La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5627/2017, ha stabilito che l’Iva sulla tariffa rifiuti non è dovuta poiché si tratta di un’entrata tributaria non corrispettiva di un servizio.
Il prelievo di cui si discute è la “tariffa Ronchi”, abrogata a partire dal 2013 e già in precedenza applicata non in tutti i comuni.
L’Iva sulla Tariffa rifiuti (quella regolata dall’art. 49 del D.Lgs. n. 22/1997) non è dovuta poichè si tratta di un’entrata tributaria che non è, quindi, corrispettiva di un servizio. Entro 10 anni è possibile richiedere la restituzione dell’imposta.
Entrando nello specifico, l’importo pagato dagli utenti non corrisponde effettivamente al servizio reso poichè l’obbligo di versamento dell’imposta sorge anche nell’ipotesi in cui il soggetto passivo non utilizza il servizio pubblico e poiché, trattandosi di una privativa di legge, non è ravvisabile alcuna volontarietà nella soggezione a tariffa da parte dell’utente.
La richiesta della restituzione dell’Iva si può presentare per gli ultimi 10 anni. Facciamo un esempio: se si paga una tassa sui rifiuti di 900 euro l’anno, si versano 90 euro l’anno di Iva illegittima (pari ad una aliquota del 10%) che, moltiplicati per 10 anni, diventano 900 euro. Se è stata applicata l’Iva al 10% sulle voci di raccolta e smaltimento rifiuti, potete chiederne il rimborso immediatamente. Il Codacons, associazione per la tutela dei consumatori, su questo tema ha lanciato una campagna con lo slogan ‘Non buttare i tuoi soldi nell’immondizia’ ed offre una consulenza gratuita a chi vuole recuperare le somme non dovute pagate ai Comuni o alle società appaltatrici.
A tal proposito, la Cassazione evidenzia che la natura tributaria della tariffa è stata definitivamente ribadita dalla giurisprudenza, come confermato sia dalle pronunce della Corte Costituzionale (sentenza n. 238/2009 e ordinanza n. 64/2010) nonché nella successiva pronuncia della stessa Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 5078/2016).
La Cassazione condivide quanto affermato dai giudici di merito, ossia che il diritto di credito azionato dagli utenti vada assoggettato al termine ordinario decennale: ciò attesa la qualificazione della domanda svolta dagli utenti come azione di condanna alla restituzione dell’indebito oggettivo diretta a far valere un autonomo diritto, e individuato il fatto costitutivo di tale diritto nell’assenza originaria o nel successivo venire meno del titolo giustificativo del pagamento eseguito.