Corte Ue: i crediti per partecipare alle aste online sono soggetti a Iva. Il pagamento ricevuto in cambio dell’attribuzione del diritto di intervenire alle vendite organizzate sul proprio sito rappresenta il corrispettivo effettivo della prestazione.
La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata nell’ambito di una controversia tra una società di diritto inglese e i Commissioners for Her Majesty’s Revenue and Customs (Amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito) relativamente al regime d’imposta sul valore aggiunto applicabile alla vendita di “crediti” che consentono di partecipare a vendite all’asta online.
Procedimento principale
La società ricorrente ha la sede legale nel Regno Unito ed esercita attività di vendita online, principalmente avente a oggetto la cessione di prodotti “high tech”, come telefoni cellulari, tablet, computer, televisori e, solo occasionalmente, beni di valore superiore, come automobili. La società gestisce un proprio sito internet, che consente ai suoi utenti di acquistare alcuni beni presso il negozio online oppure tramite aste online. Durante il periodo oggetto della controversia principale, la società era registrata come soggetto passivo Iva nel Regno Unito e in vari altri Stati membri, in particolare in Germania.
Inoltre, la società gestisce un sito di vendita all’asta con pagamento per partecipazione all’asta e gli utenti che intendono partecipare sono tenuti ad acquistare direttamente dalla società, dietro corrispettivo, dei veri e propri “crediti”, necessari per piazzare offerte all’asta e non utilizzabili ad altri fini. Tra le altre cose, tali crediti non possono essere utilizzati per acquistare i beni venduti nel negozio online e non possono neppure essere riconvertiti in denaro.
Una volta acquistati, i crediti confluiscono sul conto dell’utente e ciascuno di essi è identificato da un codice unico, a cui è attribuito un valore monetario corrispondente all’importo pagato dall’utente. Talvolta sono attribuiti crediti gratuiti agli utenti, che consentono unicamente a loro di partecipare alle vendite all’asta. Questi ultimi scadono al termine di un periodo di 30 giorni, mentre i crediti pagati sono validi per 180 giorni. L’utente che si aggiudica una vendita all’asta beneficia del diritto di acquistare il bene al prezzo al quale è stato aggiudicato, aumentato delle spese di trasporto e di manutenzione.
Nel 2013, l’Amministrazione tributaria del Regno Unito ha contestato alla società che l’importo pagato dai clienti per l’acquisto dei crediti rappresentasse il corrispettivo di una prestazione di servizi realizzata nel Regno Unito, ossia la concessione del diritto di partecipare alle vendite all’asta online.
La società accertata ha presentato ricorso avverso tale decisione dinanzi al tribunale di primo grado, lamentando che l’emissione di crediti a vantaggio dei propri clienti costituisce “non già una prestazione di servizi, bensì una semplice operazione preliminare”.
Di conseguenza, l’obbligazione tributaria ai fini Iva sorge, non in ragione dell’emissione dei crediti a vantaggio dei propri utenti, ma unicamente all’atto delle cessioni di beni, il cui corrispettivo comprenderebbe sia il prezzo pagato dal cliente per il bene che ha acquistato sia il controvalore dei crediti esauriti in occasione dell’acquisto.
In via subordinata, la società ha sostenuto che, qualora il giudice del rinvio avesse dichiarato che l’emissione di crediti costituiva una prestazione di servizi, si tratterebbe comunque di una prestazione a titolo gratuito ai sensi del combinato disposto degli articoli 2 e 73 della direttiva Iva.
L’Amministrazione tributaria ha invece sostenuto che la concessione di crediti ai clienti da parte della società, attribuendo il diritto di partecipare alle vendite all’asta online, configura una prestazione di servizi imponibile ai fini Iva. Il giudice del rinvio ha rilevato che, in una decisione del 2014, l’Amministrazione tributaria tedesca aveva ritenuto che la vendita di “crediti” da parte della società inglese “non costituisse né una cessione di beni né una prestazione di servizi ai fini dell’IVA”.
Secondo questa Amministrazione, la società è debitrice dell’Iva in Germania solo a seguito delle cessioni di beni effettuate a utenti stabiliti in tale Stato membro e il corrispettivo delle cessioni comprenderebbe non soltanto il prezzo pagato dal cliente per il bene acquistato ma anche il valore dei crediti utilizzati ai fini dell’acquisto.
Le questioni pregiudiziali
In tale contesto, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il giudizio e sottoporre alla Corte di giustizia europea tre questioni pregiudiziali:
- l’emissione di crediti a favore degli utenti a fronte di un pagamento in denaro costituisce una mera operazione preliminare esclusa dall’ambito di applicazione dell’Iva oppure una prestazione di servizi corrispondente alla concessione di un diritto di partecipare ad aste online
- il denaro corrisposto da un utente per i crediti costituisce un pagamento di acconti per una cessione di beni, con la conseguenza che l’Iva è esigibile al momento dell’incasso e il pagamento ricevuto dalla società costituisce il corrispettivo per la cessione dei beni
- due Stati membri (in questo caso, Regno Unito e Germania) trattano una medesima operazione in maniera diversa ai fini dell’Iva. In che misura i giudici di uno dei due suddetti Paesi devono tener conto, nell’interpretare le disposizioni applicabili di diritto dell’Unione e di diritto nazionale, dell’opportunità di evitare una doppia imposizione dell’operazione e/o una mancata imposizione dell’operazione, nonché quale impatto ha sulla questione il principio di neutralità fiscale.
