figure più rilevanti e in ascesa del Partito democratico.
Tuttavia, la sua carriera politica viene bruscamente interrotta il 27 giugno del 2015, allorquando, a seguito della pubblicazione di alcune intercettazioni che lo riguardavano, decise di dimettersi dall’incarico di capogruppo. In particolare, D’Ausilio affermò: “Con questo mio gesto voglio contribuire a fare chiarezza affinché non ci sia alcun equivoco. Sono certo che anche questa mia decisione contribuirà ad arrestare l’onda mediatica che ha investito Roma consentendo di tenere al riparo chi è stato coinvolto senza colpa”.
Il rinvio a giudizio per corruzione e abuso d’ufficio
Ebbene, la realtà fu ben diversa. Infatti, a dicembre 2016 la Procura di Roma chiese per lui il rinvio a giudizio per i reati di corruzione e abuso d’ufficio. In particolare, secondo gli inquirenti, Salvatore Buzzi aveva promesso a D’Ausilio e al suo ex capo segreteria, Calogero Salvatore Nucera, una parte di una tangente di 130 mila euro per compiere atti contrari ai loro doveri d’ufficio, ovvero l’approvazione della liquidazione di alcuni debiti fuori bilancio.
Inoltre, D’Ausilio avrebbe favorito alcune imprese coinvolte in procedure negoziate del dipartimento Ambiente, affinchè le stesse ottenessero l’affidamento delle gare in cambio di una percentuale.
La ricostruzione della Procura convinse il Gup che, il 21 maggio del 2018, dispose il rinvio a giudizio per D’Ausilio e altre 19 persone, tra cui l’ex Dg di Ama, Giovanni Fiscon, anche per il quale la procura ha chiesto l’assoluzione.
E alla fine in arrivo l’assoluzione per Francesco d’Ausilio
Tuttavia, l’accusa il 15 ottobre ha chiesto l’assoluzione e il 30 gennaio arriverà la sentenza.
Parole di soddisfazione sono giunte da parte del legale di D’Ausilio, Clara Veneto, che ha dichiarato: “Prendiamo atto della richiesta di assoluzione avanzata dal Pubblico Ministero per Francesco D’Ausilio. La richiesta, contenuta nella memoria già depositata presso la cancelleria del Tribunale, utilizza la formula liberatoria più ampia e a parere della difesa poggia su argomentazioni accettabili e condivisibili dalle quali pare non ci si possa discostare”.
Alla richiesta di assoluzione della Procura sono seguite anche le scuse pubbliche del PD romano e in particolare del suo segretario Enzo Foschi, il quale ha dichiarato quanto segue: “A Francesco sento di dover chiedere scusa e lo faccio da Segretario del PD Roma. Fui tra coloro che ne sollecitarono le dimissioni da Capogruppo in maniera riservata, preoccupato in quei giorni della sua esposizione politica, in qualità all’epoca, di Capogruppo del Pd in aula Giulio Cesare. E’ una persona perbene e ora a dirlo è l’accusa che in teoria avrebbe dovuto richiedere la sua condanna. In questi lunghissimi nove anni ha lottato e resistito alle ipocrisie alle falsità e alle schifezze strumentali che abbondano purtroppo anche nei rapporti politici”.
Qual è il prezzo di un’indagine così lunga?
L’esito della vicenda giudiziaria di D’Ausilio è sicuramente positivo per l’ex capogruppo del PD, ma la domanda da porsi è: a che prezzo? Quali sono le conseguenze reali, tangibili, che le (spesso) interminabili indagini della magistratura hanno sulla vita delle persone accusate di un reato?
Ebbene, i sospetti della Procura hanno avuto sicuramente un impatto importante sulla vita, sull’immagine pubblica, nonché sulla carriera politica e professionale di D’Ausilio, il quale, a causa delle accuse, è stato costretto a dimettersi, con la speranza – rivelatasi poi vana – di fare chiarezza sulla sua posizione. Tale decisione però non ha comunque impedito che la sua reputazione e carriera politica fossero gravemente compromesse per quasi un decennio.
Questo solleva una questione fondamentale, ossia quella del bilanciamento tra il necessario lavoro della magistratura e la tutela dei diritti e della dignità delle persone accusate. Un provvedimento di assoluzione, infatti, sebbene indubbiamente positivo per i protagonisti, non è comunque idoneo a cancellare anni di incertezza e pressione mediatica.
Il parallelismo con l’inchiesta “Erebo Lacinio”
Un discorso simile riguarda un’altra vicenda giudiziaria, anch’essa da poco conclusasi con un provvedimento di assoluzione.
In questo caso però ci spostiamo in Calabria e più precisamente a Crotone. Nel marzo 2021, la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro avviava l’inchiesta “Erebo Lacinio”. In particolare, la DDA accusava otto persone del reato di associazione a delinquere per traffico illecito di rifiuti. Protagonista della vicenda era la società Verdi Prateria, proprietaria di un impianto di biogas e parte del gruppo Marrelli di Crotone, la cui presidenza era affidata ad Antonella Stasi.
Si trattava di un gruppo particolarmente noto nella regione Calabria, con circa quarant’anni di attività alle spalle e con un organico di oltre 400 dipendenti.
Le accuse
Secondo gli inquirenti però, l’azienda, per alimentare l’impianto, si serviva di biomasse di origine vegetale e animale “in modo non conforme alla normativa”. L’accusa inoltre ravvisava la violazione delle disposizioni in materia di smaltimento dei rifiuti, nonché alcuni sversamenti illeciti.
