È colpevole di frode chi utilizza l’istituto per “alleggerire” il patrimonio, così da non pagare imposte e sanzioni all’Erario e ostacolare la riscossione coattiva dei tributi.
Con riferimento al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all’articolo 11 del Dlgs 74/2000, nella novellata formulazione in esito alle modifiche introdotte con l’articolo 29 del Dl 78/2010, è prevista la punibilità con la reclusione da sei mesi a quattro anni, per chiunque:
– al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi, dell’Iva e relativi interessi e provvedimenti sanzionatori per un importo superiore 50mila, distrae fraudolentemente i propri beni in modo da rendere inefficace, in tutto o in parte, il procedimento di riscossione coattiva
– al fine di ottenere per sé o per gli altri un pagamento dei tributi minore di quanto dovuto, nell’ambito della procedura di transazione fiscale disciplinata dalla legge fallimentare come modificata dal Dlgs 169/2008, dal Dl 185/2008 e dal Dl 78/2010, presenta documentazione infedele in quanto riportante elementi passivi fittizi e/o elementi attivi inferiori al reale per un ammontare complessivo superiore a euro 50mila euro.
Per entrambe le fattispecie criminose, è altresì contemplata l’aggravante specifica del raddoppio del minimo della pena, aumentata della metà del massimo (da uno a sei anni), al superamento della soglia di valore di 200mila euro del credito erariale in relazione al quale sono state adottate le condotte finalizzate al mancato pagamento o dell’ammontare degli elementi passivi e/o attivi oggetto di infedele indicazione, nell’ipotesi contemplata dall’articolo 11, comma 2, Dlgs 74/2000.
Premesso che l’ipotesi delittuosa indagata, qualificata come reato di istantaneo e concreto pericolo, resta integrata a prescindere dal verificarsi dell’evento di danno erariale e si perfeziona al superamento della soglia di punibilità di 50mila euro quale condizione oggettiva di punibilità, le condotte di volontario depauperamento delle garanzie patrimoniali del contribuente, scientemente perpetrate a nocumento delle pretese erariali e dell’annessa procedura di riscossione coattiva, sussumibili in tale fattispecie rubricano ogni atto simulato di alienazione nonché atti fraudolenti dispositivi di beni, astrattamente idonei a realizzare la sottrazione. Idoneità da apprezzare con giudizi ex ante e non anche per l’effettiva verificazione di tale evento: non risulta necessaria, pertanto, l’attivazione o la pendenza di un’esecuzione coattiva dei tributi evasi, atteso che, nella previsione vigente, il riferimento a tale procedura attiene non già alla struttura del fatto ma al momento intenzionale, come deducibile dall’espunzione di ogni rinvio alle condizioni precedentemente previste dall’articolo 97, comma 6, del Dpr 602/1973 (l’avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni, verifiche, la preventiva notificazione di inviti, richieste, atti di accertamento), attraverso le quali l’autore della condotta fraudolenta riusciva a rendere totalmente o parzialmente inefficace l’esecuzione esattoriale.
Assunto che l’intento perseguito dal legislatore eludesse la tipizzazione di uno specifico catalogo di casi integranti la fattispecie, all’insegna di una tutela prodromica delle pretese (anche potenziali) del Fisco, sulla scorta di tali premesse, ogni qual volta resti verificata la sussistenza del dolo specifico e la simulazione, qualsiasi atto, apparente o reale, idoneo a ledere il bene giuridico protetto – l’interesse dello Stato a mantenere integra la garanzia patrimoniale generica del contribuente di cui all’articolo 2740 cc – vale a dire scientemente e inequivocabilmente diretto a finalità di sottrazione di beni all’esecuzione per mancato pagamento di imposte e sanzioni (anche in via preventiva, come previsione concreta e consapevolezza di potenziale assoggettamento a esecuzione coattiva), è suscettibile di perfezionare il reato in rassegna.
Oltre all’intestazione fittizia di beni, nel corso degli anni la giurisprudenza ha chiarito che anche il ricorso fraudolento a istituti formalmente legali e normalmente utilizzati per fini leciti, quali il fondo patrimoniale o il trust, può integrare la fattispecie criminosa indagata, se strumentalizzati per fini di mera evasione fiscale.
Con riguardo ai trust, l’ipotesi più evidente è quella dei trust simulati o fittizi (sham trust), nel diritto anglosassone void and unforceable, in cui l’istituto, formalmente legale, viene strumentalizzato per fini di mera evasione fiscale, per effetto del fatto che il trustee prescelto costituisce una mera testa di legno del settlor/disponente, concretamente privo di qualsiasi autonomia gestionale.
