studi di settore 2La dichiarazione dei redditi non è emendabile dal contribuente con l’adeguamento degli studi di settore. La compilazione del relativo rigo VA42 ha come conseguenza una variazione dell’imponibile e non è un mero errore materiale. Ad affermarlo, la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 18180 del 16 settembre 2015.

 

Dati del processo

 

Il caso specifico verteva sull’impugnazione di una cartella relativa al recupero dell’Iva non versata, in particolare dell’imposta risultante dal rigo VA42 della dichiarazione che, fino a Unico 2009, era destinato ad accogliere l’indicazione dei maggiori corrispettivi conseguenti all’adeguamento alle risultanze degli studi di settore e della relativa imposta.

 

Respinto il ricorso in primo grado, l’esito è rovesciato in appello, con motivazione secondo cui la sola compilazione di un rigo della dichiarazione dei redditi è insufficiente per ritenere che il contribuente abbia optato per l’adeguamento agli studi di settore, in quanto la dichiarazione fiscale è sempre emendabile e ritrattabile in presenza di errori, di fatto o di diritto, suscettibili di cagionare un prelievo fiscale più oneroso di quello previsto per legge.

 

Per violazione dell’articolo 2 del Dpr 322/1998, l’ente impositore censura in Cassazione la ritenuta emendabilità della dichiarazione, pur non trattandosi di un errore di calcolo o materiale ovvero di un errore scaturito dall’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, bensì dell’esercizio di una facoltà di opzione riconosciuta dalle norme tributarie e consistente in un’asserita irregolarità che aveva inciso negativamente sull’attività di controllo ex articolo 36-bis del Dpr n. 602/1973.

 

Motivi della decisione

 

La tesi erariale ha convito la suprema Corte che, con l’ordinanza 18180/2015, ha accolto il ricorso. A tal fine, va premesso che, in materia, vige il principio generale di legittimità (cfr, ex multis, Cassazione 15063/2002, 37394/2002, 7810/2003, 8153/2003, 6787/2004, 12405/2004, 12791/2004, 4609/2005, 18673/2008, 29738/2008) secondo cui la dichiarazione del contribuente, affetta da errore sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è sempre emendabile e ritrattabile, quando possa derivare l’assoggettamento del dichiarante a oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, non avendo natura di atto negoziale e dispositivo, ma recando una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti.

 

Tale principio, tuttavia, è soggetto a deroga dal momento che, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale a una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione finanziaria. Ne deriva, quindi, che, qualora il contribuente intenda far valere errori relativi all’indicazione di dati costituenti espressione di volontà negoziale, lo stesso ha l’onere, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli articoli 1427 e seguenti del codice civile, estesa dall’articolo 1324 cc agli atti unilaterali in quanto compatibile, di fornire la prova che lo stesso abbia i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità (Cassazione 7294/2012).

 

Nel caso concreto, detta deroga non viene ritenuta “estensibile” all’ipotesi oggetto di controversia correlata all’omessa compilazione dello specifico quadro della dichiarazione dei redditi relativo all’agevolazione Dit (dual income tax di cui agli articoli 1 e 3 del Dlgs 466/1997). Pertanto, confermato l’errore rilevato dall’Amministrazione finanziaria in sede di controllo automatizzato, la suprema Corte ha considerato fallace l’impugnata decisione di merito pro-contribuente, affermando che, nella specie di causa, per l’erronea compilazione del rigo VA42, la disciplina legale (articolo 2 del Dpr 195/1999) consente di adeguarsi alle risultanze degli studi di settore anche per la sola Iva, competendo all’ufficio di considerare “non congruo” il contribuente ai soli fini dell’imposta interessata dal mancato adeguamento.

 

In conclusione, ad avviso del giudice di legittimità, l’adeguamento (manifestato attraverso la compilazione del rigo VA42) non può costituire oggetto di mero errore formale, in quanto incidente sulla base imponibile e non originante da errore di calcolo o materiale oppure da errori generati dall’ignoranza di elementi di conoscenza acquisiti in seguito (in tal senso, Cassazione 5852/2012).