Sulla prima questione pregiudiziale
Con la prima questione il giudice del rinvio ha chiesto se l’emissione dei crediti, come corrispettivo di un pagamento, costituisca una prestazione di servizi a titolo oneroso o se debba essere considerata come una mera operazione preliminare alla cessione di beni. Nel procedimento principale è emerso che l’acquisto di crediti da parte degli utenti consente esclusivamente di piazzare offerte nell’ambito delle vendite all’asta organizzate dalla società e, di conseguenza, coloro i quali acquistano crediti lo fanno esclusivamente al fine di poter partecipare a dette vendite.
Tale servizio costituisce per gli utenti “un interesse autonomo rispetto all’acquisto di beni nel negozio online”, in quanto la partecipazione alle vendite all’asta organizzate dalla società accertata “conferisce agli utenti la possibilità di acquistare beni a un prezzo inferiore al loro valore di mercato”. Dal momento del loro acquisto, i crediti sono identificati come “il corrispettivo della possibilità accordata agli utenti di acquistare beni a prezzi inferiori al loro valore di mercato”. Inoltre, considerato che i crediti utilizzati per partecipare a un’asta non sono imputati al prezzo d’acquisto fissato in esito alla stessa, la loro emissione non può essere qualificata come un’operazione preliminare alla cessione di un bene.
Ne consegue, pertanto, che “il diritto riconosciuto agli utenti che hanno acquistato tali crediti di partecipare alle vendite all’asta organizzate costituisce di per sé una prestazione di servizi a pieno titolo che non può confondersi con la cessione di beni che può avvenire in esito a dette vendite”. La società sostiene, inoltre, che anche qualora l’emissione di crediti dovesse considerarsi una prestazione di servizi, essa non sarebbe effettuata a titolo oneroso.
A tal riguardo, gli eurogiudici hanno ribadito, in forza di una giurisprudenza costante, che “una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso … soltanto quando tra l’autore di tale prestazione e il beneficiario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisca il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario”. Nel procedimento principale sono emersi elementi che indicano chiaramente che il pagamento ricevuto in cambio dei crediti emessi dalla società rappresenta “il corrispettivo effettivo della prestazione che costituisce l’attribuzione del diritto di partecipare alle vendite all’asta che essa organizza, la quale si distingue dalla cessione di un bene acquistato sul suo sito”.
Sulla seconda questione pregiudiziale
Con la seconda questione il giudice del rinvio ha chiesto se l’articolo 73 della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che il valore dei crediti utilizzati per piazzare offerte è incluso nel corrispettivo percepito dalla società a seguito delle cessioni di beni effettuate nei confronti dell’aggiudicatario di una vendita all’asta. Il citato articolo 73 stabilisce che “la base imponibile per le forniture di beni o le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso, è rappresentata da tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell’acquirente, del destinatario o di un terzo”.
Nella controversia principale è emerso che l’importo pagato come corrispettivo di un’operazione non può costituire il corrispettivo di un’altra operazione, né tantomeno un pagamento di acconto del corrispettivo di un’altra operazione. Inoltre, il pagamento effettuato da un utente in cambio di crediti non può essere qualificato come un acconto versato prima della cessione di beni.
Pertanto, il valore dei crediti utilizzati per piazzare offerte non può essere considerato compreso nel corrispettivo percepito dal soggetto passivo in cambio delle cessioni di beni da esso effettuate a vantaggio degli utenti che si sono aggiudicati una vendita all’asta da esso organizzata.
Sulla terza questione pregiudiziale
Con la terza questione, il giudice del rinvio ha chiesto se, quando due Stati membri trattano in maniera differente una stessa operazione ai fini dell’Iva, i giudici di uno di tali Paesi siano tenuti a prendere in considerazione la necessità di evitare una doppia imposizione o una doppia non imposizione dell’operazione alla luce, in particolare, del principio di neutralità fiscale.
La Corte di giustizia ha precisato che l’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea conferisce ai giudici nazionali la facoltà di effettuare un rinvio pregiudiziale qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia pendente dinanzi al giudice nazionale, siano sorte questioni che implicano un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione. Ne consegue che, quando nell’ambito di una controversia che esige un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, il giudice nazionale accerta che una stessa operazione è oggetto di un trattamento fiscale differente in un altro Stato membro, questi “ha la facoltà, o addirittura l’obbligo, di sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale”.
Tuttavia, resta fermo il principio che l’esistenza di approcci diversi in materia di Iva non può, comunque, portare i giudici nazionali a interpretare in modo errato le disposizioni della direttiva Iva.
La decisione della Corte di giustizia
Alla luce delle considerazioni precedenti, la Corte di giustizia europea ha dichiarato che:
“1) L’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che l’emissione di «crediti», come quelli di cui trattasi nel procedimento principale, che consentono ai clienti di un operatore di piazzare offerte nelle vendite all’asta organizzate da quest’ultimo, costituisce una prestazione di servizi a titolo oneroso, il cui corrispettivo è l’importo versato in cambio di detti «crediti».
2) L’articolo 73 della direttiva 2006/112 deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, il valore dei «crediti» utilizzati per piazzare offerte non è compreso nel corrispettivo percepito dal soggetto passivo in cambio delle cessioni di beni da esso effettuate a vantaggio degli utenti che si sono aggiudicati una vendita all’asta da esso organizzata o di quelli che hanno effettuato il loro acquisto tramite le funzioni «compra ora» o «sconto accumulato».
3) Nell’interpretare le disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione e del diritto nazionale, i giudici di uno Stato membro che accertano che una stessa operazione è oggetto in un altro Stato membro di un trattamento differente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto hanno la facoltà, o addirittura l’obbligo, a seconda che le loro decisioni possano o meno essere oggetto di ricorso giurisdizionale di diritto interno, di sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea una domanda di pronuncia pregiudiziale”.