E’ durato poco l’addio alle società che svolgono funzioni e attività di supporto propedeutiche all’accertamento e alla riscossione delle entrate degli enti locali, non iscritte all’albo ministeriale, subito rimesse in campo dal comma 39 dell’art. 1 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020).
Il secondo periodo del comma 11, dell’articolo 1 del D.L. 16 ottobre 2017, n. 148 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili) convertito con modificazioni dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, aveva previsto che tali funzioni ed attività fossero affidate solamente ed unicamente a soggetti iscritti all’albo previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446.
La previsione era, evidentemente, molto generica ed omnicomprensiva. Le attività di supporto propedeutiche possono, infatti, anche coinvolgere la mera attività di stampa o imbustamento degli avvisi di accertamento. La legge di stabilità 2018 sopprime il comma 11, dell’art. 1, del D.L. n. 148/2017 e consente ai Comuni di continuare ad avvalersi del supporto delle società non iscritte all’albo ministeriale.
Il legislatore, in effetti, aveva voluto inserire requisiti di “idoneità professionale” per i soggetti affidatari dell’attività di accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali, avendo come obiettivo di escludere dal mercato quei soggetti che ne erano privi e che svolgevano l’identica attività riservata agli iscritti all’albo ministeriale, lasciando al Comune la mera formalizzazione del provvedimento finale.
L’albo ministeriale di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997 è stato istituito presso il Ministero delle Finanze per garantire l’affidabilità di soggetti privati incaricati di un’importante funzione pubblica, con la previsione di requisiti finanziari, di onorabilità e di capacità tecnica.
L’albo viene revisionato periodicamente. L’iscrizione avviene attraverso la presentazione di un’apposita istanza da parte dei soggetti che sono in possesso dei requisiti previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 289 dell’11 settembre 2000.
Il Ministero delle Finanze, già con nota 11 giugno 2001, aveva precisato che qualsiasi attività che potesse essere ricondotta alla liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali dovesse essere affidata esclusivamente ad uno dei soggetti iscritti all’Albo.
Accanto a questi, sono nate una serie di attività imprenditoriali che non si propongono di svolgere in affidamento funzioni pubblicistiche, ma solamente un’attività di supporto all’accertamento ed alla riscossione, lasciando in capo al Comune la titolarità degli atti e la riscossione delle entrate derivanti dal servizio, oltre ai poteri di vigilanza e controllo dell’attività e all’emanazione di direttive comunali.
In questa fattispecie, l’affidamento, riguarda quindi attività strumentali e non già lo svolgimento delle attività di accertamento o di riscossione dei tributi e di tutte le entrate, con maneggio di denaro di pertinenza dell’Ente locale, per il quale necessitano requisiti professionali e patrimoniali a tutela del Comune affidatario e dei cittadini-contribuenti.
I compensi di tali attività, infatti, non possono che essere quantificati in misura fissa oppure in base alle effettive e concrete attività espletate (numero di buste, fogli stampati, notifiche, etc.) e non possono variare – in alcuni casi anche in misura notevolmente consistente – al mutare dell’importo che contribuiscono strumentalmente a fare incassare.
Giova ricordare che l’aggio è la remunerazione prevista a favore degli Agenti della riscossione (e non certo di chi svolge attività di mero supporto), per il presidio della funzione di deterrenza e contrasto dell’evasione e per il progressivo innalzamento del tasso di adesione spontanea agli obblighi tributari.
L’art. 52, comma 5, del D. Lgs. 446/1997 prevede che anche l’affidamento del servizio di riscossione ai soggetti iscritti all’albo ministeriale non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente. La generalità dei Comuni aveva inteso che, per il contribuente, l’onere della riscossione tramite ingiunzione fiscale, non potesse essere superiore di quello determinato nella cartella di pagamento, ma il Consiglio di Stato (sentenza n. 3413 del 12 giugno 2012) ha, invece stabilito che il divieto di aggravio economico non è riferito alla concorrente procedura di riscossione mediante ruolo ed ai suoi costi, ma alla procedura fiscale gestita direttamente dall’Amministrazione.
L’onere della riscossione tramite ingiunzione fiscale (gestita da terzi o da società in house) non può, quindi, costare al contribuente più di quanto gli sarebbe pesata la riscossione gestita direttamente dal Comune. I costi sostenuti per le attività strumentali di supporto possono essere ricompresi in tale quantificazione, ma non certamente in misura percentuale al riscosso.
In effetti, il legislatore ha previsto, con il “decreto del fare”, l’abolizione dell’aggio, a partire dal 30 settembre 2013 (anticipando la prima previsione del 31 dicembre 2013) concedendo agli agenti della riscossione il “diritto al rimborso dei costi fissi risultanti dal bilancio certificato, da determinare annualmente, in misura percentuale delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, con decreto non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, che tenga conto dei carichi annui affidati, dell’andamento delle riscossioni coattive e del processo di ottimizzazione, efficientamento e riduzione dei costi del gruppo Equitalia Spa. Tale decreto deve, in ogni caso, garantire al contribuente oneri inferiori a quelli in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto.”.
Secondo una sentenza (n. 84 del 25 settembre 2012) della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso una cartella potrebbe essere annullata, perché contenente un aggio troppo elevato (nel caso in esame circa € 8.000). Diverse Commissioni Tributarie Provinciali hanno sollevato l’eccezione d’incostituzionalità dell’aggio, poiché la sua commisurazione sarebbe lesiva del principio di ragionevolezza insito nell’art. 3 della Costituzione nonché del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione richiamato dall’art. 97 della Costituzione.
Di recente, la Corte Costituzionale (ordinanza n. 129/2017) ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata dalle C.T.P. di Cagliari, Milano e Roma. Il provvedimento, però, è motivato sulla base del fatto che i rilievi dei giudici tributari erano carenti sia in ordine all’individuazione della norma censurata sia per difetto di motivazione in punto di rilevanza della questione.
Se sussistono dubbi sulla legittimità costituzionale della remunerazione dell’attività pubblicistica di riscossione, slegata dalla concreta ed effettiva attività, appare evidente l’illegittimità di una remunerazione percentuale per le attività di supporto, che oggi il legislatore ha reso nuovamente legittima per tutti, dopo averla limitata ai soli soggetti iscritti all’albo.
La giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato n. 1421/2014, n. 380/2017, Tar Lazio, seconda sezione, n. 4649/2016) aveva già affermato il principio che solo lo svolgimento di una funzione pubblicistica giustificasse l’obbligo di ricorrere all’iscrizione all’albo. La stessa Autorità Nazionale AntiCorruzione (pareri n. 170/2013 e n. 90/2015) aveva ribadito lo stesso principio.
Oggi, con la soppressione del secondo periodo del comma 11, dell’articolo 1 del D.L. 16 ottobre 2017, n. 148 tutto ritorna come prima, anzi per la verità tutto rimane immutato visto che di fatto l’abrogazione è avvenuta ancor prima dell’entrata in vigore.