tesoreria comunaleI Comuni riscontrano sempre più difficoltà nell’affidamento del servizio di tesoreria comunale, tradizionalmente gestito alle banche. Viene segnalato un deciso cambio di scenario, con molte gare andate deserte e un sensibile incremento delle richieste di revisione dei contratti. Fino a pochi anni fa, invece, la gestione del servizio di tesoreria rappresentava un’importante “vetrina territoriale” utile alle banche per accedere a una più ampia platea di clienti e decisiva per svolgere il proprio tradizionale ruolo di sostegno allo sviluppo locale.  Per questo l’Anci ha chiesto all’Abi un incontro urgente per individuare prime possibili soluzioni ma intende altresì porre all’attenzione del Governo e del Parlamento l’urgenza di assicurare il regolare svolgimento di un servizio di “rilevanza generale” ed essenziale per la gestione finanziaria dei Comuni. Sul tema è intervenuto il delegato Anci alla Finanza locale e presidente Ifel Guido Castelli, secondo il quale “il mantenimento del regime di tesoreria unica si colloca in un contesto di complessiva fragilità del sistema della finanza locale, da tempo oggetto di manovre finanziariamente restrittive”.

 

“Oggi – spiega Castelli – per i Comuni non solo è più difficile trovare banche disposte a svolgere il servizio di tesoreria ma è alto il rischio che i costi della gestione vadano a gravare su bilanci ancora magri. Finisce così per rappresentare un’altra delle misure con cui si riduce ulteriormente l’autonomia gestionale e finanziaria costituzionalmente garantita, compromettendo quel binomio autonomia-responsabilità che dovrebbe invece essere alla base del rapporto tra gli amministratori e le comunità locali e di un compiuto regime di federalismo municipale”.

 

Il contesto e le cause

 

Le difficoltà odierne si inscrivono nel più ampio contesto di una crisi che non ha risparmiato né il sistema bancario né i bilanci pubblici e di profonda trasformazione del sistema economico-finanziario che ha orientato l’attenzione degli investitori verso assets evidentemente più redditizi. In un quadro di per sé già critico, il punto di maggior debolezza riguarda tuttavia gli effetti negativi prodotti dall’ulteriore sospensione del regime di tesoreria unica mista prevista dalla Legge di stabilità 2015 (articolo 1, comma 395) che, ripristinando fino a tutto il 2017 il vecchio regime di tesoreria unica, ha fortemente contribuito a rendere meno appetibile l’ipotesi di ingresso nella gestione del servizio da parte di chi tradizionalmente opera nel settore dei servizi comunali. Per meglio chiarire la portata della norma citata è necessario ripercorre i tratti essenziali della parabola evolutiva della disciplina del servizio di tesoreria.

 

La proroga della tesoreria unica

 

Il regime di tesoreria unica introdotto con la legge 720/1984, prevedeva che le entrate degli enti locali venissero depositate presso la Banca d’Italia in due conti, uno infruttifero alimentato dalle entrate provenienti, direttamente o indirettamente, dal bilancio dello Stato, l’altro fruttifero, alimentato da quelle proprie degli enti locali. Il tesoriere aveva altresì l’obbligo di prelevare prioritariamente dal conto fruttifero le somme necessarie per i pagamenti, anche se, va ricordato, in una fase storica in cui i trasferimenti statali costituivano ancora la principale leva finanziaria dei Comuni. Il Tesoriere curava quindi pagamenti e riscossioni, attivava l’anticipazione di liquidità in caso di incapienza dei conti, ma non poteva gestire la liquidità.

