Spetta all’avvocato indagato provare che i compensi per le prestazioni eseguite, sui quali si fonda la pretesa fiscale, non corrispondono all’effettiva capacità contributiva

È legittimo l’accertamento sintetico del reddito complessivo dell’avvocato, specializzato in infortunistica stradale, basato sul calcolo degli onorari acquisiti direttamente dall’Amministrazione finanziaria presso le compagnie di assicurazione. È onere del contribuente dimostrare che il dato su cui si fonda la pretesa fiscale non corrisponde alla realtà.
Così ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 3445 del 14 febbraio.

Il fatto
La controversia riguarda il ricorso proposto da un contribuente, esercente l’attività di avvocato, avverso un avviso di accertamento per il recupero a tassazione del maggior imponibile ai fini Irpef, Irap e Iva per l’anno 2003.
L’atto impositivo conteneva le risultanze fiscali di un accesso compiuto dai funzionari dell’Agenzia delle Entrate presso lo studio dell’avvocato, specializzato nel settore dell’infortunistica stradale, nel corso del quale era stata riscontrata la non corretta tenuta della contabilità.
Il ricorso del contribuente, respinto in sede di prime cure, veniva invece accolto dai giudici di secondo grado.

Nella sentenza de qua, l’adita Commissione tributaria regionale aveva ritenuto che la pretesa fiscale non fosse adeguatamente supportata da prove, avendo l’Agenzia delle Entrate omesso di consegnare al contribuente accertato i tabulati acquisiti dai verificatori presso le compagnie assicurative, contenenti, oltre alle somme liquidate al singolo assicurato, anche gli onorari dell’avvocato difensore, posti alla base della determinazione sintetica del reddito.
Inoltre, a parere dei giudici, l’Amministrazione finanziaria aveva leso il diritto di difesa del contribuente, non avendolo coinvolto in contraddittorio nel procedimento per l’accertamento del reddito imponibile.

La sentenza
Avverso la sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, con il primo dei quali l’ufficio ha lamentato la decisione dei giudici d’appello nel punto in cui essi non hanno considerato che alla base dell’avviso di accertamento vi fosse la constatazione dell’irregolarità della contabilità riscontrata in sede di verifica fiscale.
A tale conclusione i verificatori erano giunti sulla scorta dell’analisi dei tabulati acquisiti direttamente presso le varie compagnie di assicurazione, da cui è stato possibile evincere le somme liquidate agli assicurati, comprese quelle a titolo di onorario per l’avvocato difensore.
Dal confronto di tali informazioni con l’ammontare dei compensi dichiarati dal professionista, i funzionari hanno accertato l’esistenza di onorari non correttamente contabilizzati e, quindi, di un maggior reddito imponibile non dichiarato, circostanza non valutata dai giudici di merito.
Peraltro, per motivi di privacy, i tabulati acquisiti non potevano essere consegnati all’avvocato: tutt’al più, avrebbe dovuto essere lui stesso a richiederli alle compagnie di assicurazione.

La Suprema corte ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione e ha accolto con rinvio il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.

Nell’affrontare la tematica della legittimità dell’accertamento sintetico del reddito, i giudici di legittimità hanno ricordato, in primo luogo, che la determinazione sintetica del reddito imponibile complessivo, contemplato per le persone fisiche dall’articolo 38 del Dpr 600/1973, consiste nell’applicazione delle presunzioni semplici prescritte dall’articolo 2727 del codice civile, intese come le conseguenze che la legge o il giudice ricava da un fatto noto per giungere alla determinazione di un fatto ignorato.

In virtù di tale principio, l’ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto, nel caso di specie l’acquisizione di onorari da parte dei clienti risarciti dalle varie compagnie assicurative, a un fatto ignorato, ossia la sussistenza di un certo reddito e, quindi, di una determinata capacità contributiva.
La suddetta presunzione semplice, inoltre, genera l’inversione dell’onere della prova, investendo il contribuente del gravame di dimostrare “che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà“.

Con specifico riferimento al caso concreto, è il contribuente a dover dimostrare che gli emolumenti riscontrati dai controlli incrociati con le compagnie d’assicurazione non sarebbero mai stati percepiti o incassati in misura inferiore rispetto a quanto emerso dalle verifiche degli ispettori erariali.

Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il thema decidendum resta pertanto circoscritto “alla questione della sufficienza della prova, che il contribuente deve offrire, sul fatto che l’elemento posto dal fisco a base della presunzione di reddito non è invece dimostrativo di capacità contributiva” (Cassazione, sentenza 5991/2006).

FONTE: Fisco Oggi, giornale on line dell’Agenzia delle entrate
AUTORE: Emiliano Marvulli