Con la sentenza n. 2668/2024, il TAR Veneto ha affermato che i Comuni hanno il potere/dovere di applicare tariffe diverse per la TARI, a seconda che si tratti di utenze domestiche o non domestiche.


La sentenza in esame deriva da un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, presentato da una società titolare di uno stabilimento balneare, contro le tariffe TARI stabilite da un’ordinanza del Comune di Chioggia per l’anno 2018.

La società ricorrente lamentava l’illegittimità della delibera Comunale, con la quale era stato disposto un aumento della TARI nella misura dell’1,5% per le utenze non domestiche, generando – a detta della ricorrente – una disparità di trattamento rispetto alle tariffe previste per le utenze domestiche. Tale aumento era stato attuato in seguito all’approvazione del piano economico finanziario 2018 (PEF) ad opera della società Veritas, ossia la società in house del Comune che si occupa del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

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Il caso in esame

La prima doglianza della ricorrente riguardava la non corretta applicazione del D.P.R. 158/1999, il quale disciplina le modalità di calcolo della TARI.

Al riguardo, il giudice amministrativo ha invece affermato che “le modalità di calcolo e i coefficienti utilizzati per il calcolo della TARI rispettano pienamente i criteri stabiliti dal d.P.R. n. 158/1999 e dalla legge n. 147/2013, che regolano il c.d. “metodo normalizzato” per la determinazione delle componenti della tariffa, come chiaramente emerge dalla delibera consiliare e dalla relazione di accompagnamento al PEF”.

Secondo il TAR infatti, il Comune, quando applica i criteri per calcolare la TARI, è titolare di una notevole discrezionalità tecnica, a condizione che si fondino su parametri oggettivi e razionali. La tariffa viene calcolata tenendo conto innanzitutto della superficie dell’immobile, nonché della sua destinazione.

Disparità tra utenze?

Quanto poi alla questione della disparità tra utenze domestiche e non domestiche, il giudice amministrativo ha affermato che il Comune di Chioggia ha semplicemente impiegato il “metodo normalizzato”, di cui al D.P.R. 158/1999, in forza del quale si applicano coefficienti diversi alle due categorie di utenze, basandosi su una presunzione circa la capacità di produrre rifiuti da parte dell’unità immobiliare.

In questo modo, si garantisce una corretta distribuzione dei costi, in base all’impatto ambientale delle diverse categorie di utenza. Il collegio inoltre ha citato una giurisprudenza piuttosto consolidata in materia (Cass., sent. 15545/2022 e 19767/2020), secondo cui l’applicazione di tariffe differenti tra utente domestiche e non domestiche è necessaria, in conformità al principio “chi inquina paga”, al fine di garantire che le attività commerciali e turistiche contribuiscano in modo proporzionato ai costi del servizio di smaltimento rifiuti.

Tariffe TARI differenziate: legittimità confermata dal TAR Veneto

Il principio citato è delineato nell’art. 178 del Testo Unico Ambiente (d.lgs. 152/2006), il quale stabilisce che “La gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto del principio di concorrenza nonché del principio chi inquina paga. A tale fine la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità, trasparenza, fattibilità tecnica ed economica, nonché nel rispetto delle norme vigenti in materia di partecipazione e di accesso alle informazioni ambientali”.

Il principio “chi inquina paga” – introdotto a livello comunitario dalla Direttiva 35/2004 – richiede al soggetto che genera un potenziale rischio per l’ambiente di coprire le spese necessarie per la prevenzione o la riparazione.

In altre parole, chi provoca un danno all’ambiente ne è ritenuto responsabile e deve assumersi l’onere di avviare le azioni necessarie per prevenire o riparare il danno stesso, coprendo tutti i costi associati.

In particolare, il principio prevede che:

  • in presenza di una minaccia imminente di danno, il privato deve, senza ritardi, attuare le misure preventive necessarie (azioni di prevenzione);
  • se il danno è già avvenuto, il privato è tenuto a informare tempestivamente le autorità e a mettere in atto misure per gestire la situazione, al fine di prevenire ulteriori danni ambientali e rischi per la salute umana, oltre a intraprendere le azioni di ripristino adeguate (azioni di riparazione);
  • in ogni caso, il privato è obbligato a coprire i costi delle azioni di prevenzione e riparazione, salvo alcune eccezioni, come quando il danno è causato da un terzo nonostante l’adozione di opportune misure di sicurezza o derivante dall’osservanza di un’istruzione obbligatoria.

Le conclusioni dei giudici

Tornando al caso oggetto del presente articolo, i giudici hanno respinto anche l’altro motivo di ricorso, ossia quello relativo alla non correttezza dei coefficienti applicati per il calcolo della TARI. Secondo il ricorrente, infatti, i coefficienti previsti nel PEF del 2018 determinavano un carico fiscale eccessivo nei confronti delle utenze non domestiche. Il TAR invece ha affermato che i coefficienti previsti nel PEF sono conformi al “metodo normalizzato” e che l’impiego di coefficienti diversi per le due tipologie di utenze è giustificato dalla necessità di adeguare le tariffe alla capacità di ciascun immobile di produrre, più o meno, rifiuti.

Tanto premesso, la sentenza si conclude con il rigetto del ricorso e la conferma della legittimità delle tariffe stabilite dal Comune per il 2018. Questa decisione riafferma la responsabilità delle autorità locali nella gestione delle questioni tributarie, enfatizzando la necessità di seguire procedure giuridiche adeguate e criteri razionali nella determinazione delle tariffe.