 

Dopo un lento percorso di avvicinamento, il regime cosiddetto “misto” fu introdotto con il Dlgs 279/1997, dapprima solo per alcune categorie di enti e successivamente esteso a tutti i Comuni con la legge 133/2008. In una fase storica caratterizzata da generale espansione dell’autonomia gestionale e finanziaria degli enti locali, il più favorevole regime misto consentiva ai Comuni di mantenere le entrate proprie (più precisamente tutte quelle non «provenienti direttamente o indirettamente dal bilancio dello Stato»), nella disponibilità del proprio Tesoriere, garantendo così da un lato più autonomia nella gestione della liquidità e dall’altro la possibilità di ricavare interessi attivi più elevati di quelli riconosciuti a valere sulle giacenze in contabilità fruttifera presso la Banca d’Italia, peraltro recentemente ribassati allo 0,05% rispetto al precedente 0,24%, con Dm Mef 22 dicembre 2015 n. 98972. Cioè praticamente azzerati.

 

Inoltre, il mantenimento dell’attuale regime e le incertezze sul futuro assetto del servizio, producono effetti negativi anche sulle attività dei Tesorieri in termini di gestione operativa, in quanto impongono attività di raccordo con la Banca d’Italia, limitano la pianificazione degli investimenti per l’efficientamento della gestione, abbattono la remunerazione del servizio, in parte derivanti dalla manovrabilità delle giacenze.

 

Un modesto impatto finanziario

 

Per la valutazione dell’impatto sui conti pubblici della centralizzazione, occorre fare riferimento ai dati riportati nella relazione tecnica alla legge di stabilità 2015, secondo la quale, mentre il fabbisogno dello Stato viene diminuito di alcuni miliardi di euro, l’effetto in termini di minor spesa per interessi appare modesto: 157 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Il dato è riferito all’intera platea di soggetti interessati che, oltre al comparto comunale investe Regioni e Province, Asl, istituzioni scolastiche ed educative statali, università, camere di commercio e altre pubbliche amministrazioni. Sempre secondo quanto riportato nella relazione tecnica, tale vantaggio fiscale deve essere però considerato non solo al lordo sia degli oneri per interessi sulle giacenze presso la tesoreria statale, stimati all’epoca in circa 16,5 milioni di euro annui, ma anche degli ulteriori effetti negativi determinati dal venir meno, per le altre amministrazioni pubbliche, degli introiti (interessi attivi) che sarebbero invece pervenuti dal settore privato. In assenza di un più puntuale riscontro sui dati, è ragionevole ritenere che, perlomeno rispetto al campo di osservazione riferito al comparto comunale, tali risparmi costituiscano in realtà un vantaggio relativamente modesto a fronte delle significative ricadute sulla gestione finanziaria degli enti.

 

Come uscirne: più Stato e più mercato

 

Occorre quindi uno sforzo da parte di tutti gli attori coinvolti per contrastare con appositi interventi normativi ed organizzativi le ragioni della minore appetibilità del servizio. Gli esiti del questionario lanciato dal ministero dell’Interno sulla gestione della Tesoreria (in scadenza il 16 marzo prossimo sull’ambiente Tbel) forniranno un quadro più completo della situazione. Un possibile fronte di intervento è comunque individuabile nel riavvio dei processi di gestione associata che possono offrire maggior margini nella gestione dei flussi di cassa. Il sensibile recupero della capacità di investimento dei Comuni, atteso con il nuovo quadro di regolazione finanziaria e con l’abbandono del Patto di stabilità, prelude inoltre ad un’inversione di tendenza rispetto al crollo dell’accensione di prestiti cui si è assistito negli ultimi anni, e concorre ad un maggior interesse per i servizi di tesoreria.

 

In tale prospettiva è necessario però che il Governo e il Parlamento valutino l’importanza di un ritorno al sistema misto, che comunque avverrebbe in modo graduale, nonché l’ipotesi di un maggior coinvolgimento, diretto o indiretto, da parte dello Stato finalizzato a salvaguardare il regolare svolgimento di una funzione pubblica di rilevanza generale, quale va considerata la tesoreria degli enti locali. L’Anci formulerà specifiche proposte sulla questione, in primo luogo per anticipare la reintroduzione del più favorevole regime misto, ma anche – sotto il profilo procedimentale – per facilitare gli affidamenti e aumentare il grado di concorrenza nei territori tra diverse istituzioni finanziarie.