La presunta e apparente tutela rappresentata dall’eventuale nomina di un protector, nella realtà può restare mitigata dalla previsione, nell’atto istitutivo, del potere di revoca del trustee in qualsiasi momento, in caso di mancata aderenza alle specifiche indicazioni del settlor, con nomina di un nuovo soggetto o subentro dello stesso nel suddetto incarico.
La recente sentenza del tribunale di Reggio Emilia del 21 ottobre scorso ha chiarito che, in un trust, l’assenza di una reale volontà di affidamento, circostanza desumibile dalla larghissima ingerenza e eccessiva attribuzione di poteri di intervento e gestione al disponente, a sua volta designato guardiano del trust e coincidente con il beneficiario, la compiacenza del trustee legato da vincoli parentali al disponente, la modificazione ad nutum dell’atto istitutivo di trust da parte del disponente (rispetto alle finalità originarie e alla rideterminazione dell’assetto dei beni in trust), la pretermissione degli interessi di alcuni beneficiari, sono tutti elementi indiziari di simulazione (sham), che confermano il mantenimento effettivo del controllo dei beni in capo al disponente, permettendo di concludere per il mancato rispetto della Convenzione dell’Aja e per la sua conseguente irriconoscibilità.
È utile ricordare come la Corte suprema, con sentenza 13276/2011, nell’esaminare i profili cautelari connessi alla repressione delle fattispecie incriminatrici relativi ai delitti (in quella sede) inerenti gli obblighi dichiarativi, qualificando come condizione ineludibile e presupposto coessenziale alla natura stessa dell’istituto l’affidamento a un soggetto terzo di determinati beni perché questi li amministri e li gestisca, in qualità di titolare dei diritti ceduti, e proceda alla successiva restituzione, alla scadenza del periodo di durata del trust, ai beneficiari indicati dal disponente, ha concluso che, laddove tale trasferimento configuri una perdita di controllo e disponibilità su quanto conferito soltanto apparente, il trust è nullo e non produce l’effetto segregativo auspicato.
La circostanza che l’istituto del trust si declini quale mero espediente giuridico, in frode ai diritti dei creditori, compreso lo Stato, finalizzato a impedire l’escussione degli stessi, con sostanziale conservazione e costante mantenimento, in capo al settlor/disponente (nel caso di specie coincidente con il trustee) della gestione, della disponibilità dei beni costituti in trust e, in sintesi, della signoria sul patrimonio, è fondatamente conclusiva rispetto al riconoscimento del disvalore giuridico insito nell’utilizzo del trust, legittimando altresì il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla successiva confisca per equivalente prevista dall’articolo 11 della legge 146/2006, incidente su beni segregati in trust e allo stesso conferiti in tempi non sospetti.
Si segnala la più recente pronuncia 46137 del 7 novembre 2014, con cui la Corte di cassazione ha confermato la legittimità di un sequestro conservativo disposto a carico dei beni di famiglia di un soggetto, indagato per bancarotta fraudolenta, che erano stati costituiti in un trust. I giudici di Cassazione, nel respingere il ricorso di parte che invocava l’illegittimità della misura cautelare applicata in quanto non preceduta dall’accertamento giudiziale della nullità dell’atto costitutivo deltrust, hanno aderito alla statuizione impugnata, in considerazione della constatazione di numerosi elementi dai quali si poteva rilevare che l’operazione di istituzione del trust fosse stata posta in essere “con evidente finalità elusiva delle ragioni dei creditorie di terzi, comprese quelle erariali”. Nel caso in esame, inoltre, l’indagato, nonostante la costituzione del trust, “continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità”.
Giova altresì ricordare che, comunque, i beni conferiti in trust non possono essere escussi dai creditori personali del disponente, né dai creditori del fiduciario o del trustee, né dai creditori dei beneficiari, i quali potranno tutt’al più far valere le loro ragioni sul credito maturato in capo ai beneficiari loro debitori. I detti beni possono costituire oggetto di esecuzione solo per debiti contratti nell’ambito dell’attività diretta al perseguimento dello scopo meritevole di tutela.
Pertanto, ove ricorrano i presupposti di legge, i creditori del disponente potranno esperire l’azione revocatoria ordinaria ex articolo 2901 cc (entro il termine non breve di cinque anni) e l’azione revocatoria fallimentare (ex articolo 64 della legge fallimentare), nonché l’imprescrittibile azione di nullità dell’atto per mancanza di causa o per impossibilità della causa contrattuale.
FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate
AUTORE: Giovanna Zoratti