corte, mediaLa ricerca condotta di recente dalla TNS Opinion & Social per conto dell’Unione Europea ha fissato l’istantanea del grado e dei livelli di percezione che centinaia di milioni di cittadini europei, residenti nei 28 Stati membri e con età superiore ai 15 anni, hanno dell’Imposta sul valore aggiunto, Iva. Il quadro che emerge dall’inchiesta, che ha interessato quasi 28mila persone intervistate dagli esperti della società di ricerca nella lingua madre e tramite un faccia a faccia, ci consegna l’immagine non tanto dell’Imposta, l’Iva, ma dei cittadini europei, del loro modo, e delle modalità cui ricorrono per declinare il loro rapporto con il fisco più in generale e con l’Iva in particolare. Dallo studio, infatti, il primo dato che emerge è quello relativo a come l’Iva è considerata, “molto importante”“abbastanza importante” o di “scarso peso” per i bilanci pubblici dei singoli Stati. Ebbene, per la stragrande maggioranza degli europei il gettito dell’Iva conta, anzi, di più, è quasi imprescindibile dai saldi di bilancio dei loro Paesi d’appartenenza, tanto che ben l’84% degli intervistati ha citato la parola “importante”, come etichetta di percezione per ciò che l’Iva rappresenta per la loro comunità d’appartenenza.

 

La contraddizione, l’Iva conta, ma in molti sono ignari delle aliquote – Incassato un grado alto di percezione riguardo l’importanza dell’Iva, i cittadini europei trasversalmente inciampano sulle aliquote. Infatti, il 65% degli intervistati risponde esattamente, indicando l’aliquota corretta, mentre ben il 35per cento si rivela largamente distante da una conoscenza di base dell’Iva, delle sue aliquote in primis, senza parlare poi di come funziona e si applica. In realtà, i 2/3 degli europei sono quindi a conoscenza dei rispettivi livelli di tassazione relativi all’Iva, stupisce però il fatto che il 35% non abbiano nessuna percezione del dato fattuale, sul quantum dell’imposta sul valore aggiunto. Un’aliquota che tra l’altro incide quotidianamente su di una svariata gamma di acquisti di beni o servizi al cui uso o consumo quegli stessi cittadini contribuiscono. In pratica, è come se in molti rispondessero “sì, il pane è importante nella dieta” ma alla domanda successiva un numero molto inferiore, di quasi 20 punti percentuali, dimostrasse di conoscere il prezzo di quel bene, nell’esempio il pane, che reputa importante. Queste contraddizioni rivelano un dato più profondo e marcato, il fisco, e la tassazione in generale, materie percepite dagli europei e acquisite sia sotto un profilo sociale sia culturale come nodi centrali del vivere quotidiano, ma non pienamente comprese sul versante del loro funzionamento effettivo. Sono ben presenti come concetto, meno come applicativo tecnico, fondato su scale e parametri di riferimento ben precisi.

 

L’Iva di casa è sempre la più alta – Un secondo risultato che, come gli altri, è più rivelatore dell’approccio degli europei verso il fisco in generale più che nei confronti dell’Iva, interessa il peso effettivo dell’Imposta sul valore aggiunto nel proprio Paese di appartenenza. Anche in questo caso, per quasi la metà degli europei l’aliquota dell’Iva in vigore nel proprio Stato è sempre più alta rispetto a quella di altri Stati. Ora che i danesi, i greci, i croati e gli ungheresi se ne dicano convinti, è comprensibile, visto che le rispettive aliquote Iva sono tra le più alte, rispettivamente 25%, 23%, 25% e 27%. Appare invece stonato che molti cittadini residenti in altri Paesi, la cui aliquota Iva rientra nella banda di oscillazione media tra il 18 e il 22%,  si dicano invece convinti di pagare l’Iva più alta di altri. Al lato opposto c’è naturalmente l’eccezione dei cittadini lussemburghesi che consapevoli d’una aliquota, la più bassa, pari al 15%, si dimostrano ben consapevoli di confrontarsi con un’imposta sul valore aggiunto decisamente più bassa rispetto a quella con agli altri cittadini europei prendono ogni giorno le misure nei loro Stati.