A seguito delle indagini, gli inquirenti accusavano gli indagati di associazione a delinquere finalizzata al conseguimento degli incentivi pubblici erogati dal Gestore dei servizi energetici, la cui finalità era quella di produrre energie da fonti rinnovabili, nonché di traffico illecito di rifiuti. Venivano quindi emesse misure cautelari contro alcuni degli imputati, tra cui il divieto di dimora per Antonella Stasi nel comune di Isola Capo Rizzuto, nonché l’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale per 12 mesi. Inoltre, la Guardia di Finanza sequestrava oltre 14 milioni e mezzo di euro e la società finiva posta sotto amministrazione giudiziaria.
Tuttavia, come nel caso di D’Ausilio, dopo tre anni e mezzo di indagini, la vicenda si è conclusa, per tutti e otto gli imputati, con un provvedimento di assoluzione, sebbene la procura avesse chiesto la condanna per tutti.
Le conseguenze
Anche qui quindi esito positivo per i protagonisti della vicenda, ma la domanda è sempre la stessa: a che prezzo? L’inchiesta infatti ha causato danni irreparabili per l’azienda che, a seguito di anni di affidamento ad amministratori giudiziari, adesso è pressoché distrutta. La Stasi ha dichiarato di aver dovuto licenziare diversi dipendenti e di avere ingenti debiti e ritardi con diversi fornitori.
Soddisfatto il legale di Antonella Stasi, Francesco Verri, il quale ha affermato che si è trattato di “…un procedimento complesso e impegnativo. Nonostante la natura tecnica delle accuse, è stato necessario un lungo lavoro di consulenze per smontare le ipotesi accusatorie. La materia, pur teoricamente semplice, richiedeva un’analisi accurata e, alla fine, i due giudizi cautelari favorevoli ottenuti sia dal Tribunale della Libertà che dalla Cassazione hanno fatto la differenza.”
Le perplessità sulla vicenda giudiziaria
Tuttavia, il difensore non ha mancato di sollevare alcune perplessità in ordine a tale vicenda giudiziaria. Egli, infatti, in un’intervista rilasciata al Foglio, ha dichiarato: “Questo processo costituisce il frutto maturo di quello che viene chiamato panpenalismo, cioè l’abitudine delle procure a criminalizzare qualsiasi fenomeno sociale, produttivo e aziendale. Nel nostro ordinamento esiste una norma che permette la riparazione per ingiusta detenzione, ma non esiste uno strumento per ottenere la riparazione dei danni da ingiusto sequestro, conseguente all’assoluzione”.
Della vicenda si è occupato il giornalista Pierluigi Battista, il quale, in un articolo pubblicato su Huffington Post, ha evidenziato le problematiche e le conseguenze nefaste di tale indagine, che all’epoca era stata condotta dall’attuale Procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, al quale il giornalista pone una domanda molto semplice, ma dalla quale scaturiscono importanti riflessioni: “…lei come si sente per tutti quei lavoratori licenziati, per gli innocenti che hanno pagato per reati mai commessi, per la reputazione di un’azienda oramai devastata da un’inchiesta che un processo ha dimostrato senza fondamento? Come si sente, dottor Gratteri?”.
Le criticità del nostro sistema giudiziario emerse da queste due vicende
Sebbene le due vicende raccontate poc’anzi abbiano ad oggetto protagonisti e circostanze diverse, c’è un elemento fondamentale che le accomuna: le conseguenze che le indagini della magistratura, seguite spesso dalla gogna mediatica e da provvedimenti restrittivi, hanno sui soggetti coinvolti.
Diverse sono le criticità del nostro sistema giudiziario.
Una prima questione attiene all’eccessiva durata dei processi. Nel caso appena esaminato, l’assoluzione è giunta dopo tre anni e mezzo di indagini che, come visto, hanno avuto conseguenze devastanti sulle sorti dell’azienda e dei suoi dipendenti. Ben più grave è il caso di D’Ausilio, per il quale alla Procura capitolina sono serviti ben nove anni per stabilire che il fatto non sussistesse.
Tali lungaggini processuali hanno conseguenze fortemente negative per tutti i soggetti coinvolti, generando un clima di incertezza e di tensione, nonché danni economici difficilmente riparabili.
Impatto negativo su reputazione e immagine pubblica
Ancora, non si può trascurare il forte impatto in negativo sulla reputazione e sull’immagine pubblica delle persone coinvolte.
Infatti, anche quando alla fine si dimostri la totale assenza di colpevolezza, le conseguenze relative alla reputazione di tali soggetti sono spesso e purtroppo irreversibili.
Ciò è dettato in primo luogo dalla gogna mediatica alla quale spesso tali soggetti sono sottoposti. Il grande impiego di social network e di altre forme di comunicazione telematiche, infatti, genera un’enorme velocità di diffusione delle notizie, nonchè una fortissima risonanza mediatica. Le informazioni così giungono ad un numero indefinito di destinatari, ma spesso con un contenuto distorto, con ricostruzioni non sempre perfettamente accurate, il che compromette fortemente il principio della presunzione di innocenza. Si può dire che i processi avvengano direttamente online, su blog, testate giornalistiche, social network, laddove ognuno ha la possibilità di esprimere la propria opinione e di raccontare la propria personalissima versione dei fatti.
Considerazioni finali
A questo punto, risulta d’obbligo una riflessione: rimanendo incontestata l’essenzialità e l’utilità del ruolo e delle indagini della magistratura, che in moltissimi casi hanno impedito la commissione di reati particolarmente gravi, appare comunque fondamentale, in un sistema democratico, ricercare una forma di giustizia che non solo persegua i colpevoli, ma protegga anche i diritti e la dignità di chi, spesso suo malgrado, subisce le accuse di reati che poi si scopre non aver commesso.